Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9164 del 16/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 16/04/2010, (ud. 18/03/2010, dep. 16/04/2010), n.9164

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. MAGNO Giuseppe V. A. – rel. Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 27020/07 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore p.t., domiciliato in

Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello

Stato che lo rappresenta e difende secondo la legge;

– ricorrente –

contro

New Hotel Palace, s.r.l., in persona del legale rappresentante Signor

L.M.M., elettivamente domiciliato in Roma, via Federico

Confalonieri, n. 1, presso l’Avvocato Giuseppe Piero Siviglia,

rappresentato e difeso dall’Avvocato Sammartino Salvatore per procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 30/13/06 della Commissione tributaria

regionale della Sicilia, depositata il 10.10.2006.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 18 marzo 2010 dal relatore Cons. Dr. Giuseppe Vito Antonio

Magno;

Uditi, per la ricorrente, l’Avvocato dello Stato Giovanni Palatiello

e, per la controricorrente, l’Avvocato Salvatore Sammartino;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- Dati del processo.

1.1.- L’agenzia delle entrate ricorre, con unico motivo, per la cassazione della.

sentenza indicata in epigrafe che, rigettando l’appello dell’ufficio (e quello incidentale proposto dalla contribuente), confermava la sentenza n. 418/5/2002 con cui la commissione tributaria provinciale di Trapani aveva accolto il ricorso proposto dalla ditta New Hotel Palace s.r.l. avverso l’avviso, notificato il 18.12.2001, di rettifica della dichiarazione IVA concernente l’anno 1997, emesso dall’ufficio di Marsala dell’agenzia delle entrate che aveva chiesto la restituzione della somma di L. 500 milioni, quale detrazione d’imposta non spettante, e della somma di L. 157.583.000, quale credito d’imposta ugualmente non spettante, oltre interessi, avendo rilevato che la società aveva indebitamente assoggettato ad IVA alcune cessioni immobiliari costituenti cessioni di azienda, soggette pertanto ad imposta proporzionale di registro; e che, per conseguenza, non sussisteva il diritto alla detrazione ed al credito d’imposta suddetti.

1.2.-. La nominata ditta New Hotel Palace s.r.l. resiste mediante controricorso.

2.- Motivo del ricorso e quesito di diritto.

2.1.- L’agenzia delle entrate ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 56, sul punto in cui questa ritiene non sufficientemente motivato l’avviso di rettifica, e formula il seguente quesito:

2.1.1.- “La rettifica IVA che escluda detrazioni, per non essere le relative operazioni di acquisto (indicate in dettaglio) da considerare olicasticamente come cessioni in campo IVA, non deve recare indicazioni di altri fatti esterni a tali acquisti, mentre la menzione dell’inesatta sottoposizione a IVA di tali operazioni soddisfa il requisito formale dell’indicazione di “errori e inesattezze” D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 56, comma 2″.

3.- Decisione.

3.1.- Il ricorso è fondato e deve essere accolto. Previa cassazione della sentenza impugnata, la causa deve essere rinviata ad altra sezione della commissione tributaria regionale della Sicilia, che rinnoverà il giudizio uniformandosi al principio esposto al par.

4.4, e provvedere anche sulle spese di questo giudizio di cassazione.

4.- Motivi della decisione.

4.1.- La sentenza in esame, confermando quella di primo grado, giudica illegittimo l’atto sopra indicato – con cui l’ufficio, rettificando la dichiarazione IVA presentata per il 1997, aveva disconosciuto la somma complessiva di L. 657.583.000, esposta dalla contribuente a titolo di detrazione e di credito d’imposta, osservando “anzitutto che l’avviso di rettifica non risulta sufficientemente motivato perchè privo delle indicazioni dei criteri utilizzati e non specifica eventuali errori, omissioni e quanto altro è richiesto dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 56, commi 1 e 2 perchè privo dei controlli e dei confronti dovuti”.

