Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9150 del 19/05/2020

Cassazione civile sez. I, 19/05/2020, (ud. 28/02/2020, dep. 19/05/2020), n.9150

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15440/2015 proposto da:

A.M., elettivamente domiciliata in Roma, Via Anapo n. 29,

presso lo studio dell’avvocato Ninni Guido, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Nardozzi Tonielli Gino, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Carige S.p.a. – Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, quale

incorporante di Banca C.P. S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Giuseppe Ferrari n. 11, presso lo studio dell’avvocato Pacifico

Antonio, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Rinaldini Guido, giusta procura a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

Allianz S.p.a., quale conferitaria di R.A.S. – Riunione Adriatica di

Sicurtà Soc.p.A., in persona dei legali rappresentanti pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Cavour n. 17, presso lo

studio dell’avvocato Roma Michele, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Galantini Carlo Francesco, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1610/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 06/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/02/2020 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – A.M. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Milano Banca C.P. s.p.a. nonchè P.F., funzionario del detto istituto di credito dal (OMISSIS), preposto all’intrattenimento dei rapporti con essa attrice. Deduceva che quest’ultimo la aveva convinta a trasferire le sue disponibilità liquide e i titoli di cui disponeva alla banca convenuta. Nel (OMISSIS), in concomitanza con il licenziamento di P., l’attrice aveva verificato distrazioni delle somme depositate presso la banca per complessivi Euro 1.052.354,98: tali distrazioni – veniva spiegato – erano da ricondurre a prelevamenti e operazioni mai autorizzate. La nominata A.M. domandava pertanto la condanna della banca e di P. alla restituzione dell’importo indebitamente prelevato, nonchè la condanna dei medesimi convenuti al risarcimento del danno morale e da lucro cessante.

La banca si costituiva in giudizio contestando la pretesa attorea e chiedendo autorizzarsi la chiamata in giudizio dei terzi che, con riferimento alle operazioni contestate, assumeva essere beneficiari degli importi illegittimamente stornati; chiedeva altresì la chiamata in garanzia della propria compagnia assicuratrice, R.A.S. – Riunione Adriatica di Sicurtà.

Disposta la chiamata in causa, alcuni dei terzi chiamati si costituivano: così anche la società di assicurazione, la quale svolgeva domanda di rivalsa nei confronti dei soggetti nei cui confronti la banca aveva già domandato l’estensione del contraddittorio.

Nel corso del giudizio venivano prodotti documenti e disposta consulenza tecnica grafica al fine di accertare la paternità di alcune sottoscrizioni disconosciute dall’attrice. Il Tribunale pronunciava quindi sentenza con cui condannava i convenuti al pagamento della somma di Euro 433.071,42, poi corretta in Euro 471.033,42, e rigettava le domande proposte sia dalla banca che da R.A.S. nei confronti dei terzi chiamati.

2. – Avverso detta sentenza interponevano appello A.M., Banca C.P. e Allianz s.p.a., quale conferitaria del complesso aziendale di R.A.S.. In esito al giudizio di gravame la Corte di appello di Milano accoglieva parzialmente l’impugnazione dell’originaria attrice, determinando la somma oggetto della condanna in Euro 478.933,42; respingeva l’appello incidentale della banca e dichiarava inammissibile, in quanto tardivo, l’appello incidentale di Allianz.

