Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9163 del 16/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 16/04/2010, (ud. 18/03/2010, dep. 16/04/2010), n.9163

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sui ricorsi riuniti nn. 8520/06 R.G. e 8668/06 R.G. proposti da:

Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro

p.t., e Agenzia delle entrate, in persona del Direttore p.t.,

domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO che li rappresenta e difende secondo la legge;

– ricorrenti –

contro

– New Hotel Palace, s.r.l., in persona del legale rappresentante

Signor L.M.M., elettivamente domiciliata in Roma, via

Federico Confalonieri, n. 1, presso l’Avvocato Giuseppe Piero

Siviglia, rappresentata e difesa dall’Avvocato SAMMARTINO SALVATORE

per procura speciale a margine del controricorso;

– Paradise Dallas di Tommaso Li Mandri & C. s.n.c., in persona

del

legale rappresentante Signor L.M.S., elettivamente

domiciliata in Roma, via Federico Confalonieri, n. 1, presso

l’Avvocato Giuseppe Piero Siviglia, rappresentata e difesa

dall’Avvocato Salvatore Sammartino per procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

Rispettivamente avverso le sentenze n. 56/24/04 (erroneamente

indicata in ricorso con la sigla 56/24/05) e n. 53/24/04

(erroneamente indicata in ricorso con la sigla 53/24/05), entrambe

della Commissione tributaria regionale della Sicilia, depositate il

25.1.2005;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 18 marzo 2010 dal relatore Cons. Dott. Giuseppe Vito Antonio

Magno;

Uditi, per i ricorrenti, l’Avvocato dello Stato Giovanni Palatiello

e, per le contro ricorrenti, l’Avvocato Salvatore Sammartino;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- Dati del processo.

1.1.- Il ministero dell’economia e delle finanze e l’agenzia delle entrate ricorrono (ricorso n. 8520/06 R.G.), con quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 56/24/04, indicata in epigrafe che, rigettando l’appello dell’ufficio (e quello incidentale proposto dalle contribuenti in ordine alle spese di lite), confermava la sentenza n. 294/5/2002 con cui la commissione tributaria provinciale di Trapani aveva accolto il ricorso congiuntamente proposto dalle ditte Paradise Dallas s.n.c. e New Hotel Palace, s.r.l. – venditrice ed acquirente, con atto registrato il 20.3.1997, della metà indivisa di un complesso immobiliare sito in Marsala – avverso l’avviso di liquidazione dell’imposta suppletiva di registro e delle imposte ipotecarie e catastali, notificato il 17.8.1998 in conseguenza dell’accertamento che l’atto, originariamente registrato a tassa fissa, riguardava una cessione d’azienda ed era quindi soggetto ad imposta in misura proporzionale, determinata complessivamente in L. 164.270.000.

1.2.- Col ricorso iscritto al n. 8668/06 R.G., riunito al presente con ordinanza in data odierna, il ministero dell’economia e delle finanze e l’agenzia delle entrate chiedono annullarsi, in base a cinque motivi, la sentenza n. 53/24/04, pure citata in epigrafe, con cui la commissione regionale della Sicilia, rigettando l’appello dell’ufficio (e quello incidentale proposto dalle contribuenti in ordine alle spese di lite), confermava la sentenza n. 641/5/1999 della commissione tributaria provinciale di Trapani, che aveva accolto il ricorso congiuntamente proposto dalle ditte Paradise Dallas s.n.c. e New Hotel Palace s.r.l. avverso l’avviso di liquidazione dell’imposta suppletiva di registro e delle imposte ipotecarie e catastali, per la complessiva somma di Lire 23.670.000, afferente all’accertamento di maggior valore (da Lire 1.500 milioni a Lire 1.700 milioni) dello stesso bene ceduto.

1.3.-. Le nominate società intimate resistono, in entrambe le cause, mediante controricorso.

2.- Questioni pregiudiziali.

2.1.- L’eccezione d’inammissibilità di ciascuno dei ricorsi riuniti, formulata dalla contro ricorrente per essere stata erroneamente citata la sigla identificativa delle sentenze impugnate (56/24/05, anzichè 56/24/04, e 53/24/05, anzichè 53/24/04), è infondata e deve essere disattesa.