Nonostante la ritenuta illegittimità dell’atto per difetto di motivazione, il giudicante a quo entra poi ugualmente “nel merito della questione”, e rileva che, a suo giudizio, i contratti d’acquisto stipulati dalla contribuente, cui si riferisce l’avviso di rettifica, giustamente avevano scontato l’IVA (anzichè l’imposta proporzionale di registro, cui l’ufficio sostiene che dovevano essere assoggettati), perchè non avevano ad oggetto una cessione di azienda, ma singoli beni; quindi (sottintende), l’IVA era stata giustamente pagata e poteva essere detratta.

4.2.- Il motivo di ricorso ed il quesito di diritto proposti dall’agenzia delle entrate (par. 2.1) sono ammissibili, essendo infondate le contrarie eccezioni d’inammissibilità.

4.2.1.- Diversamente da quanto opina la resistente, la ricorrente ha giustamente omesso d’impugnare, con apposito quesito, il capo di sentenza che, dopo aver accolto un’eccezione preliminare (ritenuta illegittimità dell’atto impositivo per ragioni formali) con statuizione di per se sufficiente a decidere la controversia, entrando inopinatamente, ad abundantiam, “nel merito della questione”, giudica assoggettabili ad IVA le cessioni di cui si tratta.

Tale giudizio nel merito, infatti, non costituisce un’autonoma ratio decidendi, bensì un’affermazione improduttiva di effetti giuridici e priva d’influenza sul dispositivo della sentenza d’appello;

affermazione che l’ufficio, pur contestandola in linea di fatto, non aveva interesse ad impugnare (S.U. nn. 3840 e 8087/2007; Cass. nn. 15234/2007, 13068/2007).

4.2.2.- L’omessa citazione, nell’intestazione del motivo di ricorso, della norma processuale violata non ne comporta l’inammissibilità, essendo evidente ed inequivoco il quid disputandum attraverso la rubrica (“Violazione D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56”), il testo della censura ed il tenore del quesito, con chiaro riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (Cass. nn. 12929/2007, 20292/2004, 11202/2003, 3997/2003, 4567/1999, 9774/1996, 7886/1994, 10501/1993).

4.2.3.- Il quesito – espressamente così intitolato, collocato al termine dell’esposizione della censura, virgolettato ed avente proprio rilievo grafico non è reso inammissibile dal fatto che non è “formulato in forma indiretta, nè tanto meno in forma diretta”.

Costituirebbe, infatti, manifestazione di deteriore formalismo, contrario al principio di effettività della tutela giurisdizionale perchè non giustificato da reali esigenze di garanzia della difesa, ritenere l’inammissibilità del quesito sol perchè la proposizione non inizia con una particella dubitativa (se) o non si conclude col punto interrogativo.

4.2.4.- Il quesito propone una questione esaustiva – se la norma sia interpretabile nel senso della non necessità di ulteriori indicazioni, oltre quelle presenti nella motivazione dell’avviso, quando l’ufficio contesti, come nel caso, la spettanza di detrazioni – interamente contenuta nei limiti della dedotta violazione di legge.

Sono quindi infondate le eccezioni d’inammissibilità del quesito perchè non coprirebbe tutti i riferimenti inseriti nella pur scarna motivazione della sentenza impugnata (v. par. 4.1) e perchè solleciterebbe il riesame nel merito della pronunzia d’invalidità dell’atto impositivo.

4.3.- La censura è fondata.

4.3.1.- Nella motivazione (riprodotta nel ricorso, alle pagg. 2-3) dell’avviso di rettifica si legge che la società, nell’anno 1997, aveva “indebitamente detratto imposta IVA per un importo complessivo di L. 657.583.000” in relazione ad alcuni acquisti, specificamente citati, di beni che, secondo l’ufficio, configuravano “una cessione d’azienda effettuata attraverso atti separati, e come tale non soggetta ad IVA, per l’espressa esclusione contenuta nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 3, lett. b)”, bensì ad imposta proporzionale di registro; cosicchè, non essendo applicabile l’IVA ai suddetti contratti, non sussisteva alcun diritto della contribuente alla detrazione.