3. – Quest’ultima pronuncia è stata impugnata per cassazione da A.M. con un ricorso articolato in quattro motivi. Resiste con controricorso Banca Carige s.p.a. – Cassa di Risparmio di Genova e Imperia (quale incorporante Banca C.P.), la quale svolge una impugnazione incidentale su due motivi, e Allianz. Quest’ultima e Banca Carige hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo di ricorso principale oppone la violazione o falsa interpretazione di norme di diritto, menzionando, in rubrica, l’art. 112 c.p.c., “stante la nullità della sentenza per omessa pronuncia su tutte le domande formulate, nonchè per omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”. Rammenta la ricorrente che la Corte di appello, con riferimento alle operazioni di appropriazione del 4 gennaio 2002, per Euro 258.228,45, e dell’8 gennaio 2002, per Euro 7.900,00, aveva accolto l’appello limitatamente a quest’ultima. Chi impugna ricorda, ancora, che il giudice distrettuale aveva rilevato non essere stata disconosciuta la lettera del 4 gennaio 2002 recante la ratifica della prima di tali operazioni. L’istante contesta la circostanza, richiamando l’attività processuale posta in atto e si duole che la Corte distrettuale abbia mancato di accertare la nullità della sentenza di primo grado, la quale aveva dunque “erroneamente omesso di pronunciarsi in merito ad un’operazione distrattiva in relazione alla quale la signora A. aveva formulato domanda restitutoria e/o risarcitoria fin dall’atto di citazione relativo al giudizio di primo grado”. L’impugnazione si dirige poi, contro il rilievo, contenuto nella sentenza impugnata, per cui, in assenza di prove quanto al fatto che le sottoscrizioni apposte dall’attrice sarebbero state carpite con dolo o inducendo in errore la medesima, le circostanze riguardanti presunti raggiri, genericamente riferite dalla stessa istante, erano rimaste “confinate nell’ambito di mere supposizioni”. Osserva, in proposito, la ricorrente, che quanto dedotto con riferimento alla condotta posta in atto da P. trovava conferma in plurimi elementi documentali. L’istante deduce, ancora, che la motivazione dell’impugnata sentenza risulterebbe essere contraddittoria, giacchè la Corte di appello, nel mentre aveva escluso che l’attrice avesse confermato l’operazione dell’8 gennaio 2002, per Euro 7.900,00, rilevando come il documento acquisito al giudizio fosse privo di qualsiasi riferimento all’operazione stessa, aveva poi attribuito rilievo alla ratifica posta in essere con riferimento all’operazione del (OMISSIS), per Lire 500.000.000 (Euro 258.228,45) nonostante la scrittura presa in esame mancasse di indicare l’importo del prelievo.

Il motivo è, nel complesso, infondato.

Non ricorre l’omessa pronuncia: vizio riferito, dalla ricorrente, a operazione (quella del (OMISSIS): cfr. ricorso, pag. 16 s.) su cui la Corte di merito si è incontestabilmente pronunciata, come del resto si coglie dal tenore delle stesse deduzioni svolte nell’atto di impugnazione di A.M..

Dal corpo del motivo si ricava, per la verità, che l’odierna istante si duole, con riferimento al prelievo di Lire 500.000.000, di un diverso error in procedendo, vertente sul disconoscimento del documento preso in esame dalla Corte di appello, per escludere, sul punto, la fondatezza del gravame. Non vi è ragione per escludere lo scrutinio di una siffatta censura, giacchè una erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., nè determina alcuna inammissibilità, se – come accade nella fattispecie – dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (Cass. 7 novembre 2017, n. 26310; Cass. 27 ottobre 2017, n. 25557). La doglianza è tuttavia da disattendere; infatti, la ricorrente assume di aver disconosciuto la firma apposta su otto moduli di prelievo e sul prospetto relativo alla situazione contabile alla data dell’11 novembre 2002 (pag. 15 del ricorso), ma nulla assume con riguardo alla corrispondenza del (OMISSIS), recante la conferma dell’operazione, pure sottoscritta da A.M.: scritto, quest’ultimo, che il giudice distrettuale ha rilevato non essere stato specificamente contestato quanto alla sua paternità. Non conta, come è evidente, che sia stato disconosciuto il modulo di prelievo dell’importo di Lire 500.000.000 se – come è accaduto nella fattispecie – l’operazione, asseritamente posta in essere da terzi, fu poi specificamente approvata dall’interessata (circostanza qui non confutabile, stante l’assenza del disconoscimento di cui si è appena detto).

Come accennato, l’istante ha pure rimarcato una contraddittorietà della motivazione nell’apprezzamento del prelievo del (OMISSIS), osservando, nella sostanza (pag. 22 del ricorso), che la Corte di appello avrebbe dovuto attribuire al documento di cui si è

testè trattato il medesimo significato che ha conferito alla “copia situazione dossier titoli e saldo c/c all'(OMISSIS)” recante firma per accettazione di A.M., il quale è stato ritenuto dal giudice distrettuale privo di alcun riferimento all’operazione di prelievo di Lire 15.296.533 dell'(OMISSIS), e quindi inidoneo a comprovare l’approvazione di essa. Si osserva, al riguardo, che è oggi denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054): ne discende che non è qui sindacabile la prospettata aporia motivazionale, basata sul contenuto dei documenti acquisiti al processo e scrutinati dalla Corte di merito (la quale non ha sollevato alcuna perplessità quanto al portato della dichiarazione del (OMISSIS), che – del resto – la stessa istante assume riferirsi, testualmente, al “prelevamento di denaro contante in data odierna al c/c n. (OMISSIS)”).