2.1.1.- L’indicazione erronea (e l’omessa indicazione) degli elementi numerici e di data, identificativi della sentenza impugnata, non costituisce requisito di validità dell’atto di impugnazione, che deve ritenersi ammissibile allorchè simile errore materiale non determini incertezza riguardo all’identificazione del provvedimento impugnato, depositato insieme col ricorso, il cui contenuto sia congruente con quello della sentenza erroneamente citata (S.U. n. 15603/2001; Cass. nn. 22034/ 2006, 22661/2004, 12389/2003; in tema d’appello, Cass. n. 16921/2007).

2.1.2.- Nel caso di specie, nessun dubbio può sussistere sul fatto che le sentenze impugnate siano quelle citate in epigrafe, dal momento che esse sono state depositate in giudizio e che i ricorsi, perfettamente congruenti con le relative statuizioni, ne riproducono testualmente, a pag. 3, la parte motiva.

2.2.- I ricorsi proposti dal ministero dell’economia e delle finanze ed i controricorsi, in quanto rivolti contro lo stesso ministero, sono inammissibili, poichè tale amministrazione – cui è succeduta l’agenzia delle entrate a far data dal 1.1.2001 – non fu parte nei giudizi d’appello, introdotti con atti rispettivamente depositati il 28.1.2004 ed il 2.4.2003, avendo partecipato a tali giudizi solo l’ufficio di Marsala di detta agenzia, unica legittimata pertanto in questo giudizio di cassazione (Cass. n. 9004/2007).

2.2.1.- Le relative spese debbono essere interamente compensate fra le parti, essendo i suddetti atti reciprocamente inammissibili.

3.- Motivi del ricorso.

3.1.- L’agenzia ricorrente censura le sentenze impugnate coi seguenti quattro motivi, di identico contenuto:

3.1.1.- col primo motivo, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronunzia sul contenuto essenziale dell’atto d’appello, centrato sul rilievo che il contratto di compravendita immobiliare dedotto in lite è parte di una fattispecie negoziale più complessa, avente ad oggetto un trasferimento d’azienda, elusivamente attuato mediante vendite frazionate di beni;

3.1.2.- col secondo motivo, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4, e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa motivazione, dovendosi considerare solo apparente quella che si limiti ad esporre la nozione giuridica di azienda, senza esaminare il caso concreto alla luce della regula juris individuata;

3.1.3.- col terzo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, poichè la commissione regionale – disattendendo l’istanza di riunione dei procedimenti aventi ad oggetto, come questo, il trasferimento di singole parti del complesso aziendale, e ravvisando nella pattuizione qui in esame la cessione di una quota immobiliare, anzichè d’azienda – avrebbe implicitamente ritenuto irrilevante, ai fini dell’imposta di registro, il collegamento asseritamente esistente fra i diversi negozi stipulati dalle parti;

3.1.4.- col quarto motivo, violazione e falsa applicazione dell’art. 2555 c.c., per avere, accogliendo la nozione di azienda in senso restrittivo, escluso, nonostante i numerosi elementi di fatto addotti dall’ufficio, relativi alla complessa operazione negoziale posta in essere dalle parti, che il singolo bene trasferito (porzione immobiliare) mediante il contratto di cui si discute possa intendersi come parte di azienda.

3.2.- L’agenzia delle entrate censura, inoltre, la sentenza n. 53/24/04, col quinto motivo del ricorso n. 8668/06 R.G., per “erronea motivazione su punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, per avere la commissione regionale rigettato la pretesa fiscale di maggior valore del bene ceduto argomentando erroneamente sulla presunta assenza di logica e adeguata motivazione dell’atto impositivo.

4.- Decisione.

4.1.- Il primo motivo dei ricorsi riuniti deve essere rigettato, per infondatezza; gli altri tre motivi ed il quinto motivo del ricorso n. 8668/06 R.G. sono fondati e debbono essere accolti, nei termini di ragione di seguito espressi. Previa cassazione delle sentenze impugnate, in relazione ai motivi accolti, la causa deve essere rinviata ad altra sezione della commissione tributaria regionale della Sicilia, che rinnoverà il giudizio uniformandosi ai principi esposti ai par. 5.4.2, 5.4.3, 5.5.4, e provvederà anche sulle spese di questo giudizio di cassazione.

5.- Motivi della decisione.