Tale motivazione soddisfa ampiamente i requisiti di legge, indicati dall’art. 56 (specialmente, commi 2 e 4) del D.P.R. n. 633 del 1972.

4.3.2.- Il caso in esame s’inquadra, materialmente, nella previsione dell’art. 54, comma 3, stesso D.P.R., per cui “L’ufficio può …

procedere alla rettifica … qualora … l’inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione, risulti in modo certo e diretto, e non in via presuntiva,… da altri atti e documenti in suo possesso”. Tali atti e documenti sono, nella specie, i contratti menzionati nella motivazione dell’atto impositivo, sopra sommariamente riportata.

Il citato art. 56, comma 2, dispone che “Negli avvisi relativi alle rettifiche di cui all’art. 54 devono essere indicati specificamente, a pena di nullità, gli errori le omissioni e le false o inesatte indicazioni su cui è fondata la rettifica e i relativi elementi probatori”. Nei caso in esame, non sussistono (e non sono contestate) “omissioni”, ma soltanto erronee (o inesatte) indicazioni relative alle operazioni d’acquisto che, secondo la contribuente, sarebbero soggette ad IVA e quindi ammesse alla detrazione, mentre secondo l’ufficio costituirebbero cessione di azienda; pertanto, nella motivazione dell’avviso, era sufficiente indicare tali asserite inesattezze, giustificative del diniego di detrazione, senza bisogno di spiegare le “ragioni su cui è fondata tale qualificazione” di cessione d’azienda (controricorso, pag. 12). Nè si doveva procedere alla contestuale rettifica della dichiarazione relativamente all’ammontare dei corrispettivi contrattuali assoggettati ad imposta, fermo restando il diritto della contribuente di chiedere il rimborso di quanto eventualmente versato a titolo di IVA non dovuta.

4.3.3.- L’avviso, per vero, deve essere motivato, ossia deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato, come dispone lo stesso art. 56, u.c. aggiunto dal D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, art. 2, comma 1, lett. b), che recepisce il portato della L. 27 luglio 2000, n. 212 (cd. Statuto del contribuente). Ma la motivazione dell’avviso in questione non viola tali disposizioni, giacchè indica (non è necessario argomentare, essendo riservata la discussione sulla fondatezza all’eventuale successivo contenzioso) sia i presupposti di fatto, ossia i contratti stipulati, sia la ragione giuridica della negata detrazione, ossia che la cessione d’azienda non è soggetta ad IVA, ma ad imposta di registro, citando anche la norma di esclusione.

I contratti, e l’avviso di accertamento e liquidazione emesso dall’ufficio del registro di Marsala, cui detta motivazione fa riferimento, non dovevano essere allegati all’avviso, essendo richiesta dalla legge l’allegazione solo degli atti “non conosciuti” dal contribuente, allorchè la società resistente certamente conosceva i contratti da essa stessa stipulati e l’avviso emesso dall’ufficio del registro, che aveva separatamente impugnato.

4.4.- In conclusione, deve ritenersi adeguatamente motivato l’avviso di rettifica della dichiarazione IVA, con cui si disconosce il diritto alla detrazione, se la motivazione indica specificamente i contratti stipulati dalla contribuente e la ragione per cui l’ufficio non li ritiene soggetti ad IVA, esplicitata nel senso che essi avrebbero ad oggetto una cessione d’azienda, tassabile con imposta proporzionale di registro; in tale ipotesi, non è richiesta l’allegazione all’avviso degli atti cui esso fa riferimento, essendo questi conosciuti dal contribuente.

5.- Dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, ad altra sezione della commissione tributaria regionale della Sicilia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 5^ sezione civile – tributaria, il 18 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2010

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