Parimenti non censurabile, in questa sede, è, poi, il giudizio di fatto espresso dalla Corte di appello quanto ai supposti raggiri con cui A.M. sarebbe stata indotta a sottoscrivere la dichiarazione afferente la regolarità della detta dichiarazione (giudizio che è infatti contestato avendo riguardo al contenuto delle risultanze probatorie, che in questa sede non possono essere prese in considerazione).

2. – Col secondo mezzo viene dedotta la violazione o falsa interpretazione degli artt. 2033, 2041 e 2049 c.c. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia relativamente alle operazioni di prelievo del (OMISSIS), “in relazione alle risultanze probatorie del giudizio di primo grado, all’orientamento giurisprudenziale consolidato – omissione di pronuncia – carenza di motivazione”. Rileva, in sintesi, la ricorrente che la Corte distrettuale, nel prendere in esame la domanda della banca nei confronti dei terzi chiamati, aveva rilevato come le allegazioni svolte dalla predetta convenuta nell’atto di chiamata evidenziassero “la circostanza che gli importi pervenuti sui conti correnti dei terzi chiamati deriverebbero da somme prelevate dal conto corrente dell’attrice con la conseguenza che difetterebbe in capo al soggetto che agisce in ripetizione la qualità di solvens”. E’ osservato, in conseguenza, che, non sussistendo la prova che A.M. avesse ordinato i versamenti in favore dei terzi, i giudici di merito avrebbero dovuto condannare la banca a restituire alla stessa ricorrente gli importi stornati con le operazioni, sopra menzionate, del (OMISSIS). Viene poi dedotto che il giudice distrettuale avrebbe omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, “non avendo esaminato l’eccepita sussistenza del dolo e dell’errore”. In proposito viene rilevato: che quasi tutte le sottoscrizioni apposte sui moduli di prelievo erano risultate apocrife; che sui due moduli di prelievo del (OMISSIS) non era presente la timbratura normalmente apposta nelle operazioni allo sportello; che A.M. aveva sempre dichiarato di aver apposto le firme su modulistica in bianco o di aver sottoscritto documenti per errore; che il consulente tecnico di parte attrice aveva evidenziato come moduli di prelievo contenenti la firma autentica di A.M. risultassero in realtà compilati dalla stessa mano che aveva redatto i moduli recanti sottoscrizione apocrifa; che non si spiegava come fosse stato possibile che in un piccolo istituto di credito un’anziana signora potesse prelevare in contanti, senza alcun preavviso, centinaia di milioni di lire senza che nessun funzionario si insospettisse. Nel corpo del motivo la ricorrente lamenta, inoltre, il mancato accoglimento delle istanze istruttorie. La stessa istante richiama infine principi di diritto inerenti alla responsabilità della banca per fatto del suo dipendente.

Il terzo motivo oppone il vizio di motivazione in relazione al mancato accoglimento delle istanze istruttorie. La doglianza si ricollega a quella svolta nel secondo motivo: si richiamano le istanze di acquisizione delle registrazioni video dell’operazione di cassa, attraverso cui sarebbe stato possibile verificare l’autore dei prelievi, la richiesta di esibizione di documentazione, che avrebbe consentito di ricostruire dettagliatamente le operazioni di distrazione, e le prove per interrogatorio formale per testimoni riproposte in appello.

I due motivi si prestano a una trattazione congiunta e risultano essere infondati.

Le censure svolte concernono il rigetto della pretesa attorea con riferimento a quattro distinte operazioni, di cui la Corte di merito si è occupata a pagg. 9 ss. della sentenza impugnata.

