Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9158 del 02/04/2019

Cassazione civile sez. II, 02/04/2019, (ud. 10/01/2019, dep. 02/04/2019), n.9158

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8972-2015 proposto da:

B.N., e M.P., rappresentati e difesi

dall’Avvocato FEDELMASSIMO RICCIARDELLI, presso il cui studio a

Roma, via Chiala 125/d, elettivamente domiciliano per procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

R.B., e MA.GI., rappresentati e difesi,

anche disgiuntamente, dall’Avvocato GIUSEPPE TEDESCHI e

dall’Avvocato ALFONSO TEDESCHI ed elettivamente domiciliati a Roma,

via Rubicone 27, presso Tessitore Maria, per procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrenti –

e

CONSORZIO DI BONIFICA DELL’AGRO SARNESE NOCERINO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5148/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 30/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/1/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

R.B. e Ma.Gi., con citazione notificata in data 21/10/1995, nella qualità di proprietari di un fondo intercluso riportato in catasto del Comune di (OMISSIS), hanno convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Torre Annunziata, B.N. e M.P., proprietari di un fondo limitrofo, chiedendo la costituzione di una servitù di passaggio coattivo su una strada carrabile di circa tre metri, con partenza dalla via pubblica (OMISSIS) e procedente lungo il confine sud delle particelle (OMISSIS), il tutto previa determinazione della dovuta indennità. Gli attori hanno dedotto che tale strada, avendo una lunghezza di circa 50 metri ed una larghezza di circa tre metri, costituiva il passaggio più breve e meno dannoso.

I convenuti si sono costituiti ed hanno eccepito che la servitù non riguardava un unico fondo ma due diversi fondi di cui uno, appartenente ad entrambi i coniugi, era interamente edificato, mentre il secondo, appartenente al solo B., era recintato ed utilizzato come passo carrabile di accesso al fabbricato, così da ricadere entrambi tra i beni esenti dalla imposizione di servitù coatta ai sensi dell’art. 1052 c.c..

Integrato il contraddittorio nei confronti dell’Agro Sarnese Nocerino, proprietario del canale di bonifica interposto tra i fondi delle parti in causa, il quale, con nota del 18/9/1996, ha dichiarato di non opporsi alla richiesta di concessione della servitù, il tribunale, con sentenza del 3/7/2005, ha accolto la domanda avanzata dagli attori ed ha dichiarato costituita la servitù di passaggio coattivo in favore del fondo di proprietà dei coniugi R. attraverso quello di proprietà B., stabilendo che l’accesso doveva aver luogo dal cancello carrabile di circa tre metri e lungo i confini sud delle particelle (OMISSIS) del foglio (OMISSIS), previo versamento da parte degli attori dell’indennità di Euro 28.815,40 in favore dei convenuti.

B.N. e M.P. hanno proposto appello, cui hanno resistito R. e Ma. i quali hanno anche proposto appello incidentale avverso la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale aveva limitato la costituzione del diritto reale ad una servitù di passaggio solo pedonale (e con carriola e/o bicicletta).

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello principale ed ha accolto l’appello incidentale, disponendo, in parziale riforma della sentenza impugnata, che la servitù coattiva di passaggio venga praticata anche con i veicoli necessari alla coltivazione del fondo intercluso ed al trasporto dei relativi prodotti.

La corte, in particolare, dopo aver evidenziato che il tribunale aveva ritenuto che il passaggio prospettato dagli attori fosse effettivamente quello più breve, meno dannoso e più fattibili, in conformità con i criteri dettati dall’art. 1051 c.c., e che lo stesso tribunale, discostandosi sul punto dai rilievi svolti dal consulente tecnico d’ufficio, aveva evidenziato che nella fattispecie non si fosse in presenza di un vero e proprio giardino, peraltro inesistente al momento della notifica dell’atto di citazione, come emerso anche dalle testimonianze raccolte, “rivelanti che si trattava in realtà di un orto con piante di pomodori, finocchi, melanzane ed altro”, ha ritenuto che la conclusione assunta dal giudice di primo grado fosse corretta.

