Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9162 del 21/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 21/04/2011, (ud. 14/12/2010, dep. 21/04/2011), n.9162

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, nei cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi, 12,

è domiciliata;

– ricorrente –

contro

DISSETANTI S.a.s. di Cacciapuoti Francesco & C. –

C.

G. – C.F.;

– intimati –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, n. 121, depositata il 27 ottobre 2003;

Sentita la relazione della causa svolta alla Pubblica udienza del 14

dicembre 2010 dal Consigliere Dott. Pietro Campanile;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Vincenzo Gambardella, il quale ha concluso per l’accoglimento

del ricorso.

Fatto

1 – Con ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Caserta la S.a.s. Dissetanti di Cacciapuoti Francesco & C., nonchè i soci G. e F. impugnavano l’avviso di rettifica per l’anno 1994, con il quale, sulla base di un p.v.c. redatto dalla Guardia di Finanza di Nola, e, segnatamente, sulla scorta dell’esame della documentazione extracontabile e bancaria della società e dei soci, veniva contestata l’omessa fatturazione di operazioni imponibili per un importo complessivo di L. 233.199.829.

Veniva dedotto, per quanto qui maggiormente interessa, che sarebbero state recepite, senza effettuare alcuna valutazione critica, le conclusioni della Guardia di Finanza e che le risultanze dei conti correnti bancari dei soci, estranei all’attività dell’impresa, sarebbero state illegittimamente utilizzate.

1.1 – La Commissione tributaria provinciale di Caserta accoglieva il ricorso.

1.2 – La Commissione tributaria regionale della Campania, con la decisione indicata in epigrafe, rigettava l’appello proposto dall’ufficio periferico dell’Agenzia delle Entrate avverso detta sentenza, rilevando che i dati bancari relativi ai conti correnti dei soci, in assenza, per altro, della preventiva autorizzazione alla loro acquisizione, costituivano dati privi dei requisiti richiesti dall’art. 2729 c.c., in quanto, “specie nelle società personali formate da più familiari, i movimenti bancari possono non essere riconducibili all’attività dell’impresa”.

1.3 – L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso avverso tale decisione, sulla base di tre motivi, chiedendone la cassazione.

Le parti intimate non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

2. – Preliminarmente deve darsi atto della tempestività del ricorso, in quanto, avendo l’Agenzia delle Entrate usufruito della sospensione dei termini prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 16, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato il principio secondo cui tale disposizione, nella parte in cui prevede la definizione delle liti pendenti e le relative condizioni, nonchè la sospensione dei termini di impugnazione, non comporta una rinuncia dell’Amministrazione all’accertamento dell’imposta (già effettuato e contestato nella sua legittimità), bensì la definizione di una lite in corso con il contribuente, in funzione della riduzione del contenzioso in atto, secondo parametri rapportati allo stato della lite al momento della domanda di definizione, garantendo la riscossione di un credito tributario incerto, sulla base di un trattamento paritario tra i contribuenti. Esso, pertanto, nella parte in cui si riferisce alle controversie in materia di Iva, non può essere disapplicato per contrasto con la 6^ direttiva n. 77/388/Cee del Consiglio, del 17 maggio 1977, neppure a seguito della sentenza della Corte di Giustizia Ce del 17 luglio 2008, in causa C-132/6, con la quale, in esito ad una procedura di infrazione promossa dalla Commissione Europea, è stata dichiarata l’incompatibilità con il diritto comunitario degli art. 8 e 9 della medesima legge, nella parte in cui prevedono la condonabilità dell’Iva alle condizioni ivi indicate, dovendo tale pronuncia essere interpretata restrittivamente (Cass. 17 febbraio 2010, n. 3676).

2.1 – Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, e degli artt. 2727 e 2727 c.c., nonchè vizio di motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Si sostiene, sotto un primo profilo, che la decisione impugnata si fonda sulla inutilizzabilità e l’inadeguatezza degli accertamenti bancari compiuti nei confronti dei soci, così valutando tali risultanze alla tregua di una presunzione semplice, laddove si tratterebbe di una presunzione legale, ancorchè relativa, posta a carico del contribuente.