La prima è basata sulla valorizzazione, da parte del Tribunale, prima, e della Corte di appello, poi, di un’allegazione difensiva che, secondo quanto affermato dalla stessa ricorrente, sarebbe contenuta nell’atto di chiamata del terzo. Essa è inammissibile. Quanto affermato dai giudici di merito attiene alla domanda di garanzia e si basa, dunque, sul rilievo che si è ritenuto potessero rivestire, con riguardo a tale rapporto, le deduzioni che la banca ha evidentemente formulato in via subordinata rispetto alle difese svolte per resistere alle domande dell’attrice (difese che la ricorrente non adduce ricomprendessero l’allegazione sopra indicata). Per come posta, la doglianza è carente di decisività. Infatti, dalla richiamata prospettazione subordinata i giudici di merito non avrebbero potuto trarre argomenti da spendere sul piano della pretesa fatta valere da A.M. nei confronti della banca: e ciò in quanto, mentre l’implicita ammissione di un fatto può essere desunta dalla incompatibilità della sua negazione con l’impostazione del sistema difensivo della parte, quando tale sistema si articoli in più domande subordinate la verifica di compatibilità deve farsi nell’ambito di ciascuna domanda, implicando la loro formulazione in via di subordine abbandono progressivo della tesi in precedenza sostenute (Cass. 29 aprile 1996, n. 3942; cfr. pure Cass. 12 agosto 2016, n. 17080). Per il resto, è necessario osservare come la Corte di merito abbia proceduto a una ricognizione della documentazione prodotta e abbia negato, sulla scorta di essa, che fosse provata una corrispondenza tra i prelievi operati sul conto della ricorrente e i versamenti in contanti eseguiti da altri correntisti sui propri conti: aggiungendo, poi, che la stessa A. aveva riconosciuto, nella memoria ex art. 183 c.p.c., che i detti trasferimenti di denaro contante non erano “ricostruibili”. Tale accertamento sfugge al sindacato di legittimità.

Con riguardo al tema del dolo o dell’errore, nelle sue diverse declinazioni, è da osservare che la Corte di merito, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, ha preso in esame la questione, con riferimento alla dichiarazione del (OMISSIS), rilevando, tuttavia, in base a un accertamento di fatto qui non sindacabile, che “le circostanze riguardanti presunti raggiri, genericamente riferite dall’appellante (…) sono rimaste confinate nell’ambito di mere supposizioni”. Con riferimento ad altre operazioni, del resto, la pronuncia non menziona il tema del dolo e dell’errore tra quelli fatti valere in appello dall’odierna ricorrente; nè quest’ultima fornisce puntuali indicazioni al riguardo. La censura è dunque inammissibile in applicazione del principio per cui ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675).

Non può trovare accoglimento nemmeno la censura vertente sul mancato accoglimento delle istanze istruttorie. Come è noto, il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (Cass. 17 giugno 2019, n. 16214; Cass. 7 marzo 2017, n. 5654). Nel caso in esame, non si vede come l’acquisizione delle registrazioni video delle operazioni di cassa o l’ordine di esibizione di scritture contabili potesse sovvertire il dato processuale costituito dalla comprovata riferibilità delle contestate operazioni alla ricorrente, riconosciuta autrice delle sottoscrizioni dei documenti che assumevano rilevanza a tal fine (tali erano le disposizioni impartite alla banca e la sunnominata dichiarazione del (OMISSIS)). Analoghe considerazioni andrebbero svolte con riguardo alla ulteriori prove, per interrogatorio formale e per testimoni, se sul punto non risultasse assorbente l’inammissibilità della censura per l’assoluta genericità: la ricorrente non si fa carico di impugnare, in modo puntuale (avendo cioè riguardo ai diversi punti contestati) l’affermazione della Corte di appello per cui i capitoli erano relativi a “circostanze non contestate dalle controparti, ovvero documentalmente provate o, comunque, non rilevanti o, ancora, superate dall’esito della CTU grafologica” (cfr. la sentenza impugnata, pag. 10).

Non concludente appare, da ultimo, il richiamo ad altra pronuncia resa da questa Corte con riferimento ad analoghe condotte che avevano danneggiato un altro correntista della medesima banca: ciò che qui rileva è, ovviamente, lo specifico tenore dell’impugnazione proposta da A.M. avverso la sentenza che la riguarda (a nulla rilevando ricorsi per cassazione da altri spiegati nei confronti di differenti decisioni).

3. – Il quarto motivo denuncia l’omessa pronuncia in relazione alla domanda di risarcimento dei danni formulata da A.M. e la violazione o falsa interpretazione di norme di diritto, con particolare riferimento all’art. 2697 c.c. e stante la carente motivazione su un punto decisivo della controversia. L’istante si duole dell’affermazione della Corte di merito circa la mancata prova dei danni, da lucro cessante e morali, che essa avrebbe patito. Sostiene che tali danni dovessero “ritenersi in re ipsa a seguito dei fatti illeciti accertati dai giudici di merito e di cui l’odierna ricorrente aveva chiesto una quantificazione equitativa”; assume inoltre che la prova dei danni in questione era stata affidata ai mezzi istruttori che, in via del tutto immotivata ed errata, il giudice del merito non aveva ammesso. La ricorrente contesta, inoltre, il rilievo per cui la domanda subordinata da lei proposta nei confronti dei terzi chiamati doveva ritenersi

tardiva, in quanto spiegata solo con la memoria di cui all’art. 183 c.p.c., comma 5; con riguardo a tale domanda la stessa A. censura, poi, la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che le argomentazioni svolte dal Tribunale per respingere le pretese avanzate da Banca C.P. e da R.A.S. verso i predetti terzi dovessero “in ogni caso essere poste a fondamento della pronuncia di infondatezza (…) anche dell’analoga domanda proposta dall’appellante principale nei confronti dei medesimi terzi chiamati, in assenza dei presupposti richiesti dall’art. 2033 c.c., per la tutela del solvens”.