Secondo la corte, infatti, l’assunto propugnato dagli appellanti, per i quali, al di là del “giardino”, la servitù si eserciterebbe sulla “casa”, ossia sull’ingresso e sul corridoio-cortile al servizio del fabbricato, della larghezza di tre metri, tanto che ne sarebbe mutato il regime giuridico trasformandosi da proprietà singola in un condominio composto da tutti i potenziali utenti della servitù, con l’inevitabile sottrazione dello spazio medesimo all’utilizzo delle oggettive esigenze del fabbricato, “è sfornito di ogni convincente dimostrazione che valga a ravvisare in concreto i presupposti della esenzione contemplata dall’art. 1051 c.c., u.c.”. Del resto, ha aggiunto la corte, l’esenzione dalle servitù coattive delle case, dei cortili, dei giardini e delle aie, sancita dagli ultimi commi degli artt. 1033 e 1051 c.c., non opera in presenza di situazioni che, come quella di specie, si caratterizzano, alla luce dell’accertamento operato dal consulente tecnico d’ufficio, per una completa interclusione non altrimenti eliminabile.

La corte, inoltre, ha evidenziato che i passaggi alternativi che i convenuti, poi appellanti, hanno prospettato, non si sono rivelati scevri da inconvenienti: intanto, per quanto emerge dalle risultanze istruttorie, il percorso alternativo, lungo ben 192 metri, che, partendo dalla via (OMISSIS) avrebbe dovuto attraversare addirittura due cortili ed un porticato di fabbricato, incuneandosi sotto una pilastratura condominiale dopo aver attraversato una zona altamente edificata, con presenza di animali, appare ictu oculi, al di là del contrasto con l’art. 1051 c.c., u.c. più lungo e sconveniente. Non si può dire, quindi, ha aggiunto la corte, che tale percorso rappresenti un passaggio alternativo valido a quello prospettato dagli attori: senza considerare, ha proseguito la corte, che esso si snoda, come si apprende dalla relazione del consulente tecnico d’ufficio, su un suolo posto a sud di quello di proprietà dei coniugi R.- Ma., di proprietà di terzi rimasti estranei al giudizio, nei confronti dei quali il contraddittorio non è mai stato integrato. La tesi degli appellanti, supportata da risultanze documentali che sarebbero state trascurate ingiustamente in primo grado, non può essere – ha aggiunto la corte – seguita: in tale prospettazione, le particelle a sud del fondo intercluso apparterrebbero a parenti dell’appellato R., come si evincerebbe da un atto notarile del 5/6/1979, tempestivamente esibito in giudizio senza opposizione della controparte: la corte, sul punto, ha confermato il giudizio di irritualità della produzione documentale già espresso dal tribunale evidenziando: – innanzitutto, che un rogito datato 5/6/1979 non era mai stato prodotto dai convenuti appellanti, essendo quello prodotto datato 19/5/1979; – in ogni caso, che la produzione all’udienza del 28/9/2000 è avvenuta, come sottolineato dal tribunale, oltre i termini perentori stabiliti dall’art. 184 c.p.c.; – infine, che non è consentita una tardiva produzione in appello perchè non si tratterebbe di nuovi documenti ma di documenti, peraltro non indispensabili ai fini della decisione, che la parte non ha tempestivamente prodotto in primo grado incorrendo in preclusioni.

Quanto, poi, all’ulteriore ipotesi alternativa prospettata dagli appellanti, con riferimento a quanto riferito dal consulente tecnico d’ufficio circa l’esistenza, sul confine orientale del fondo degli attori, di una zona di terreno (part. (OMISSIS)), detenuta e coltivata dai coniugi R.- Ma. ma di proprietà dell’ANAS, non destinata alla costruzione della statale sorrentina ed assoggettabile a servitù coattiva di passaggio, si tratta, ha osservato la corte, di una evenienza che esula da ogni vaglio peritale d’ufficio “tanto da non poter essere considerata tardivamente in questa sede onde riaprire il fronte istruttorio di causa”.

Confermata, quindi, la costituzione della servitù di passaggio coattivo nei termini adottati dal giudice di primo grado, la corte, per quanto ancora rileva, ha provveduto ad esaminare l’appello incidentale proposto dagli appellati, considerandolo fondato. La corte, al riguardo, dopo aver premesso che: – gli attori avevano chiesto in citazione la costituzione di una servitù di passaggio coattivo sia pedonale che carrabile; – il consulente tecnico d’ufficio aveva rilevato che le zone in questione erano da considerarsi prettamente agricole; – il consulente tecnico della parte appellata ha ribadito la natura agricola del fondo interciuso, della estensione di oltre 2.400 mq e suscettibile di regolare coltivazione da parte di una normale azienda agricola, con vocazione orticola o floricola; ha evidenziato come fosse innegabile che “la coltivazione e l’allontanamento continuo dei prodotti non possa avvenire manualmente, divenendo una simile operazione molto gravosa e dispendiosa” e che, per contro, “l’uso dei trattori, automezzi aziendali e veicoli idonei a raggiungere i luoghi di lavoro nei vari periodi dell’anno e in condizioni climatiche avverse consentirebbero la indispensabile meccanizzazione del fondo, in conformità con la sua naturale ed attuale vocazione”, a nulla rilevando, ha aggiunto la corte, che gli attori in primo grado non avessero dedotto la destinazione del fondo di loro proprietà ad una coltivazione intensiva, posto che la natura del fondo è stata comunque assodata dagli accertamenti peritali svolti.

