Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9155 del 21/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 21/04/2011, (ud. 18/11/2010, dep. 21/04/2011), n.9155

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.E., P.A., elettivamente domiciliati in

ROMA VIA F. DENZA 20, presso lo studio dell’avvocato DEL FEDERICO

LORENZO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROSA

LAURA, giusta delega in calce;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI

TERNI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 65/2005 della COMM. TRIB. REG. di PERUGIA,

depositata il 18/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/11/2010 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito per il ricorrente l’Avvocato ROSA LAURA, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LECCISI Giampaolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 18/6/2005 la Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria, in accoglimento del gravame interposto dall’Agenzia delle entrate di Terni nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Terni di accoglimento dell’opposizione spiegata dai contribuenti sigg.ri P. A. ed F.E. in relazione ad avviso di accertamento sintetico emesso a titolo di I.R.P.E.F., I.L.O.R. e contributo per il S.S.N. per l’anno d’imposta 1995, rideterminava “il reddito dei contribuenti in L. 37.000.000 ai fini IRPEF ed in L. 26.912.000 ai fini ILOR”.

Avverso la suindicata decisione del giudice dell’appello i sigg.ri P. e F. propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 3^ motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo i ricorrenti lamentano violazione degli artt. 112 e 324 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

nonchè contraddittorietà della motivazione, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si dolgono che erroneamente il giudice dell’appello abbia escluso la loro partecipazione agli incrementi patrimoniali, in difetto di censura al riguardo alla pronunzia del giudice di prime cure da parte dell’A.F..

Lamentano che contradditoriamente risulta nell’ impugnata sentenza affermata “la pretesa dell’Ufficio con riguardo al maggior reddito connesso al mantenimento delle vetture e dell’abitazione … e, di contro, confermando l’accertamento del maggior reddito determinato in via sintetica avendo riguardo agli incrementi patrimoniali effettuati al di fuori del contributo offerto dai sigg.ri F.S. e C.N. …, ha poi rideterminato il maggio reddito rispettivamente in L. 37.000.000 ai fini IRPEF ed in L. 26.912.000 ai fini ILOR, recependo pedissequamente le conclusioni formulate dall’Ufficio”.

Con il 2^ motivo i ricorrenti lamentano “inammissibilità dell’appello per intervenuta parziale rinunzia alla pretesa impositiva da parte dell’Ufficio”, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si dolgono che erroneamente non sia stata dal giudice dell’appello dichiarata l’inammissibilità dell’appello di controparte, laddove la medesima “aveva rinunziato nel corso del primo grado di giudizio (come risulta inequivocabilmente dalle controdeduzioni dell’Ufficio a pag. 2 in fine e pag. 3 delle relative conclusioni”.

Con il 3 motivo i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè insufficiente e/o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si dolgono non avere il giudice dell’appello considerato “le risultanze delle prove offerte dai coniugi F.P. in ordine alla partecipazione alle spese per incrementi patrimoniali da parte dei sigg.ri F.A., F.A. e F.L. (rispettivamente per L. 38.100.000, per L. 90.500.000 e per L. 76.900.000, come risulta dagli assegni bancari allegati in copia al ricorso in primo grado), solamente in quanto detti soggetti non risulterebbero titolari di redditi propri tali da rendere “credibile” la loro partecipazione agli esborsi”. Al riguardo limitandosi “ad affermare laconicamente (senza fornire alcuna prova a riguardo) che “i redditi dichiarati da tali soggetti non giustificano la disponibilità delle somme che gli stessi asseriscono aver messo a disposizione del contribuente accertato (vds. Controdeduzioni dell’Ufficio dinanzi la CTP a pag. 3), e la CTR, in modo del tutto immotivato ed incorrendo altresì nella violazione dell’art. 2697 c.c. in tema di onere probatorio, si è appiattita sulle deduzioni dell’Ufficio, tralasciando del tutto la valutazione delle prove fornite dagli odierni ricorrenti”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., 1 comma, n. 4, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata ed il ricorso per cassazione (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v.

Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Quanto al vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va invero ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr.

Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste pertanto nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842; Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dagli odierni ricorrenti.

Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo come i medesimi facciano richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (es., all'”accertamento sintetico” dell’Agenzia delle entrate di Terni; al “ricorso” del giudizio di prime cure;

all’atto di costituzione dell’Ufficio in tale sede; alla sentenza della “CTP di Terni”; alle “spese … relative agli incrementi patrimoniali (acquisto di due terreni ed un fabbricato)”; all'”atto di appello”, riportato non nella sua interezza ma soltanto per stralci; alle “controdeduzioni in primo grado” dell’Ufficio; alla “controdeduzioni dell’Ufficio a pag. 2 in fine a pag. 3”; alla “rinunzia operata dall’Ufficio”; alle “risultanze delle prove offerte dai coniugi P.- F. in ordine alla partecipazione alle spese per incrementi patrimoniali da parte dei sigg.ri F. A., F.A. e F.L. …”) di cui lamentano la mancata o erronea valutazione, limitandosi a meramente rinviare agli atti del giudizio di merito, senza invero debitamente riprodurli nel ricorso.

A tale stregua essi non pongono questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 172/1995, n. 1161).

E, com’è noto, anche in relazione al denunziato vizio integrante error in procedendo ex art. 112 c.p.c. il principio di autosufficienza va invero osservato, dovendo specificamente indicarsi l’atto difensivo o il verbale di udienza nei quali le domande o le eccezioni sono state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (v. Cass., 31/1/2006, n. 2138; Cass., 27/1/2006, n. 1732; Cass., 4/4/2005, n. 6972; Cass., 23/1/2004, n. 1170; Cass., 16/4/2003, n. 6055).

E’ infatti al riguardo noto che, pur divenendo nell’ipotesi in cui vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo la Corte di legittimità giudice anche del fatto (processuale) ed abbia quindi il potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta invero quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicchè esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221).

Orbene, i ricorrenti, attesa la rilevata violazione del principio di autosufficienza non hanno posto questa Corte nella condizione di compiutamente apprezzare quale fosse l’oggetto della domanda originariamente rivolta al giudice di prime cure, quale sia stata la relativa pronunzia, e quali fossero i limiti (oggettivi e soggettivi) del gravame avverso la medesima interposto.

I ricorrenti non hanno per altro verso formulato una censura ex art. 115 e 116 c.p.c, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma si sono limitati ad apoditticamente ed infondatamente prospettare, in termini come detto privi di autosufficienza, una violazione dell’art. 2697 c.c. ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dolendosi che “l’Ufficio si è limitato a contestare la validità delle prove contrarie offerte dai contribuenti con un ragionamento di tipo logico, senza dare alcuna dimostrazione in concreto della inadeguatezza dei redditi dei soggetti terzi a partecipare alle spese in questione”, e che “la CTR, in modo del tutto immotivato … si è appiattita sulle deduzioni dell’ufficio, tralasciando del tutto la valutazione delle prove fornite dagli odierni ricorrenti”.

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni degli odierni ricorrenti, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, infatti, come si è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., la ricorrente in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo in favore della sola Agenzia delle entrate (laddove gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva), seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione in favore della sola Agenzia delle entrate, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2011

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