Anche questo motivo deve essere disatteso.

Con riguardo alla domanda risarcitoria quel che rileva è, all’evidenza, la statuizione del giudice di appello: statuizione che è stata innegabilmente resa, avendo la Corte di Milano osservato, sul punto, che la detta domanda non era suffragata da prova, nè in punto di an, nè in punto di quantum. L’assunto per cui i danni in questione dovevano ritenersi in re ipsa e avrebbero comunque imposto una liquidazione equitativa si scontra, d’altro canto, con tre dati: in primo luogo, la lesione di un diritto inviolabile non determina, neanche quando il fatto illecito integri gli estremi di un reato, la sussistenza di un danno non patrimoniale in re ipsa, essendo comunque necessario che la vittima abbia effettivamente patito un pregiudizio, il quale va allegato e provato, anche attraverso presunzioni semplici (Cass. 10 maggio 2018, n. 11269; Cass. 21 giugno 2011, n. 13614); in secondo luogo, l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa: esso, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che per la parte interessata risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo ammontare, e dall’altro non ricomprende l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno in sede di liquidazione equitativa del lucro cessante, ai sensi degli artt. 2056 e 1226 c.c. (Cass. 22 febbraio 2018, n. 4310; Cass. 12 ottobre 2011, n. 20990); in terzo luogo, pure nella liquidazione del lucro cessante ciò che necessariamente si richiede è la prova, anche presuntiva, della sua certa esistenza, in difetto della quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale, attenendo il giudizio equitativo solo all’entità del pregiudizio medesimo, in considerazione dell’impossibilità o della grande difficoltà di dimostrarne la misura (Cass. 16 maggio 2013, n. 11968; Cass. 11 novembre 1996, n. 9835).

In merito alla doglianza riferita all’asserita tempestività della domanda proposta nei confronti dei terzi chiamati (domanda svolta nella memoria di cui all’art. 183 c.p.c., comma 5, nel testo vigente ratione temporis) è da osservare che, pur essendo vero che la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), è pur sempre necessario che la domanda così modificata, oltre ad essere comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, non si aggiunga a quella iniziale, ma la sostituisca e si ponga, dunque, rispetto ad essa, in rapporto di alternatività (Cass. 24 aprile 2019, n. 11226). E’ stato difatti sottolineato dalle Sezioni Unite che la vera differenza tra le domande “nuove”, implicitamente vietate – in relazione alla eccezionale ammissione di alcune di esse – e le domande “modificate”, espressamente ammesse, non sta nel fatto che in queste ultime le modifiche non possono incidere sugli elementi identificativi, bensì nel fatto che le domande modificate non possono essere considerate “nuove” nel senso di “ulteriori” o “aggiuntive”, trattandosi pur sempre delle stesse domande iniziali modificate, eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali, o, se si vuole, di domande diverse che però non si aggiungono a quelle iniziali ma le sostituiscono e si pongono pertanto, rispetto a queste, in un rapporto di alternatività (Cass. Sez. U. 15 giugno 2015, n. 12310). Una nuova domanda, nel senso precisato, quale quella che qui viene in discorso, avrebbe potuto proporsi, semmai, in presenza delle condizioni di legge, nel corso dell’udienza ex art. 183 c.p.c. (come è per l’appunto previsto per le domande che si aggiungono a quelle originarie).

Inammissibile è, da ultimo, la deduzione diretta a contestare l’ulteriore affermazione svolta, con riguardo a tali domande, dalla Corte di appello, dal momento che con essa si censura un’argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam, e pertanto non costituente una ratio decidendi (Cass. 10 aprile 2018, n. 8755).