B.N. e M.P., con ricorso spedito per la notifica il 26/3/2015, hanno chiesto, per quattro motivi, la cassazione della sentenza resa dalla corte d’appello, dichiaratamente notificata il 28/1/2015.

Hanno resistito R.B. e Ma.Gi. con controricorso notificato in data 2/5/2015.

Il Consorzio di Bonifica dell’Agro Nocerino Sarnese è rimasto intimato.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, i ricorrenti, lamentando la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, a fronte del motivo con il quale gli stessi avevano denunciato l’errore commesso dal giudice di primo grado per avere escluso l’esenzione del loro fondo dalla servitù coattiva in quanto il passaggio sarebbe avvenuto attraverso la casa, il cortile ed il giardino di loro proprietà, si è limitata ad affermare, così sottraendosi completamente all’obbligo di motivazione, che la prospettazione degli appellanti sarebbe sfornita di ogni convincente motivazione che valga a ravvisare in concreto i presupposti dell’esenzione contemplata dall’art. 1051 c.c., u.c. laddove, al contrario, in base alla prove documentali acquisite in giudizio ed agli accertamenti svolti dal consulente tecnico d’ufficio, il passaggio richiesto dagli attori, anche se risulta tra i più convenienti e più breve, occupa il tratto iniziale di una zona adibita a cortile, parcheggio auto e parco giochi e solo nella parte finale attraversa un’area destinata a coltivazione agricola. La corte, quindi, hanno concluso i ricorrenti, non ha esaminato la censura formulata nei confronti della sentenza del tribunale da parte dell’appellante, incorrendo nel vizio di omessa pronuncia su un motivo di gravame.

2. Il motivo è infondato. Il vizio di omessa pronuncia ricorre, infatti, solo nel caso in cui manchi qualsivoglia statuizione su un capo della domanda o su una eccezione di parte, così dando luogo alla inesistenza di una decisione sul punto della controversia, per la mancanza di un provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, non potendo dipendere, come i ricorrenti pretendono, dall’omesso esame di un elemento di prova (Cass. n. 7472 del 2017). Nè, ai medesimi fini, può rilevare il fatto che, a dire dei ricorrenti, la corte abbia omesso di motivare il convincimento espresso in ordine all’insussistenza della invocata esenzione: l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c. si distingue, infatti, dal vizio di motivazione, nella forma dell’omesso esame circa un fatto decisivo ai fini del giudizio, previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ratione temporis, poichè mentre nella prima ipotesi l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costitutivi della “domanda” di appello), nella seconda l’attività di esame del giudice, che si assume omessa, non concerne direttamente la domanda o l’eccezione ma una circostanza di fatto che, se valutata, avrebbe comportato una diversa decisione della controversia (Cass. n. 25761 del 2014; Cass. n. 25714 del 2014; Cass. n. 1539 del 2018). Il caso di specie è fuori dall’ipotesi dell’omessa pronuncia: la corte d’appello, infatti, nel momento in cui ha ritenuto che l’assunto propugnato dagli appellanti era “sfornito di ogni convincente dimostrazione che valga a ravvisare in concreto i presupposti della esenzione contemplata dall’art. 1051 c.c., u.c.”, si è, a ben vedere, senz’altro pronunciata, respingendolo, sul motivo con il quale gli stessi avevano denunciato l’errore asseritamente commesso dal tribunale per avere escluso la sussistenza della indicata causa di esenzione del loro fondo dalla servitù coattiva richiesta dagli attori.

