Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9164 del 19/05/2020

Cassazione civile sez. I, 19/05/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 19/05/2020), n.9164

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1971/2019 proposto da:

M.I., elettivamente domiciliato in Roma V.le Università

11, presso lo studio dell’avvocato Benzi Emiliano che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato Ballerini Alessandra;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 876/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 28/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/01/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Genova, con sentenza depositata in data 28.05.2018, ha rigettato l’appello avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di Genova ha rigettato la domanda di M.I., cittadino del (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale e, in subordine, di quella umanitaria.

Il giudice di merito ha ritenuto, in primo luogo, insussistenti i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato per l’inattendibilità del racconto del richiedente (costui aveva riferito di essersi allontanato dal Pakistan per il timore di essere ricercato sia dai militari che dai (OMISSIS), avendo assistito personalmente a due scontri al fuoco intervenuti tra le due opposte fazioni negli anni 2012 e 2013).

Il giudice d’appello ha, inoltre, ritenuto inesistenti i requisiti per il riconoscimento della protezione sussidiaria in ragione dell’insussistenza di una situazione di violenza diffusa e generalizzata nel paese di provenienza del ricorrente.

Il ricorrente non è stato, altresì, ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, difettando in capo allo stesso i presupposti per il riconoscimento di una sua condizione di vulnerabilità.

Ha proposto ricorso per cassazione M.I. affidandolo ad un unico articolato motivo.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. E’ stata dedotta dal ricorrente la violazione dell’art. 2 Cost. e art. 11 del Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 1996, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32, art. 19 T.U.I., nonchè l’omesso esame della domanda di protezione umanitaria.

Espone, in primo luogo, il ricorrente che la Corte territoriale è incorsa in una motivazione apparente, ritenendo in modo del tutto arbitrario che il Kashmir sia una zona scevra di conflitti ed il Pakistan un paese sostanzialmente sicuro.

Lamenta, altresì, il ricorrente di aver dimostrato la sussistenza in capo allo stesso di una speciale condizione di vulnerabilità connessa alla situazione oggettiva del Kashmir, afflitto da una sistematica violazione dei diritti umani e di emergenza sanitaria e da un elevato livello di conflittualità ed instabilità interna.

Sostiene, inoltre, il ricorrente di aver incontrato in Italia una comunità di riferimento che lo sta accompagnando nel percorso di integrazione socio lavorativa.

Invoca, infine, il ricorrente il diritto al rispetto della propria vita privata protetta dall’art. 8 della Convenzione, quale diritto a sviluppare e mantenere rapporti con altri esseri umani ed il mondo esterno, anche svincolato dal diritto all’unità familiare.

2. Il motivo presenta profili di inammissibilità ed infondatezza.

In primo luogo, la motivazione con cui la Corte d’Appello ha escluso che il Pakistan e la regione del Kashmir si trovino in una situazione di violenza generalizzata derivante da conflitto armato non è affatto apparente, essendo stato fatto preciso riferimento al rapporto dell’aprile 2017 della Commissione Nazionale per il diritto di Asilo presso il Ministero.

In ordine alla lamentata violazione dei diritti umani in Pakistan, va preliminarmente osservato che, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, non è sufficiente la generica deduzione della

violazione dei diritti fondamentali nel Paese d’origine. Sul punto,

questa Corte ha già affermato che, anche ove sia dedotta dal richiedente una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili nel paese d’origine, pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità, dalla situazione oggettiva di tale paese, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Infatti, ove si prescindesse dalla vicenda personale del richiedente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini, Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

Nel caso di specie, il ricorrente ha dedotto solo genericamente la violazione dei diritti fondamentali in Pakistan, facendo riferimento in modo assertivo ad una non precisata emergenza sanitaria ed alla povertà in generale, ma senza minimamente correlarla alla sua condizione personale.

Quanto alla dedotta integrazione nel paese d’accoglienza, va osservato che la sentenza impugnata ha evidenziato che il ricorrente non risulta aver legami in territorio italiano, mentre l’attività lavorativa svolta come lavapiatti ed aiuto cuoco è durata un solo mese ed è terminata il 28.9.2017.

Ne consegue che le censure con cui il ricorrente vuole invocare una ricostruzione fattuale diversa in ordine alla sua integrazione si configurano come inammissibili in quanto di merito.

Peraltro, la giurisprudenza di questa Corte ha condivisibilmente ritenuto, in ordine alla dedotta integrazione del richiedente, che tale elemento può essere sì considerato in una valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza della situazione di vulnerabilità, ma non può, tuttavia, da solo esaurirne il contenuto (vedi sempre Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

Infine, palesemente infondata è l’allegata violazione dell’art. 8 CEDU, avendo comunque escluso la Corte di merito che il ricorrente abbia instaurato in Italia solidi legami sociali idonei a dar luogo ad una “vita privata” tutelabile dalla norma predetta.

Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendosi il Ministero dell’Interno costituito in giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2020

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