4. – Con il primo motivo di ricorso incidentale Banca Carige oppone la violazione o falsa applicazione degli artt. 1227 e 2697 c.c.. Si duole dell’affermazione della Corte di appello secondo cui la Banca C.P. non aveva “fornito la prova nè della sussistenza di specifici comportamenti posti in essere dall’appellante in violazione dell’onere di diligenza richiamato dall’art. 1227 c.c., nè dell’inidoneità che l’esercizio di tale onere avrebbe potuto avere nel ridurre gli effetti pregiudizievoli con riferimento a condotte attuate, nel caso specifico, con modalità truffaldine e cioè mediante falsificazione della firma apposta sul modulo di autorizzazione del prelievo”. Rileva la ricorrente incidentale che la controparte non aveva mai dedotto essere mancata la ricezione, da parte sua, degli estratti trimestrali, nè aveva mai allegato di avere contestato i medesimi; osserva inoltre che dalla consulenza tecnica svolta in primo grado era risultato che A.M. aveva sottoscritto di proprio pugno alcuni moduli e la dichiarazione riepilogativa della situazione contabile all'(OMISSIS).

Il motivo va disatteso.

La Corte di appello ha fatto corretta applicazione del principio per cui con riferimento alla fattispecie, prevista dall’art. 1227 c.c., comma 2, dei danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza è il debitore a dover fornire la detta prova (Cass. 27 luglio 2015, n. 15750). Per il resto, il motivo risulta inammissibilmente orientato a una censura del giudizio di fatto che è riservato al giudice di merito. Si ricorda, in proposito, che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. 29 maggio 2018, n. 13395; Cass. 17 giugno 2013, n. 15107).

5. – Col secondo motivo di ricorso incidentale vengono prospettate la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in punto di prova della sussistenza delle condizioni per l’operatività della garanzia R.A.S.. L’impugnazione investe l’affermazione secondo cui la Banca C.P. non aveva provato, nè offerto di provare, la sussistenza dei presupposti richiesti per ottenere il pagamento dell’indennizzo: e cioè la puntuale osservanza, da parte dell’assicurato, degli obblighi previsti dalle condizioni di polizza. La ricorrente incidentale osserva come non avesse potuto dimostrare la puntuale osservanza di tali obblighi in ragione della loro assoluta genericità e astrattezza, per come desumibile dal tenore della clausola di garanzia.

Il motivo è inammissibile.

Con esso è proposto, difatti, un ricorso incidentale tardivo nei confronti della compagnia di assicurazione, che riveste la qualità di chiamato in garanzia impropria. In tale ipotesi viene in esame la trattazione congiunta di cause scindibili: l’impugnazione incidentale del convenuto, in quanto intesa alla declaratoria del proprio diritto, disconosciuto o solo parzialmente riconosciuto nella sentenza impugnata, a rivalersi integralmente sui terzi chiamati di quanto dovuto all’attore a seguito dell’accoglimento della domanda di questi nei propri confronti, risulta distinta ed autonoma, per soggetti e per titolo, rispetto a quella proposta in via principale dall’attore, e l’interesse a proporla sorge non dall’impugnazione principale, ma dalla stessa sentenza impugnata, con la conseguenza che non può essere proposta nel termine previsto dall’art. 334 c.p.c., per l’impugnazione incidentale tardiva (Cass. 7 settembre 2009, n. 19286; analogamente, nel senso che nelle cause scindibili o indipendenti, l’appello incidentale tardivo, pur potendo investire capi diversi da quelli impugnati in via principale, non può determinare un’estensione soggettiva del giudizio e non può, pertanto, essere proposto contro parti diverse da quelle che hanno proposto l’impugnazione in via principale, nei confronti delle quali deve ritenersi formato il giudicato interno: Cass. 21 luglio 2015, n. 15292).

6. – In conclusione, vanno respinti sia il ricorso principale che quello incidentale.

7. – Tra la ricorrente principale e la banca può adottarsi una pronuncia di parziale compensazione, tenuto conto della soccombenza reciproca dei contendenti, pur rapportata alla specificità delle contrapposte impugnazioni: A.M. dovrà perciò rivalere la banca della metà delle spese da questa affrontate; la ricorrente incidentale è invece tenuta per l’intero rispetto ad Allianz, che è totalmente vittoriosa nei suoi confronti.

PQM

La Corte

rigetta entrambi i ricorsi, principale e incidentale; compensa per metà le spese di giudizio tra la ricorrente principale e la banca, liquidando le stesse in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, e per l’effetto condanna A.M. al pagamento della metà del detto importo in favore della banca stessa; condanna altresì Banca Carige al pagamento delle spese processuali in favore di Allianz, liquidandole in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quella incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2020

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