2.2 – La censura è fondata, attesa l’evidente erroneità del riferimento, contenuto nella sentenza scrutinata, alla inutilizzabilità dei dati emergenti dai conti correnti dei soci, considerati quali meri indizi.

Mette conto di richiamare, a tale proposito, il consolidato principio secondo cui in tema di accertamento dei redditi (come dell’IVA), le presunzioni, stabilite dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 (e dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2), secondo le quali i singoli dati ed elementi risultanti dai conti bancari sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti rispettivamente previsti dai successivi artt. 38 e 39 (e art. 54), se il contribuente non dimostri che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni (o che non si riferiscono ad operazioni imponibili), hanno un contenuto complesso, consentendo di riferire i movimenti bancari all’attività svolta dalla persona fisica e di qualificare gli accrediti come ricavi e gli addebiti come corrispettivi degli acquisti; che essa può essere vinta dal contribuente il quale offra la prova liberatoria che dei movimenti egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che questi non si riferiscono ad operazioni imponibili” (Cass. n. 3929 del 2002, 2435, 8457 del 2001, 9946 del 2000 e 18421, 26692 e 28324 del 2005, 24995 del 2006, 8634 e 27032 del 2007, 374 del 2009).

2.3 – Tale valutazione deve estendersi ai rapporti bancari comunque riferibili alla società, ancorchè formalmente intestati ad altri soggetti, come i soci. Sotto tale aspetto, deve richiamarsi il principio secondo sui ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, nn. 2 e 7, l’acquisizione, dagli istituti di credito, di copia dei conti bancari intrattenuti con il contribuente e l’utilizzazione dei dati da essi risultanti ai fini delle rettifiche e degli accertamenti (se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non, si riferiscono ad operazioni imponibili), non possono ritenersi limitate, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati alla società, ma riguardano anche quelli formalmente intestati ai soci, amministratori o procuratori generali, allorchè risulti provata dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di singoli dati od elementi di essi (Cass., 15 luglio 2008, n. 19362;

Cass. 30 dicembre 2009, n. 27947; Cass. 5 ottobre 2007, n. 20860;

Cass., 7 settembre 2007, n. 18868).

Lo spessore degli indizi circa la natura fittizia delle intestazioni dei conti correnti bancari attiene alle valutazioni riservate al giudice del merito: in linea di massima si è ritenuto che il rapporto di coniugio o di parentela, ovvero la qualifica di amministratore, determinino un legame talmente stretto da realizzare una sostanziale identità di soggetti, tale da giustificare automaticamente, salvo prova contraria, l’utilizzazione dei dati raccolti (Cass., 1 aprile 2003, n. 4987).

Non si tratta, a ben vedere, di vera e propria inversione dell’onere della prova, bensì di un fenomeno, pur connotato da aspetti parzialmente analoghi, che inerisce al rapporto inferenziale disciplinato dall’art. 2729 c.c.. Invero le presunzioni semplici, dalle quali il giudice del merito, sulla base di regole di esperienza, dalla conoscenza di un fatto secondario deduce l’esistenza del fatto principale ignoto (Cass., 9 febbraio 2004, n. 2431), determinano, come principale conseguenza, l’effetto di rendere superflua la prova che la parte onerata dovrebbe fornire. La controparte, a fronte di un meccanismo probatorio così delineatosi, ha l’onere di dimostrare, deducendo fatti che in qualche modo contrastano con la ricostruzione operata sulla base delle citate regole di esperienza, che la presunzione non può operare, facendo così, in sostanza, venire meno il requisito della concordanza (v.

anche Cass., 27 novembre 1999, n. 13291; Cass., 1 giugno 1991, n. 6206, secondo cui “non costituisce una inversione dell’onere della presunzione da semplice in assoluta il fatto che il giudice, dalla circostanza che facilmente avrebbe potuto offrirsi una indicazione diversa da quella fornita dall’ufficio e il contribuente non ha a ciò provveduto, deduca la conferma di una determinata significabilità degli elementi posti a sostegno della presunzione semplice” (cfr., in termini, Cass., 13 ottobre 2010, n. 21125).