5.1.- Le sentenze in esame sono criticate, essenzialmente, per violazione della norma che impone, per una corretta applicazione dell’imposta di registro e delle altre imposte collegate, di tener conto dell’intrinseca natura e degli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anzichè del titolo o della forma apparente di essi, eventualmente difformi dall’effettivo contenuto e dallo scopo complessivo delle diverse pattuizioni negoziali.

Tale argomento, esposto sub specie di violazione di legge (terzo e quarto motivo di ricorso), ovvero di difetto di pronunzia e di motivazione (primo e secondo motivo), è comune a tutte le censure sopra riassunte al par. 3.1, che quindi debbono essere esaminate congiuntamente.

5.2.- La contribuente premette (controricorsi, pag. 7) che “L’Ufficio… ha espresso nell’atto di appello talune argomentazioni volte a cogliere la presunta volontà contrattuale delle parti diversa da quella chiaramente emergente dall’atto pubblico”, e che, sempre secondo l’ufficio, “le parti avrebbero voluto stipulare una cessione di azienda piuttosto che la cessione pro quota del diritto di proprietà su di un complesso immobiliare”.

Sostiene, però, che l’agenzia tende inammissibilmente ad ottenere, attraverso il ricorso per cassazione, un nuovo giudizio di merito sui fatti accertati dal giudice tributario; e che, comunque, la commissione regionale avrebbe “adeguatamente pronunciato su tale domanda di riforma della pronuncia di primo grado, rigettandola e confermando nel merito la valutazione dei fatti già operata dalla Commissione Tributaria Provinciale”, almeno come “reiezione implicita della domanda”. Nega, infine, che l’agenzia abbia prodotto in giudizio i documenti necessari per dimostrare il “collegamento negoziale” cui fa riferimento.

Tali eccezioni – salvo quella sull’infondatezza della censura di omessa pronunzia – debbono essere disattese.

5.2.1.- E’ evidente, dalla lettura delle sentenze impugnate, che esse non contengono alcuna motivazione diretta a giustificare il rigetto della pretesa erariale, che dal dedotto “collegamento negoziale” fra il contratto in parola e gli altri stipulati fra le parti trae elementi utili per appurare l’effettiva volontà dei contraenti.

Il rigetto di tale pretesa, senza avere adeguatamente esaminato l’argomento centrale dell’atto d’appello e motivato il superamento di esso, non costituisce omissione di pronunzia – quindi il primo motivo di ricorso è infondato, come ben rileva la contribuente -, dato che una pronunzia (implicita di rigetto) esiste; ma questa è criticabile per le ragioni esposte negli altri motivi di censura.

5.2.2.- Questi ultimi concernono omessa motivazione e violazione di legge – vizi effettivamente sussistenti, per quanto si dirà, quindi non sono diretti ad ottenere, in sede di legittimità, una valutazione dei fatti diversa da quella formulata dal giudice di merito, posto che, in ordine al fatto del “collegamento negoziale”, il giudicante a quo non ha espresso alcun motivato giudizio.

5.2.3.- Quanto alla mancata produzione in giudizio dei contratti collegati, è sufficiente osservare che tale produzione non era necessaria, dato che non si nega l’esistenza, il contenuto e la successione cronologica di tali contratti, puntualmente riferiti dall’agenzia nel ricorso in esame, formanti oggetto di distinte procedure pendenti davanti alla stessa commissione; la quale avrebbe ben potuto valutare come dovrà fare necessariamente il giudice del rinvio – l’opportunità della riunione, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 29, anche a prescindere dalla richiesta di parte, stante l’evidente connessione.

5.3.- Il vizio di motivazione apparente, quindi sostanzialmente omessa, dedotto col secondo motivo, si riscontra effettivamente nelle sentenze impugnate sia nella parte in cui confermano quelle di primo grado in base alla mera enunciazione della nozione di azienda, reperibile nel codice civile, senza spiegare in qual modo e per quali specifiche ragioni la fattispecie concreta – concernente cessione della quota indivisa di un immobile appartenente ad un’impresa commerciale già esercente stabilimento balneare, inquadrabile in una serie di successivi contratti con cui era infine stata trasferita l’intera azienda – non avrebbe alcuna attinenza con la predetta nozione; sia nella parte in cui, con riguardo alla dedotta (e disattesa) necessità, ai fini della corretta applicazione della legge di registro, di desumere l’effettivo e unitario intento negoziale dal complesso delle pattuizioni stipulate, si limitano a dichiarare, senza spiegarne i motivi, che, fuori dalle ipotesi di trasferimento di azioni o di quote delle società di capitali, “il trasferimento o la cessione di un fattore della produzione, che può essere costituito da un bene mobile o immobile o da qualsiasi altro bene o diritto, anche immateriale, non costituisce in nessun caso, alienazione di tutta o di parte dell’azienda, ma solo trasferimento di un bene o di una parte di un bene dell’azienda”; e che (sempre immotivatamente) sarebbe “non… accettabile l’assunto dell’Ufficio delle Imposte, secondo il quale si sarebbe verificato, ne tempo, un processo graduale di cessione di azienda realizzato attraverso una successione di atti pubblici”.

