Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9166 del 21/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 21/04/2011, (ud. 14/12/2010, dep. 21/04/2011), n.9166

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

SOLVAY s.a., con sede in (OMISSIS), rappresentata e difesa

dall’avv. CIOCIOLA ROBERTO, presso il quale è elettivamente

domiciliata in Roma in via Flaminia n. 79;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, e AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, presso la quale sono elettivamente domiciliati

in Roma in via dei Portoghesi n. 12;

– intimati –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 51/21/03, depositata l’8 gennaio 2004;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14

dicembre 2010 dal Relatore Cons. Dott. Antonio Greco;

udito l’avv. Roberto Ciociola per la ricorrente e l’avvocato dello

Stato Sergio Fiorentino per gli intimati;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione tributaria regionale del Lazio, con sentenza dell’8 gennaio 2004, ha confermato la legittimità del diniego di rimborso dell’IVA relativa al 1995, comunicato il 21 aprile 1997 alla Solvay S.A., con sede in Bruxelles, che lo aveva richiesto, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 38 ter, allegando fatture emesse dalla spa Telecom.

Secondo il giudice d’appello la norma è nella specie inapplicabile, in quanto la società belga doveva ritenersi dotata di stabile organizzazione in Italia: nelle dichiarazioni dei redditi per il 1994 ed il 1995 la denominazione della contribuente era “Solvay S.A. – sede secondaria per l’Italia”, e la dichiarazione IVA 1995, relativa all’anno 1994, era sottoscritta da L.J.C., “dichiarante codice carica 1”, domiciliato a (OMISSIS), indirizzo in cui era ubicato l’impianto telefonico “a Solvay CIE”, impianto al quale si riferivano le dette fatture, intestate alla “Solvay – (OMISSIS)”.

Nei confronti della decisione la Solvay S.A. propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, illustrati con due memorie.

L’Agenzia delle entrate ed il Ministero dell’economia e delle finanze non hanno svolto attività difensiva, limitandosi a depositare atto di costituzione ai soli fini della partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i primi quattro motivi nei quali il ricorso è articolato la Solvay S.A., denunciando violazione e falsa applicazione della normativa nazionale in materia di imposta sul valore aggiunto, e segnatamente del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 38 ter e 17, e della normativa comunitaria in materia, e segnatamente dell’art. 1 della direttiva n. 79/1072/CEE del 6 dicembre 1979, nonchè dei principi dettati dal codice civile in tema di onere della prova, assume di avere diritto al rimborso dell’imposta per le operazioni non riferibili alla sede secondaria di essa Solvay S.A., ma dirette ed intestate alla casa madre, e perciò da ritenersi intercorse fra la prestatrice di servizi nazionale e la società estera non residente, in relazione alle quali la sede secondaria italiana, idest stabile organizzazione, non aveva mai portato in detrazione l’imposta, nè avrebbe potuto recuperarla mediante la procedura di rimborso. Tale rimborso, comunque, sarebbe reso possibile dalla modifica recata al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 ter, nel corso del giudizio, dal D.L. 19 giugno 2002, n. 191, emanato in attuazione della direttiva n. 2000/65/CEE, che ha eliminato il divieto di rimborso per i soggetti non residenti dotati di stabile organizzazione in Italia.

Con l’ultimo motivo censura la sentenza per emessa e insufficiente motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di una stabile organizzazione.

Il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente siccome strettamente connessi, è infondato.

Il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 38 ter, nel testo applicabile ratione tenporis, riconosce ai soggetti domiciliati e residenti negli Stati membri della CEE – nel caso di specie, una società avente sede in Belgio – il diritto al rimborso dell’imposta sul valore aggiunto soltanto nel caso in cui essi siano privi di stabile organizzazione in Italia e di rappresentante nominato ai sensi del precedente art. 17, comma 2 (Cass. n. 6310 del 2008, n. 7703 del 2005, n. 4693 del 2004).

La nozione di stabile organizzazione di una società straniera in Italia va desunta, come costantemente affermato da questa Corte (ex multis, Cass. n. 17206 del 2006 e n. 3889 del 2008), “dall’art. 5 del modello di convenzione OCSE contro la doppia imposizione e dal suo commentario, integrata con i requisiti prescritti dall’art. 9 della sesta direttiva CEE n. 77/388 del Consiglio del 17 maggio 1977 per l’individuazione di un centro di attività stabile, il quale, così come definito dalla giurisprudenza comunitaria, consiste in una struttura dotata di risorse materiali ed umane, e può essere costituito anche da un’entità dotata di personalità giuridica, alla quale la società straniera abbia affidato anche di fatto la cura di affari (con l’esclusione delle attività di carattere meramente preparatorio o ausiliario, quali la prestazione di consulenze o la fornitura di “know how”). La prova dello svolgimento di tale attività da parte del soggetto nazionale può essere ricavata, oltre che dagli elementi indicati dall’art. 5 del modello di convenzione CCSE, anche da elementi indiziari, quali l’identità delle persone fisiche che agiscono per l’impresa straniera e per quella nazionale, ovvero la partecipazione a trattative o alla stipulazione di contratti, indipendentemente dal conferimento di poteri di rappresentanza”.

Il “centro di attività stabile”, secondo il richiamo del detto art. 9, n. 1, della sesta direttiva, va inteso come “una struttura organizzata di mezzi e di persone alle dipendenze del soggetto non residente”. Un siffatto concetto di stabile organizzazione “non è incompatibile con la personalità giuridica di cui la stessa sia eventualmente fornita, poichè l’autonoma soggettività giuridica non assume rilievo quanto all’imputazione dei rapporti fiscali, per cui non è possibile dubitare dell’attribuibilità ad una società, ai fini dell’IVA, del ruolo – palese od occulto – di stabile organizzazione materiale di soggetto non residente, soltanto in ragione della sua personalità giuridica” (Cass. n. 6799 del 2004).

Si è ritenuto tra l’altro, in particolare, che “l’attività di controllo sull’esatta esecuzione di contratti tra soggetto residente e soggetto non residente non può considerarsi, in linea di principio, ausiliaria è come tale, non suscettibile di far assumere alla società incaricata il ruolo di stabile organizzazione in Italia della società straniera, ai sensi dell’art. 5, par. 4, del modello O.C.S.E. di convenzione contro le doppie imposizioni” (Cass. n. 10925 del 2002); e si è “escluso che la struttura organizzativa debba essere di per sè produttiva di reddito, ovvero dotata di autonomia gestionale o contabile” (Cass. n. 7682, n. 7689 e n. 10925, cit., del 2002).

La sentenza impugnata ha fatto buon governo di tali principi, anche in relazione all’individuazione degli elementi – trascritti supra – sulla base dei quali ha ravvisato l’esistenza, nella fattispecie, di una stabile organizzazione in Italia, della società non residente, in ordine alla quale ha fornito una motivazione puntuale ed immune da vizi logici.

Nè assume rilievo nel caso in esame la sentenza della Corte di giustizia UE 16 luglio 2009 in causa C-244/08, vertente “unicamente sulla modalità di restituzione dell’iva versata, o tramite rimborso o tramite detrazione, mentre non costituisce oggetto del contendere il presupposto da cui dipende la legittimazione a chiedere la restituzione di detta imposta”.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio, in considerazione della sostanziale mancanza di attività difensiva da parte dell’amministrazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2011

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