Nel caso di specie, poi, nel ricorso si richiama il processo verbale di constatazione del 23 ottobre 1998, dal quale emerge che sui conti correnti bancari intestati ai soci risultano tratti assegni a favore di ben 43 fornitori della società.

2.4 – Una volta verificata l’utilizzazione dei conti dei soci per effettuare operazioni che riguardano la società, deve operare il principio secondo cui la presunzione di operazioni commerciali non registrate, discendente dalla riscontrata movimentazione di somme su conti formalmente intestati a terzi, non è qualificabile come (inammissibile) presunzione di doppio grado, come pure si sostiene nella decisione impugnata, poichè è la norma a prevedere che i singoli dati ed elementi risultanti dall’indagine bancaria debbono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili (Cfr., per tutte, Cass., 12 gennaio 2009, n. 374).

2.5 – Parimenti fondato è il secondo motivo con il quale si denuncia violazione della L. n. 413 del 1991, art. 18, dell’art. 1362 c.c., e segg., artt. 2320 e 2700 c.c., del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, con riferimento al rilievo della commissione regionale concernente l’assenza di preventiva autorizzazione circa l’utilizzazione dei conti correnti riferiti ai soci.

Va in primo luogo rilevato che nella decisione impugnata si fa espresso riferimento all’utilizzazione dei dati riferiti ai soci “senza preventiva autorizzazione”, aggiungendosi che “l’appellante si limita a ribadire l’esistenza dell’autorizzazione, senza produrre elemento probante di quanto asserito”.

Non è dato di comprendere se la Commissione tributaria regionale abbia tenuto presente la distinzione, operata da questa Corte, fra mancata esibizione ed inesistenza dell’autorizzazione, potendo l’illegittimità essere dichiarata soltanto nel caso in cui dette movimentazioni siano state acquisite in materiale mancanza dell’autorizzazione, e sempre che tale mancanza abbia prodotto un concreto pregiudizio per il contribuente (Cass., 11 luglio 2009, n. 16874).

D’altra parte, la ricorrente sostiene che nel verbale di constatazione della Guardia di Finanza si da atto dell’esistenza dell’autorizzazione in questione, senza che in proposito tale assunto, che fa fede fino a querela di falso (Cass., 12 maggio 2003, n. 7208; Cass. 10 febbraio 2006, n. 2949; Cass., 10 giugno 2008, n. 15311), sia stato valutato dalla Commissione tributaria regionale o risulti validamente contraddetto dagli interessati.

Mette conto di precisare, d’altra parte, che singolarmente il difetto di autorizzazione, nell’impugnata decisione, viene riferito esclusivamente ai conti correnti bancari dei soci, di talchè sembra doversi ritenere che non si dubiti dell’autorizzazione per accedere ai conti correnti bancari riferibili alla società: in tal caso, deve tenersi presente il principio affermato da questa Corte, secondo cui nell’effettuazione di indagini bancarie valide ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi, l’utilizzo dei movimenti effettuati sui conti correnti bancari dei soci implica che l’Amministrazione finanziaria provi, anche tramite presunzioni (come già sopra evidenziato), il carattere fittizio dell’intestazione o la riferibilità alla società delle operazioni, mentre spetta al contribuente fornire la prova contraria (Cass., 254 agosto 2007, n. 18013; Cass. 18 settembre 2003, n. 13819).

2.6 – Il terzo motivo, con il quale si denuncia l’erroneità del riferimento alla questione, per altro valorizzata nella sola decisione di primo grado, della eccessività della percentuale di ricarico sugli acquisti, rimane assorbito, nel senso che la validità dell’accertamento, in quanto fondato sulle risultanze di natura bancaria, prescinde del tutto dall’applicazione di percentuali di ricarico.

2.7 – L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione della decisione impugnata con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale, che farà applicazione dei principi sopra esposti, provvedendo alla regolazione delle spese processuali è presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenze impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della C.T.R. della Campania.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta – Tributaria, il 14 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2011

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