Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9150 del 02/04/2019

Cassazione civile sez. II, 02/04/2019, (ud. 25/10/2018, dep. 02/04/2019), n.9150

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3545-2015 proposto da:

P.V., rappresentato e difeso dall’Avvocato VALENTINA

BOZZELLI e dall’Avvocato ROSA IERARDI, presso il cui studio a Roma,

via Fabio Massimo 33, per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.G., e PA.GE.,- elettivamente domiciliata a

Roma, via Flaminia 48, presso lo studio dell’Avvocato AMILCARE

BUCETI, che lo rappresenta e difende per procura speciale in calce

al controricorso;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata

il 19/11/2014, e la sentenza n. 209/2013 del TRIBUNALE DI LARINO,

depositata il 10/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/10/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.V., con citazione del 12/6/2012, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Larino, P.G. e Pa.Ge., deducendo che i convenuti, fratelli dell’attore, avevano stipulato con quest’ultimo, a mezzo di scrittura privata del 2009, un contratto ad efficacia traslativa avente ad oggetto la loro quota indivisa relativa ad immobili siti in (OMISSIS), che, peraltro, l’attore già coltivava da oltre vent’anni, e che gli stessi avevano disertato l’appuntamento fissato innanzi al notaio per formalizzare l’acquisto. L’attore, in forza di tali fatti, ha chiesto che fosse dichiarato l’avvenuto trasferimento, in suo favore, dei predetti immobili o che fosse pronunciata sentenza che, ai sensi dell’art. 2932 c.c., producesse gli effetti del contratto non concluso, e cioè il trasferimento in favore dell’attore della proprietà oggetto del preliminare, ovvero, in via ulteriormente subordinata, accertare l’acquisto da parte dell’attore, per usucapione, della proprietà dei suddetti beni.

I convenuti, costituitisi in giudizio, hanno chiesto il rigetto della domanda, in quanto infondata, eccependo, tra l’altro, che la scrittura in questione doveva ritenersi nulla per indeterminatezza dell’oggetto e che non poteva in alcun modo considerarsi maturata la dedotta usucapione.

Il tribunale di Larino, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato le domande proposte.

Il tribunale, in particolare, esaminando in via principale la domanda proposta ai sensi dell’art. 2932 c.c. (posto che, in ragione della espressa dizione di “preliminare” in essa contenuta, in alcun modo la scrittura potrebbe considerarsi come immediatamente traslativa), ne ha ritenuto l’infondatezza sul rilievo che il preliminare in questione, peraltro privo della data di stipula, risulta, se si considerano le imprecisioni relative alle indicazioni dei beni oggetto di promessa di vendita, assolutamente inidoneo a costituire un valido vincolo contrattuale: anche a voler prescindere dall’assenza dei dati catastali, ha aggiunto il tribunale, la scrittura manca dell’indicazione dei confini e, comunque, di dati univocamente ed oggettivamente idonei ad individuare l’immobile compravenduto, come del resto è confermato dal raffronto tra quanto indicato nella premessa della scrittura, nella quale le parti hanno promesso di vendere tre appezzamenti di terreno, rispetto a quanto richiesto nell’atto introduttivo, nel quale sono indicate sei unità immobiliari. D’altra parte, ha continuato il tribunale, nei contratti per i quali è prescritta la forma scritta ad substantiam, la volontà comune delle parti deve rivestire tale forma per tutti gli elementi essenziali, per cui l’oggetto dello stesso dev’essere almeno determinabile in base ad elementi risultanti dall’atto stesso e non aliunde, non potendo a tal fine applicarsi nè l’art. 1362 c.c., comma 2, nè l’art. 1371 c.c..

Il tribunale, infine, ha ritenuto l’infondatezza della domanda di usucapione, rilevando come la stessa risulti concettualmente incompatibile con la volontà di stipulare un preliminare, sia pure assolutamente nullo, pacificamente sottoscritto nel 2009, e con quanto indicato nell’atto introduttivo, nel quale si dava atto che contestualmente alla scritture le parti provvedevano a trasferire il possesso giuridico dei terreni.

La corte d’appello di Campobasso, con ordinanza del 25/11/2014, comunicata in data 25/11/2014, ha ritenuto che, “essendo condivisibili le argomentazioni poste a fondamento dell’impugnata sentenza e apparendo privi di consistenza giuridica i motivi di gravami svolti dall’appellante”, l’appello proposto da P.V. non avesse la ragionevole probabilità di accoglimento e ne ha, pertanto, dichiarato, a norma dell’art. 348 bis c.p.c., l’inammissibilità.

P.V., con ricorso notificato in data 24/1.3/2/2015, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione tanto della sentenza pronunciata dal tribunale, quanto dell’ordinanza della corte d’appello.