5.3.1.- In proposito, ed innanzitutto, non vale eccepire l’inammissibilità della doglianza (controricorsi, pagg. 9, 10), per aver fatto la ricorrente riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, concernente i casi di nullità della sentenza, anzichè al n. 5, relativo all’ipotesi denunziata di omessa motivazione.

In effetti, l’omessa e, a fortiori, l’erronea individuazione delle norme di diritto di cui si denuncia la violazione, pur determinando una non precisa formulazione dei motivi d’impugnazione, non comporta l’inammissibilità del ricorso per cassazione quando sia possibile identificare il principio di diritto che si assume violato, attraverso le ragioni addotte dal ricorrente, e sia quindi inequivocamente delimitato il quid disputandum (Cass. nn. 12929/2007, 20292/2004, 11202/2003, 3997/2003, 4567/1999, 9774/1996, 7886/1994, 10501/1993).

Nel caso specifico, la difesa erariale lamenta espressamente il difetto di “ogni traccia del ragionamento seguito dal Collegio” per tradurre sul piano pratico, della “fattispecie concreta sottoposta al suo giudizio”, la nozione di azienda declamata in termini puramente teorici. Si tratta, pertanto, della denunzia di un vizio di omessa motivazione, chiaramente individuabile dal ricorso, a prescindere dalla norma di riferimento citata.

5.3.2,- In secondo luogo, tale vizio della motivazione, effettivamente sussistente nelle sentenze impugnate, non è rimediabile, per la parte in cui riguarda norme di diritto, mediante intervento correttivo ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, perchè il dispositivo non è conforme al diritto.

5.4.- In effetti, le censure di violazione di legge contenute nel terzo e nel quarto motivo di ricorso (par. 3.1.3 e 3.1,4) sono ammissibili e fondate.

5.4.1.- L’eccezione di “novità”, dedotta dalla contribuente (controricorso, pag. 10) in relazione al terzo motivo, è assolutamente pretestuosa: non si comprende, infatti, in qual modo possa considerarsi “nuova” in cassazione la censura proposta per violazione di norme di legge, in cui sia incorsa la sentenza d’appello. Altrettanto infondata, per le stesse ragioni esposte al par. 5.3.1, è l’eccezione d’inammissibilità del quarto motivo (controricorso, pagg. 11, 12), per mancanza di riferimento ad una delle ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1: col motivo di censura in questione si lamenta invero, senza possibilità di equivoco, una violazione di legge.

5.4.2.- Secondo la costante giurisprudenza di questa suprema corte, pienamente condivisa dal collegio, in tema d’interpretazione degli atti ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, il criterio fissato dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, – per cui rilevano l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli stessi, al di là del titolo e della forma apparente comporta che, nella qualificazione di un negozio, deve attribuirsi rilievo preminente alla sua causa reale ed alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti; cosicchè l’intenzione effettiva dei contraenti, di trasferire non un singolo bene o parte di esso, ma l’intera azienda o parte di essa come risultato finale della complessa negoziazione – caso in cui deve applicarsi l’imposta proporzionale di registro – deve essere accertata dal giudice tributario di merito, previa riunione di tutte le cause aventi ad oggetto i singoli contratti, attraverso l’esame congiunto delle singole pattuizioni, stipulate contestualmente o non contestualmente;

ciò a prescindere dalla sussistenza o insussistenza di un intento elusivo (Cass. nn. 11769/2008, 13580/2007, 273/2007, 10660/2003, 2713/2002, 14900/2001). Sono quindi errate, per violazione di legge, le sentenze della commissione regionale che, rigettando senza motivazione (implicitamente) l’istanza d’indagine sulla reale intenzione delle parti, desumibile dal risultato finale ottenuto mediante una pluralità di contratti successivi, dimostra di avere falsamente interpretato, o comunque disatteso, il precetto contenuto nel citato art. 20.