3. Con il secondo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 1051 c.c., comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che: – ogni ulteriore indagine in ordine all’esenzione sarebbe stata superflua dal momento che, nella fattispecie in esame, si sarebbe in presenza di una interclusione non altrimenti eliminabile; – la produzione dell’atto notarile sarebbe irrituale in quanto non consentita nè in primo grado, in quanto effettuata oltre i termini perentori di cui all’art. 184 c.p.c., nè in appello, in quanto non indispensabile ai fini della decisione; – non è provato nè altrimenti dimostrabile il fatto che le particelle a sud del preteso fondo intercluso apparterrebbero a parenti dell’appellato R.; – non sarebbe stato integrato il contraddittorio nei confronti dei proprietari dei terreni sui quali si sarebbe dovuta costituire la servitù alternativa. La corte, però, così facendo, hanno proseguito i ricorrenti, ha costituito la servitù in violazione dell’art. 1051 c.c., comma 4, posto che: a) una volta accertata l’applicabilità dell’esenzione prevista dall’art. 1051 c.c., comma 4 in ordine al passaggio individuato dal tribunale e confermato dalla corte d’appello, il passaggio alternativo, sebbene più lungo, non presenta gli stessi inconvenienti, trattandosi di un percorso carrabile che, come chiarito dal consulente tecnico d’ufficio, è già attraversato da traffico veicolare; b) l’atto per notaio G., ancorchè riportato con l’indicazione di una data errata, è stato compiutamente esaminato dal consulente tecnico d’ufficio ed è stato successivamente prodotto in giudizio dai convenuti in occasione dell’ispezione dei luoghi avvenuta il data 28/9/2000, per cui la sua produzione è del tutto rituale; c) la corte, quindi, ai fini dell’esame dei profili relativi all’esenzione di cui all’art. 1051 c.c., comma 4 non si sarebbe dovuta sottrarre all’esame del predetto documento, dal quale si evince che i terreni circostanti a quello degli attori, sono tutti di proprietà della famiglia R. e che sul fondo in questione è già costituito un viale che, partendo dal canale di bonifica dell'(OMISSIS), conduce alla strada pubblica; d) la ricerca del percorso alternativo prescinde dalla necessità dell’integrazione del contraddittorio per cui la corte d’appello avrebbe dovuto disporre ulteriori accertamenti, come richiesto espressamente dagli appellanti, al fine di verificare il grado di parentela esistente tra i proprietari dei fondi limitrofi a quello degli attori nonchè la convenienza dei percorsi alternativi.

4. Il motivo, in tutte le censure in cui risulta articolato,

è infondato. Intanto, una volta che l’esenzione invocata dai ricorrenti è stata esclusa (oramai definitivamente) per non essere sussistenti i relativi presupposti, le residue censure formulate sul punto dai ricorrenti risultano inevitabilmente assorbite. La corte d’appello, infatti, ha accertato, in fatto, che l’assunto degli appellanti è “sfornito di ogni convincente dimostrazione che valga a ravvisare in concreto i presupposti della esenzione contemplata dall’art. 1051 c.c., u.c.”: ed a fronte di tale accertamento, i ricorrenti, intanto avrebbero potuto imputare alla sentenza impugnata la violazione dell’art. 1051 c.c., solo se ed in quanto avessero preliminarmente censurato, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame da parte della stessa corte di un fatto (a tal fine) decisivo: ciò che, nella specie, non è accaduto, avendo il ricorrenti lamentato la violazione dell’art. 1051 cit. come se la fattispecie concreta fosse stata effettivamente accertata dal giudice di merito nei termini dagli stessi desiderati. In ogni caso, quando ha ritenuto che l’esenzione dalle servitù coattive delle case, dei cortili, dei giardini e delle aie, sancita dagli ultimi commi degli artt. 1033 e 1051 c.c., non opera in presenza di situazioni che, come quella di specie, si caratterizzano, alla luce dell’accertamento operato dal consulente tecnico d’ufficio, per una completa interclusione non altrimenti eliminabile, la corte d’appello si è attenuta al principio ripetutamente affermato da questa Corte, secondo il quale, appunto, l’esenzione delle case, dei cortili, dei giardini e delle aie ad essi attinenti dalle servitù coattive, sancita dagli ultimi commi degli artt. 1033 e 1051 c.c., non opera in presenza di situazioni di interclusione assoluta, non altrimenti eliminabili (Cass. n. 8426 del 1995; Cass. n. 5223 del 1998; Cass. n. 8303 del 2003). Le residue censure, che riguardano non l’esonero previsto dall’art. 1051 c.c., u.c. ma la sussistenza, o meno, di percorsi alternativi rispetto a quello stabilito dai giudici di merito, si infrangono sull’accertamento in fatto operato dalla corte d’appello. Nell’applicazione degli artt. 1051 e 1052 c.c., in effetti, deve aversi riguardo, come già chiarito in sede di legittimità, non tanto alla maggiore o minore lunghezza del percorso, bensì alla sua onerosità in rapporto alla situazione materiale e giuridica dei fondi, con la conseguenza che può risultare meno oneroso un percorso più lungo quando esso sia già in gran parte transitabile e richieda solo l’allargamento in brevi tratti per consentire il passaggio (Cass. n. 25352 del 2016). Nel caso in esame, tuttavia, la corte di merito ha optato per il percorso avversato dai ricorrenti non solo perchè risultava il più breve ma soprattutto perchè ritenuto il meno sconveniente: il tracciato alternativo, infatti, oltre ad essere più lungo, avrebbe avuto l’inconveniente di dover attraversare addirittura due cortili ed un porticato di fabbricato, incuneandosi sotto una pilastratura condominiale dopo aver attraversato una zona altamente edificata, con presenza di animali. La decisione assunta dalla corte d’appello, adottata sul fondamento di un accertamento non impugnato per omesso esame di uno o più fatti decisivi, si sottrae, quindi, alle censure dei ricorrenti le quali, pertanto, per i residui profili, come sopra indicati sub b), c) e d), restano assorbite.

