Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9150 del 21/04/2011
Cassazione civile sez. trib., 21/04/2011, (ud. 25/10/2010, dep. 21/04/2011), n.9150
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PIVETTI Marco – Presidente –
Dott. MAGNO Giuseppe V. A. – Consigliere –
Dott. BERNARDI Sergio – rel. Consigliere –
Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –
Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
RFI RETE FERROVIARIA ITALIANA SPA (già Azienda Autonoma Ferrovie
dello Stato), in persona del Dott. D.M., elettivamente
domiciliato in ROMA PIAZZA ALBANIA, 10, presso lo studio LEGALE E
TRIBUTARIO PARAMETRICA LEGAL, rappresentato e difeso dagli avvocati
LATTANZI SANDRO, TAVERNA SALVATORE, giusta delega a margine;
– ricorrente –
contro
AMMINISTRAZIONE DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro
tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope
legis;
– controricorrente –
avverso la decisione n. 10845/2004 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di
ROMA, depositata il 20/12/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
25/10/2010 dal Consigliere Dott. SERGIO BERNARDI;
udito per il ricorrente l’Avvocato LATTANZI, che ha chiesto
l’accoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
Per quanto ancora rileva, la vicenda processuale può così riassumersi: alla Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato fu notificato avviso di rettifica della dichiarazione Iva 1976, col quale era fra l’altro irrogata una sanzione ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 41, comma 4. Durante il primo grado del giudizio di impugnazione dell’avviso la società presentò dichiarazione integrativa ai sensi del D.L. n. 429 del 1982, convertito con modificazioni nella L. n. 516 del 1982, e chiese che fosse dichiarata l’estinzione di tutto il processo. Nonostante l’opposizione dell’Ufficio, la Commissione Tributaria di primo grado accolse l’istanza. La decisione fu confermata in appello, ma riformata dalla Commissione Tributaria Centrale. In accoglimento, sul punto, del ricorso dell’Ufficio questa ritenne che le pene pecuniarie solidalmente accollate al cessionario non potessero essere condonate D.L. n. 429 del 1982, ex art. 29, perchè era nella specie mancata la definizione per condono dell’imposta sostanziale da parte del soggetto cedente. La RFI Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. (succeduta all’Azienda Autonoma) ricorre per la cassazione della decisione della CTC con un motivo. L’Amministrazione finanziaria resiste con controricorso.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 41, comma 4, e del D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 29, convertito nella L. 7 agosto 1982, n. 516, nonchè insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Si critica l’affermazione della sentenza impugnata secondo la quale “la definizione della base sostanziale con le modalità prescritte dal condono rappresenta il necessario presupposto oggettivo per beneficiare dell’ulteriore agevolazione, concessa dal D.L. n. 429 del 1982, art. 29, della non applicazione delle sanzioni amministrative ex titolo 3^ D.P.R. n. 633 del 1972” sostenendo che tale interpretazione delle norme in riferimento contrasti coi principi affermati dalla corte costituzionale nella sentenza n. 207/1988 e conduca ad una ingiustificata disparità di trattamento tra i contribuenti soggetti alla disciplina recata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 41, comma 4, nelle formulazioni, rispettivamente, anteriore ovvero successiva alle modifiche apportate col D.P.R. n. 24 del 1979. Con quest’ultima tesi (invero non perspicua) la ricorrente sembra ritenere irragionevole che i primi non possano avvalersi del condono perchè tenuti al pagamento della sanzione solo in quanto obbligati in solido col trasgressore, mentre i secondi potrebbero accedere al beneficio perchè direttamente ed autonomamente responsabili della omessa o inesatta fatturazione.
Il motivo è infondato.
Il D.L. n. 429 del 1982, art. 29, convertito nella L. n. 516 del 1982, stabilisce: “Le sanzioni amministrative previste dal titolo terzo D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 … nonchè gli interessi di mora non si applicano nei casi in cui l’imposta resti definita ai sensi dei precedenti articoli per l’ammontare indicato nella dichiarazione integrativa”. Come questa corte ha altre volte chiarito, è dunque condizione indispensabile della estinzione degli accessori la definizione, merce pagamento, della obbligazione principale e cioè della imposta, nella misura contemplata dagli artt. 25 e ss. della normativa, per le imposte indirette e 14 e ss. per le imposte dirette; supponendo necessariamente l’agevolazione, concessa in termini di liberazione da sanzioni e interessi moratori, la estinzione del debito di imposta (Cass. 1808/1999, 8163/1999).
Non ha pregio, a conforto della tesi sostenuta col ricorso, il richiamo a quanto enunciato dalla Corte Costituzionale nella sentenza 25.2.1988 n. 207. Le affermazioni, ivi contenute, che la mancata notificazione dell’accertamento al cessionario non impedisce a quest’ultimo di far valere le proprie ragioni allorquando gli venga successivamente notificato l’atto relativo alla sanzione, e che egli possa avvalersi anche della normativa di condono, ancorchè l’avviso di rettifica notificato al solo responsabile principale sia divenuto definitivo per mancata opposizione; non implicano che tale fruizione debba essergli consentita a condizioni diverse da quelle del debitore principale, per il quale è pacifico che possa condonare le sanzioni soltanto condonando insieme il debito d’imposta. Sicchè non sussiste alcuna irragionevole disparità di trattamento, in relazione alla fruibilità del condono D.L. n. 429 del 1982, ex art. 29 fra fattispecie contemplate dall’art. 41 quarto comma del D.P.R. n. 633 del 1972 verificatesi prima o dopo la modificazione introdotta nella formulazione normativa con il D.P.R. n. 24 del 1979. Nel vigore di entrambe le formulazioni normative, la legge non discrimina il trasgressore da chi sia soltanto responsabile del comportamento sanzionato, consentendo all’uno e non all’altro di avvalersi del condono, come prospettato dal ricorrente, ma pone ad entrambi la medesima condizione del pagamento dell’imposta principale per accedere al beneficio del condono.
Il ricorso va dunque respinto.
Le spese del giudizio debbono seguire la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio, liquidate in Euro 4.000,00, di cui 3.800,00 Euro per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2010.
Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2011