5.4.3.- Infine, le sentenze sono errate, per violazione di legge, anche con riguardo all’articolo 2555 c.c. sia laddove pretendono di derivare, dalla nozione civilistica di azienda, conseguenze immediate e dirette in campo tributario, senza la mediazione dei principi, sopra enunciati (par. 5.4.2), validi particolarmente in ordine all’interpretazione degli atti da sottoporre a registrazione (ma anche in materia di IVA, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 2, comma 3, lett. b); sia, soprattutto, dove afferma che “Se mancano i fattori della produzione e il collegamento e l’organizzazione degli stessi fatti dall’operatore economico, non vi è nè azienda nè impresa”, e che neppure possa mai ravvisarsi un trasferimento di parte dell’azienda attraverso la cessione di un bene potenzialmente produttivo: così ignorando che, ai fini dell’assoggettamento all’imposta di registro, non si richiede che l’esercizio dell’impresa sia attuale, essendo sufficiente l’attitudine potenziale all’utilizzo del bene ceduto per un’attività d’impresa; e che la cessione d’azienda o di ramo d’azienda non è esclusa per il fatto che non risultino cedute anche le relazioni finanziarie, commerciali e personali (Cass. nn. 23857/ 2007, 897/2002); salvo che l’azienda non esistesse affatto, prima dei singoli trasferimenti dei beni con cui è stata ricomposta (Cass. n. 1913/2007).

5.5.- Il quinto motivo (par. 3.2), con cui si censura la sentenza n. 53/24/04 per “erronea” motivazione su un punto decisivo, è innanzitutto ammissibile, diversamente da quanto opina la difesa delle controricorrenti.

5.5.1.- Il concetto di “erroneità” della motivazione comprende, infatti, quello d’insufficienza – espressamente menzionato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – sul piano argomentativo e logico; il punto criticato, d’altra parte, è decisivo, poichè il giudizio sulla congrua motivazione dell’avviso di accertamento e liquidazione attiene alla validità formale dell’atto impositivo, quindi è preliminare – anche se è stato illogicamente posposto dalla commissione regionale rispetto a quello di merito, concernente la qualificazione, come bene singolo o come porzione aziendale, del cespite ceduto.

5.5.2.- La censura è anche fondata, come si ricava dal raffronto tra l’affermazione apodittica, priva di qualunque supporto motivazionale, contenuta in sentenza, e le ragioni esposte nell’avviso, diligentemente trascritte nel ricorso erariale, per cui l’ufficio aveva aumentato il valore dichiarato dalle parti.

5.5.3.- Il giudicante a quo infatti assicura, senza motivare il proprio convincimento, che “negli atti di accertamento manca anche una logica e adeguata motivazione riguardo l’aumento del valore dell’immobile alienato”; invece, l’atto di cui si discute era motivato nel modo seguente, non contestato specificamente dalle controparti: “Trattasi di cessione di complesso aziendale… al quale viene attribuito il valore di L. 3.400.000.000 per l’intero e, quindi, L. 1.700.000.000 alla metà indivisa trasferita, pari al valore dichiarato nel precedente trasferimento di altra metà indivisa, effettuato con atto in Notar Leonardo Pizzo del 4.2.1997”.

L’aumento di valore del bene era stato quindi adeguatamente e logicamente motivato dall’ufficio, con riferimento sia ad un’equazione matematica elementare (il valore della metà indivisa di un bene non può essere inferiore al risultato della divisione per due del valore dell’intero cespite) sia ad un precedente fatto storico (il valore dell’altra metà indivisa, oggetto di un precedente contratto, era stato correttamente indicato).

5.5.4.- Il contrario giudizio della commissione regionale è dunque “erroneo” (i.e. illogico ed insufficiente), poichè smentisce una realtà autoevidente, come un assioma matematico, senza giustificare simile scostamento.

6.- Dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Dichiara inammissibili i ricorsi proposti dal ministero dell’economia e delle finanze e compensa interamente fra le parti le relative spese. Accoglie il secondo, terzo, quarto e quinto motivo dei ricorsi proposti dall’agenzia delle entrate; rigetta il primo motivo; cassa le sentenze impugnate in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, ad altra sezione della commissione tributaria regionale della Sicilia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile – Tributaria, il 18 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2010

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