Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9163 del 10/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 10/04/2017, (ud. 19/01/2017, dep.10/04/2017),  n. 9163

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5827/2015 proposto da:

M.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEL CORSO 433/D, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI

SPINAPOLICE, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

PULISAN S.R.L., SACLEM S.R.L., ITACA S.R.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1383/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 20/08/2014 R.G.N. 4357/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2017 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI;

udito l’Avvocato GIOVANNI SPINAPOLICE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Bari ha riformato la sentenza del Tribunale di Foggia che aveva condannato la Pulisan s.r.l. al pagamento in favore di M.A. della somma di Euro 2.698,71 a titolo di risarcimento del danno conseguente al licenziamento intimato dalla società oltre che per il periodo di disoccupazione (dal 1.10.2007 al 2.1.2008) intercorso tra la risoluzione del rapporto con la Pulisan e la assunzione da parte della Puliservice s.r.l. subentrata alla Saclem s.r.l. (che a sua volta era subentrata alla Puliservice).

2. La Corte territoriale accertava che nella denunciata violazione dell’art. 4 del c.c.n.l. delle imprese di pulizie era incorsa la società Saclem che era subentrata alla Pulisan e che, invece, non era ravvisabile in capo alla società Pulisan uscente alcuna responsabilità per il periodo di disoccupazione sofferto dal lavoratore.

3. Per la Cassazione della sentenza ricorre M.A. che articola quattro motivi. Le società Pulisan s.r.l., Saclem s.r.l. e Itaca s.r.l. sono rimaste intimate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 4 del c.c.n.l. del settore delle pulizie per avere la Corte territoriale omesso di considerare che la società Pulisan s.r.l. non aveva attivato la procedura prevista dalla citata norma per il caso di cessazione dall’appalto di pulizie.

5. Con il secondo motivo di ricorso ci si duole dell’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, che, in violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, aveva ritenuto ragionevole il lasso di tempo di un mese entro il quale era stata attivata la procedura prevista dal citato art. 4 del c.c.n.l..

6. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta ancora l’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, in violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che ha ritenuto l’impugnazione del licenziamento pregiudiziale alla procedura di cui all’art. 4 c.c.n.l. cit.. Che la sua mancata attivazione pregiudichi ogni forma di risarcimento e che, ancora, l’attivazione della procedura ex art. 4 c.c.n.l. implichi acquiescenza al licenziamento stesso.

7. Con l’ultimo motivo di ricorso, infine, si denuncia la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 e dell’art. 4 del c.c.n.l. più volte richiamato. Sostiene il ricorrente che seguendo il ragionamento della Corte di appello, escludendo che sia dall’impugnativa del licenziamento che dall’attivazione della procedura prevista dall’art. 4 c.c.n.l. possa conseguire il diritto al risarcimento del danno, si dovrebbe ritenere che sia necessario attivare entrambe le strade sebbene tale opzione non sia stata positivamente prevista.

8. Tanto premesso ritiene il Collegio che le censure siano in parte inammissibili ed in parte infondate.

8.1. Oggetto del contendere è la richiesta di risarcimento del danno avanzata dal M. nei confronti della società Pulisan s.r.l. presso la quale l’odierno ricorrente aveva prestato servizio fino al 30 settembre 2007 quando, nel contratto di appalto di pulizie presso il centro commerciale (OMISSIS) gestito dalla Itaca s.r.l., era subentrata la società Saclem s.r.l. la quale, titolare dell’appalto nel periodo dal 1.10.2007 al 31.12.2007, non lo aveva assunto. Al contrario il M. era stato assunto nuovamente dalla Puliservice s.r.l. che dal 2.1.2008 era subentrata alla Saclem s.r.l..

8.2. La Corte territoriale, con accertamento in fatto in questa sede non censurabile, ha positivamente verificato che in ossequio a quanto previsto dall’art. 4 del più volte ricordato c.c.n.l. del settore delle imprese di pulizie – in base al quale nel caso di cessazione dall’appalto di servizi e di subentro di nuova società a parità di termini modalità e prestazioni contrattuale la società subentrante è tenuta a procedere all’assunzione del personale in servizio sull’appalto (comma 1) e, in caso di modifiche, deve, previo accordo con le organizzazioni sindacali, far fronte alle maturate esigenze tecniche organizzative dell’appalto (comma 2) – la Pulisan s.r.l. aveva attivato la procedura prevista dalla norma collettiva per ottenere l’assunzione del personale in servizio presso la committente da parte del nuovo titolare dell’appalto e che l’inadempimento era imputabile esclusivamente alla società Saclem che alla Pulisan era subentrata.

8.3. Così facendo la Corte nell’ escludere che fosse ravvisabile in capo alla società cedente alcuna responsabilità per il periodo di disoccupazione sofferto dal lavoratore non è incorsa nella denunciata violazione dell’art. 4 del c.c.n.l.. Va peraltro notato che la censura non investe la motivazione della Corte di appello che spiega con puntualità le ragioni in base alle quali ha ritenuto di escludere la responsabilità della società cedente. Nè dal ricorso per cassazione è possibile evincere se nei confronti della Saclem s.r.l., fossero state presentate domande risarcitorie posto che per tale aspetto il ricorso si manifesta del tutto generico.

8.4. Quanto alle censure oggetto del secondo e del terzo motivo di ricorso va rilevato in primo luogo che la sentenza della Corte di appello è stata depositata il 20 agosto 2014. Trova applicazione, pertanto, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (che si applica ai procedimenti pendenti la cui sentenza di appello sia stata pubblicata successivamente all’entrata in vigore delle citate norme) con il quale è introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che ai fini di una rituale proposizione della censura alla parte ricorrente è richiesto, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, di indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”. L’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Inoltre è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. per tutte Cass. S.u. 07/04/2014 n. 8053e 8054).

8.5. Orbene nel caso in esame le censure sono piuttosto formulate secondo la schema del vizio di insufficienza e contraddittorietà della motivazione non più ammissibile e senza che sia stato specificatamente indicato il fatto storico decisivo pretermesso.

8.6. L’ultimo motivo di ricorso prima ancora che infondato è inammissibile poichè non è dato comprendere in cosa consista la denunciata violazione di legge.

9. In conclusione per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato.

La mancata costituzione delle società rimaste intimate esonera dal provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

10. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).

PQM

La Corte, rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2017

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