Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9158 del 10/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 10/04/2017, (ud. 15/12/2016, dep.10/04/2017),  n. 9158

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6480-2011 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

VINCENZO TRIOLO, ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO STUMPO, EMANUELE DEI

ROSE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 7750/2009 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 01/03/2010 R.G.N. 4773/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2016 dal Consigliere Dott. RIVERSO ROBERTO;

udito l’Avvocato STUMPO VINCENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – Con la sentenza n. 7750/2009 la Corte d’Appello di Napoli rigettava l’appello principale dell’INPS ed accoglieva parzialmente l’appello proposto da S.G. avverso la pronuncia di prime cure che aveva dichiarato il suo diritto a percepire gli assegni familiari per il nipote B.P. con decorrenza dalla domanda del 15.6.2004. La Corte in particolare escludeva l’operatività della decadenza del D.P.R. n. 639 del 1970, ex art. 47, comma 3, computato il relativo termine dal rigetto del ricorso amministrativo e tenuto conto del ricorso ex art. 700 c.p.c., promosso in data 19.4.1995; condannava pertanto l’INPS al pagamento della prestazione nella misura di Euro 114,65 mensili da aggiornare nella misura di Euro 79,38 dall’1.1.2007, oltre accessori, sostenendo che avesse errato il primo giudice a limitare la propria pronuncia al solo accertamento del diritto.

Avverso detta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’INPS con due motivi di censura illustrati da memoria. S.G. è rimasto intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’INPS denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, come sostituito dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4., comma 1, conv. in L. 14 novembre 1992, n. 434, art. 4., comma 1, con riferimento dall’art. 2698 c.c., in quanto il termine annuale di decadenza dall’azione giudiziaria in discorso andava computato dalla scadenza del termine di 300 giorni dalla data di presentazione della domanda amministrativa (15.6.2004), non rilevando la data di decisione del ricorso amministrativo (19.1.2006) poichè posteriore al termine massimo di 300 giorni dalla presentazione della predetta domanda amministrativa.

1.2. Il primo motivo di ricorso è fondato, in quanto, per giurisprudenza consolidata (Cass. 18097/2016; 8671/2016; 2249/2011; 13276/2007), lo svolgimento della procedura contenziosa, oltre il termine massimo previsto per la sua definizione, non può incidere sul decorso della decadenza in oggetto spostando in avanti il dies a quo per l’inizio del computo del termine decadenziale (non potendo perciò incidervi nè il privato con un ricorso amministrativo tardivo, nè l’amministrazione con un provvedimento amministrativo o una decisione anch’essi tardivi). In questi termini si è pure pronunciata a Sez. Unite la Cassazione con la sentenza n. 12718 del 29/05/2009 stabilendo che “In tema di decadenza dall’azione giudiziaria per il conseguimento di prestazioni previdenziali, il D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47, (nel testo modificato dal D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 4, convertito, con modificazioni, nella L. 14 novembre 1992, n. 438) dopo avere enunciato due diverse decorrenze delle decadenze riguardanti dette prestazioni (dalla data della comunicazione della decisione del ricorso amministrativo o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della detta decisione), individua infine nella “scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo” – la soglia di trecento giorni (risultante dalla somma del termine presuntivo di centoventi giorni dalla data di presentazione della richiesta di prestazione di cui alla L. 11 agosto 1973, n. 533, art. 7, e di centottanta giorni, previsto dalla L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 46, commi 5 e 6), oltre la quale la presentazione di un ricorso tardivo – pur restando rilevante ai fini della procedibilità dell’azione giudiziaria – non consente lo spostamento in avanti del “dies a quo” per l’inizio del computo del termine decadenziale (di tre anni o di un anno). Ne consegue che, al fine di impedirne qualsiasi sforamento in ragione della natura pubblica della decadenza regolata dall’anzidetto art. 47, il termine decorre, oltre che nel caso di mancanza di un provvedimento esplicito sulla domanda dell’assicurato, anche in quello di omissione delle indicazioni di cui al comma quinto del medesimo art. 47″.

1.3. Il riferimento alla scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo, contestualmente ed alternativamente alla previsione del dies a quo costituito dalla comunicazione della decisione sul ricorso ovvero del termine per renderla, assorbe proprio l’eventualità della mancata proposizione di ricorsi, dopo la domanda di prestazione. Il termine per proporre l’azione giudiziaria decorre, dunque, anche dall’esaurimento del procedimento amministrativo. La “scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo”, individua quindi la soglia oltre la quale la presentazione di un ricorso amministrativo tardivo non può essere utilizzata al fine di determinazione del dies a quo del termine di decadenza per il successivo inizio dell’azione giudiziaria e dello spostamento in avanti di esso, ottenibile ormai nel solo limite dello sbarramento costituito della scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo. La scadenza suddetta, costituendo il limite estremo di utilità di ricorsi proposti tardivamente, ma pur sempre anteriormente al suo verificarsi, determina anche l’effetto dell’irrilevanza di un ricorso proposto solo successivamente.