5. Con il terzo motivo, i ricorrenti, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, a fronte del fatto (accertato dal consulente tecnico d’ufficio) che gli stessi avevano dedotto (nelle note autorizzate in data 15/1/2000) sin dal primo grado del giudizio e che il tribunale, come gli stessi avevano poi censurato con l’atto d’appello, aveva completamente omesso di esaminare, vale a dire che il fondo degli attori confina nella sua parte orientale con una zona di terreno riportata in catasto con la p.lla (OMISSIS) che, seppur detenuta e coltivata dai coniugi R.- Ma., è di proprietà dell’ANAS, dalla quale potrebbe essere agevolmente acquisita, non essendo destinata alla costruzione della strada, con la conseguente possibilità di superare l’interclusione attraverso il passaggio su questa particella, ha superficialmente risolto la questione ritenendo che la valutazione del fatto dedotto sarebbe tardiva in quanto tenderebbe a riaprire il fronte istruttorio, laddove, al contrario, se il fatto dedotto è decisivo, la ulteriore istruttoria sarebbe coerente con la premessa. La corte, quindi, hanno concluso i ricorrenti, ha omesso di esaminare un fatto storico che ha carattere decisivo in quanto, se la corte d’appello avesse aderito alla prospettazione fornita dagli appellanti ed avesse svolto ulteriori indagini istruttorie, anch’esse richieste dagli appellanti, l’esito del giudizio sarebbe stato favorevole agli stessi.

6. Il motivo è infondato. I ricorrenti, infatti, non si confrontano la decisione assunta dalla corte d’appello, la quale, infatti, con riguardo al fatto costituito dalla dedotta esistenza, al confine orientale del fondo degli attori, di una zona di terreno di proprietà dell’ANAS assoggettabile a servitù coattiva di passaggio, ha ritenuto, in sostanza, la tardività della sua allegazione in giudizio e, quindi, l’inammissibilità della relativa istruttoria. A fronte di tale statuizione, in effetti, i ricorrenti, anzichè limitarsi ad impugnare tale decisione imputando alla corte d’appello di aver omesso di esaminare il fatto invocato in quanto dedotto nel giudizio di primo grado con le note autorizzate del 15/1/2000 e poi ribadito nel giudizio di secondo grado con l’atto d’appello, avrebbero dovuto preliminarmente censurare la sentenza per avere (in ipotesi) erroneamente ritenuto la tardività della relativa deduzione e, quindi, l’impossibilità di riaprire, sul punto, “il fronte istruttorio della causa”. D’altra parte, se pure così fosse stato, con la denuncia, nella sostanza, di un error in procedendo, resta il fatto che l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto in tale ipotesi al giudice di legittimità, presuppone l’ammissibilità del motivo di censura, per cui il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare, in ricorso, a pena, appunto, d’inammissibilità, il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato. Nel caso di specie, invece, i ricorrenti non hanno riprodotto – nè in ricorso, nè in memoria – gli esatti termini in cui fatto in questione è stato (in ipotesi, tempestivamente) allegato nel giudizio di primo grado e poi in appello. Del resto, secondo le Sezioni Unite di questa Corte (n. 8053 del 2014), anche ai fini dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo in vigore ratione temporis, che i ricorrenti hanno invocato, la censura di omesso esame di un fatto decisivo presuppone che il ricorrente, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.p., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.p., comma 2, n. 4, indichi con precisione tanto il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, quanto il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, nonchè il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.). Nel caso in esame, invece, i ricorrenti si sono limitati ad indicare, nel ricorso, come e quando avevano rappresentato al giudice di merito il fatto che, ai fini dagli stessi desiderati, la corte d’appello (avendolo, però, considerato tardivo) avrebbe omesso di esaminare, vale a dire, appunto, dapprima le note autorizzate del 15/1/2000 e poi l’atto d’appello: non hanno, invece, indicato, come in precedenza esposto, i termini esatti in cui tale fatto, nelle predette note autorizzate e poi nell’atto d’appello, era stato dagli stessi dedotto in giudizio, così impedendo a questa Corte di valutarne, sotto il profilo della decisività ai fini di una diversa decisione, l’omesso esame che i ricorrenti hanno denunciato.

