Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9163 del 21/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 21/04/2011, (ud. 14/12/2010, dep. 21/04/2011), n.9163

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ISMEA – Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare, in

persona del legale rappresentante Elettivamente domiciliato in Roma,

Via Zanardelli, n. 36, nello studio dell’Avv. PUCCIONI Paolo, che lo

rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimati –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

n. 66/35/05, depositata il 25 ottobre 2005;

Sentita la relazione della causa svolta alla Pubblica udienza del 14

dicembre 2010 dal consigliere Dott. Pietro Campanile;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Vincenzo Gambardella, il quale ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

1 – L’ISMEA, quale incorporante della Cassa per la Formazione della Piccola proprietà Contadina, proponeva ricorso avverso il silenzio – rifiuto formatosi in ordine all’istanza di rimborso delle somme versate per Irpef ed Ilor, a titolo di acconto, per l’anno 1998 da detta incorporata, sostenendo che la stessa, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88, non poteva essere considerata soggetto passivo d’imposta. In via subordinata veniva invocata l’esenzione dall’imposta ai sensi del menzionato art. 88, comma 2, lett. a).

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio meglio indicata in epigrafe, con la quale veniva confermato il rigetto del ricorso da parte del giudice di primo grado, l’Ismea propone – nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze e dell’Agenzia delle Entrate – ricorso per cassazione, affidato a due motivi, ciascuno articolato in due profili di censura.

1.1 – Le parti intimate non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

2. Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità, per difetto di legittimazione, del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, che non è stato parte del giudizio d’appello, instaurato contro la sola Agenzia delle entrate, nella sua articolazione periferica, dopo la data del 1 gennaio 2001, con implicita estromissione dell’ufficio periferico del Ministero (Cass., Sez. Un., n. 3166 del 2006).

2.1 – Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 87, comma 1, lett. c), comma 4 e comma 4 bis, art. 88, comma 1 e del D.P.R. n. 200 del 2001, art. 3, comma 1, lett. c), nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

2.2 – Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 87 e 88, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Tali motivi, che presentano significativi punti di connessione, per essere correlati alla natura della Cassa per la Formazione della Piccola Proprietà Contadina e, quindi, dell’ISMEA, quale incorporante, possono essere congiuntamente esaminati.

2.3 – Le tesi dell’Istituto ricorrente sono incentrate, all’esito di un analitico richiamo degli interventi normativi inerenti alla Cassa per la formazione della piccola proprietà contadina, in primo luogo, sulla collocazione di detta Cassa fra gli organi facenti parte dell’Amministrazione statale, e, in subordine, sull’esenzione determinata dall’esercizio di attività non commerciale, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. c) (T.U.I.R.) (“enti .. che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali”) , posto in relazione al successivo art. 88, comma 2, lett. a), secondo cui “l’esercizio di funzioni statali da parte di enti pubblici” non costituisce attività commerciale.

2.4 – Quanto al primo aspetto, appare evidente come la citata L. n. 121 del 1948, art. 9, con specifico riferimento all’indicazione delle modalità operative (“La Cassa provvede all’acquisto dei terreni, alla loro eventuale lottizzazione e alla rivendita a coltivatori diretti soli o associati in cooperativa”), nonchè della sua eterogenea composizione (“Alla Cassa partecipano lo Stato, i consorzi di bonifica e gli enti di colonizzazione. Possono farne patte gli istituti di credito, assicurazioni e previdenza che siano autorizzati dal Ministro per il Tesoro”) ponga in evidenza che trattasi di ente pubblico strumentale, in quanto agisce utilizzando mezzi di diritto comune. Deve richiamarsi, in proposito, oltre all’acquisto e alla rivendita dei terreni, anche l’attività di finanziamento prevista dalla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 12.

D’altra parte, la natura di ente pubblico economico della Cassa risulta evidente ove si ponga mente al suo accorpamento con l’Istituto per studi, ricerche e informazioni sul mercato agricolo, ai sensi del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 419, art. 6, comma 5, inteso, per l’appunto, al riordinamento del sistema degli enti pubblici nazionali.

2.5 – Quanto al profilo fondato sull’esercizio di funzioni statali, tali da deprivare l’attività svolta dal citato ente del carattere commerciale ai sensi del richiamato art. 88, comma 2 lett. a), del cit. T.U.I.R., appare evidente come nel ricorso venga posto in rilievo lo scopo indirettamente perseguito dallo Stato mediante la Cassa, prima, e l’ISVEA dopo (di talchè il richiamo al D.P.R. n. 200 del 2001, art. 3, appare privo di pregio), laddove, per i fini che qui interessano, assume particolare pregnanza il rapporto di tipo strumentale dell’attività in concreto esercitata con le finalità pubbliche (riordino della proprietà contadina) perseguite dall’ente medesimo. Cioè a dire che le invocate “funzioni statali”, tali da rendere – secondo la tesi del ricorrente – la Cassa esente da imposta, non possono individuarsi nel compimento di negozi di diritto comune in materia di compravendita e di mutui dalla stessa effettuato, così evidentemente non esercitando funzioni statali:

tale ricorso, finalizzato al procacciamento di mezzi finanziari (come i redditi derivanti dalla gestione del credito), assume un connotato oggettivamente commerciale, ed essendo meramente strumentale rispetto ai fini istituzionali dell’ente, non può comportare esenzione dall’imposta.

Questa Corte, con orientamento costante, ha affermato il principio secondo cui la natura commerciale dell’ente, va valutata in relazione all’oggetto (cioè all’attività svolta, strumentale agli scopi) e non agli scopi dello statuto (comma 4 del citato art. 87, analogo, sotto tale aspetto, ai commi 4 e 4 bis che lo hanno sostituito, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data del 31 dicembre 1997, in forza del D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 1, comma 1), mentre la principalità dell’attività commerciale svolta va messa in relazione (secondo un giudizio di essenzialità per il loro conseguimento) con gli scopi (Cass., 15 marzo 2004, n. 5258; Cass., 14 aprile 2010, n. 8841).

Orbene, indipendentemente dal perseguimento o meno di finalità lucrative, che non rilevano, lo stesso ente ricorrente non deduce, nè dimostra, incombendo – trattandosi di esenzione – il relativo onere a suo carico, che le attività sopra indicate non abbiano prodotto redditi d’impresa rilevanti ai fini dell’imposta sui redditi.

Tale aspetti essenziali della controversia risultano ben evidenziati – sia pure in termini sintetici – nell’impugnata decisione, anche con il riferimento alla giurisprudenza formatasi in relazione al previdente D.P.R. n. 598 del 1973, a prescindere dal rilievo che il difetto di motivazione deve rapportarsi alla ricostruzione degli elementi fattuali, nella specie non contestati, e non già alle mere valutazioni di natura giuridica, da denunciarsi esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, senza alcuna statuizione in merito alle spese processuali, non avendo le parti intimate svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze e rigetta il ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle Entrate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta – tributaria, il 14 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2011

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