2. Con il secondo motivo l’INPS deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, come sostituito dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4, comma 1, conv. in L. 14 novembre 1992, n. 434, art. 4, comma 1, con riferimento all’art. 700 c.p.c., nella parte in cui la sentenza impugnata aveva affermato che la decadenza sarebbe stata impedita dalla proposizione dell’azione ex art. 700 c.p.c., proposta da S. il 19.4.2005, in quanto la decadenza è impedita solo dalla domanda con cui si chiede I tutela nel merito.

2.1. Il motivo è fondato. Dal punto di vista dell’articolazione nel tempo della vicenda processuale non è contestato che l’intimato abbia agito in giudizio il 29.9.2005 con un’azione ex art. 700 c.p.c., rigettata in data 13.12.2005; e che il successivo reclamo è stato respinto il 9.3.2006. In data 16.5.2006 l’intimato ha agito con l’azione di merito per ottenere la prestazione de qua quando erano però già decorso il termine di decadenza stabilito dal D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, commi 2 e 3.

2.2. Ritiene il collegio, in aderenza ad un risalente precedente di questa Corte (Cass. 17.4.1982, n. 2339), che quando l’atto richiesto per impedire la decadenza consiste nell’esercizio di una azione giudiziaria, non vale ad impedire la decadenza la sola proposizione del ricorso per ottenere un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., poichè detto ricorso è uno strumento che l’ordinamento appresta al solo fine della pronuncia del provvedimento interdittale ed al quale non possono essere attribuiti il carattere e la funzione dell’atto introduttivo del giudizio di merito, che si instaura soltanto con la successiva citazione.

2.3. Nè è possibile aderire all’indirizzo contrario più recente espresso da questa Corte di Cassazione con la sentenza n. 10840 del 25 maggio 2016, giacchè tale mutamento di indirizzo si fonda sulla nuova struttura del procedimento ex art. 700 c.p.c., delineata con la riforma del 2005 (D.L. 15.3.2005 n. 35, conv. in L. 14 maggio 2005, n. 80) la quale ha attenuato la strumentalità del giudizio ex art. 700 c.p.c., rispetto al giudizio di merito, la cui instaurazione da obbligatoria è divenuta facoltativa; talchè, attualmente, il rimedio cautelare anticipatorio è idoneo a soddisfare l’interesse sostanziale della parte anche in via definitiva.

2.4. Tuttavia nel caso in esame la nuova struttura del procedimento d’urgenza non può trovare applicazione atteso che il ricorso ex art. 700 è stato proposto il 29.9.2005, quanto era ancora in vigore la vecchia normativa del procedimento cautelare, in quanto art. 669 octies, comma 6, è stato inserito nel codice di procedura civile dal D.L. 15 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 3, lett. e – bis), conv. in L. 14 maggio 2005, n. 80, ed è entrato in vigore dal 1 marzo 2006 (per effetto del citato D.L. n. 35 del 2005, art. 2, comma 3 quinquies, conv. in L. n. 80 del 2005).

2.5. Il nuovo indirizzo formulato da questa Corte con la pronuncia n. 10840 del 25 maggio 2016 conferma, quindi, da una parte che nel previgente regime del provvedimento cautelare atipico la sola proposizione del ricorso ex art. 700 non fosse idonea ad impedire la decadenza in discorso; e, dall’altra parte, che la nuova tesi affermata dalla Cassazione con la sentenza in discorso sia applicabile ratione temporis ai soli procedimenti d’urgenza instaurati dopo il 1 marzo 2006. Il che non è nel caso di specie.

3. Sulla scorta delle considerazioni fin qui espresse il ricorso va dunque accolto e la sentenza impugnata cassata. Non essendo necessari altri accertamenti di fatto la causa deve essere decisa nel merito con il rigetto della domanda del lavoratore la quale è stata azionata oltre il termine decadenziale di un anno e trecento giorni stabilito dal D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, commi 2 e 3.

4. Le spese dell’intero procedimento possono essere compensate per la successione di pronunce con contenuto differente e per la natura controversa delle questioni trattate.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rigetta la domanda del lavoratore. Compensa le spese dell’intero procedimento.

Così deciso in Roma, la Camera di Consiglio, il 7 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2017

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