7. Con il quarto motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, pur avendo rilevato che gli attori non avevano dedotto la destinazione del fondo di loro proprietà a coltivazione intensiva e che non avevano fornito la prova di tale circostanza, ha accolto l’appello incidentale che gli attori avevano proposto ritenendo sufficiente, al fine della costituzione di una servitù carrabile, il fatto, dedotto in citazione ed accertato dal consulente tecnico d’ufficio, che il fondo avesse una destinazione agricola, come avvalorato da una consulenza di parte. In realtà, hanno osservato i ricorrenti, tale consulenza è idonea solo a dimostrare che un fondo dell’estensione di quello degli attori e sito in zona agricola sia potenzialmente idoneo alla coltivazione intensiva senza nulla provare, però, in ordine alla coltivazione che gli appellanti intendono svolgervi. Nè gli attori hanno mai dedotto e provato che intendevano coltivare il fondo in maniera intensiva o di avere esigenze per le quali hanno chiesto la costituzione della servitù coattiva carrabile che giustifichi una utilizzazione del fondo che vada oltre una coltivazione per meri fini personali e non già commerciali o imprenditoriali. La consulenza di parte, peraltro neppure giurata, quale atto di mera difesa tecnica, non esonera la parte dall’onere di fornire la prova dei fatti dalla stessa dedotti, non essendo la stessa sufficiente a provare che, per il conveniente uso del fondo, sia necessario un passaggio carrabile. La corte, quindi, hanno concluso i ricorrenti, in palese violazione dell’art. 2697 c.c., ha valorizzato l’atto difensivo in mancanza di prova in ordine all’utilizzo del fondo da parte degli attori.

8. Il motivo è infondato. Intanto, la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. è configurabile come motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da tale disposizione (Cass. n. 1606 del 2017, in motiv.; Cass. n. 15107 del 2013): e non, invece, laddove, come nella specie, l’oggetto della censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 13395 del 2018): nella specie, però, neppure invocato. Quanto al resto, non può che ribadirsi il principio per cui la valutazione degli elementi istruttori costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). Non è, infatti, compito di questa Corte quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame. La sentenza impugnata, infatti, facendo espresso riferimento tanto ai rilievi contenuti nella consulenza tecnica di parte, quanto agli accertamenti svolti dal consulente tecnico d’ufficio, ha indicato le ragioni per le quali la corte d’appello ha ritenuto che il fondo di proprietà degli attori avesse natura agricola e che, in relazione anche alla sua estensione per oltre 2.400 mq., la sua più proficua utilizzazione imponesse la costituzione di una servitù di passaggio coattivo non pedonale ma anche carrabile evidenziando, in particolare, che “la coltivazione e l’allontanamento continuo dei prodotti non possa avvenire manualmente, divenendo una simile operazione molto gravosa e dispendiosa” e che, per contro, “l’uso dei trattori, automezzi aziendali e veicoli idonei a raggiungere i luoghi di lavoro nei vari periodi dell’anno e in condizioni climatiche avverse consentirebbero la indispensabile meccanizzazione del fondo, in conformità con la sua naturale ed attuale vocazione”.

9. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.

10. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

11. La Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti le spese di lite, che liquida nella somma di Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto cdalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2019

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