P.G. e Pa.Ge. hanno resistito con controricorso notificato il 5/3/2015.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 1158 c.c. e l’errata interpretazione degli artt. 1165 e 2944 c.c., oltre che l’illogicità della motivazione e la violazione del diritto di difesa, ha censurato la sentenza del tribunale e l’ordinanza della corte d’appello nella parte in cui hanno ritenuto l’infondatezza della domanda di usucapione sul rilievo che l’attore, con la stipulazione nel 2009 di un preliminare, aveva riconosciuto l’altrui proprietà, con la conseguente interruzione del termine, laddove, in realtà, al momento della stipula della scrittura privata, il termine previsto dall’art. 1158 c.c. era già abbondantemente decorso ed era, dunque, immune da qualsiasi atto interruttivo. I giudici, invece, sul presupposto dell’incompatibilità tra la sottoscrizione di un atto finalizzato alla redazione dell’atto notarile e l’usucapione, hanno negato al ricorrente di provare, mediante testimoni, il fatto del possesso protratto ininterrottamente per vent’anni in modo non violento nè clandestino.

2.Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione delle norme in materia di interpretazione del contratto, la violazione delle norme che disciplinano il principio di conservazione del contratto, delle norme in materia di efficacia ed interpretazione del contratto di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., art. 1372 c.c. e ss., delle disposizioni inerenti la buona fede e la correttezza contrattuale ai sensi dell’art. 1175 c.c. e l’esecuzione di buona fede ex artt. 1375 c.c. e ss. ed, in ogni caso, la violazione degli artt. 1362,1346,1366,1367,1371,1375,1418 e 2932 c.c., ha censurato la sentenza del tribunale e l’ordinanza della corte d’appello nella parte in cui hanno omesso di accertare, considerare e valutare quale fosse stata l’effettiva volontà delle parti contraenti ed in ogni caso la validità degli accordi raggiunti tra i fratelli Pacifico, ritenendo, in particolare, che, in ragione delle imprecisioni relative all’indicazione dei beni oggetto della promessa di vendita, il preliminare in questione fosse del tutto inidoneo a costituire un valido vincolo contrattuale. Al contrario, ha osservato il ricorrente, si tratta di un preliminare ad effetti anticipati, in cui l’immissione in possesso dei beni sussisteva da oltre vent’anni ed il pagamento del prezzo pattuito era stato eseguito e quietanzato al momento della sua sottoscrizione, rientrante tra quelli che la giurisprudenza ritiene validi pur se privi di alcuni elementi di identificazione dell’oggetto, attesa la sua determinabilità aliunde o per relationem: nel caso di specie, infatti, gli elementi per la determinazione dell’oggetto potevano essere desunti dalla denuncia di successione prodotta o dalla prova testimoniale richiesta dall’attore, oltre che dalla richiesta di consulenza tecnica d’ufficio. In definitiva, ha aggiunto il ricorrente, non sussisteva alcuna incertezza in ordine alla individuazione dei cespiti immobiliari oggetto della scrittura privata, la cui validità non richiede la completa e dettagliata indicazione di tutti gli elementi del futuro contratto risultando sufficiente l’accordo delle parti sui suoi elementi essenziali: quanto meno, a norma dell’art. 1367 c.c., relativamente ai beni correttamente ed esaustivamente identificati. La corte d’appello, infine, ha concluso il ricorrente, pur avendo dichiarato l’inammissibilità dell’appello a norma dell’art. 348 bis c.p.c., ritenendo che l’oggetto del contratto possa essere determinato anche aliunde, ha, in realtà, modificato la motivazione della sentenza del tribunale, per il quale, invece, l’oggetto del contratto deve essere determinabile in base ad elementi risultanti dall’atto stesso e non aliunde.

3.Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dei principi previsti dall’art. 348 bis c.p.c., ha censurato l’ordinanza d’inammissibilità per avere la corte d’appello frettolosamente liquidato l’appello proposto, dichiarandone l’inammissibilità, pur a fronte di un atto rituale, esaustivo e recante specifici motivi d’appello.

4.In via preliminare, la Corte ritiene che il ricorso, nella parte in cui investe direttamente l’ordinanza pronunciata dalla corte d’appello a norma degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c. e per il terzo motivo articolato, è, in parte, inammissibile e, per il resto, infondato. Ed infatti, premesso che la corte d’appello ha dichiaratamente condiviso nel merito la decisione assunta dal tribunale, escludendo che l’appello proposto nei confronti di quest’ultima potesse avere la ragionevole probabilità di essere accolto, occorre osservare che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 1914 del 2016, hanno escluso che l’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c. sia impugnabile con censure riguardanti il “merito” della controversia, giusta la previsione di ricorribilità per cassazione della sentenza di primo grado e quindi la non definitività, sotto questo profilo, dell’ordinanza medesima, chiarendo che il ricorso straordinario per cassazione avverso tale ordinanza è bensì ammissibile, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, ma limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale, quali, in particolare, l’inosservanza delle specifiche previsioni di cui all’art. 348 bis c.p.c., comma 2 e art. 348 ter c.p.c., comma 1, primo periodo e comma 2, primo periodo (conf. Cass. n. 20758 del 2017; Cass. n. 14312 del 2018): tali vizi, però, nella specie non sono stati neppure dedotti. Quanto al resto – e qui viene in rilievo la corrispondente censura svolta nel secondo motivo – non può invocarsi, a sostegno della censura svolta, il mero fatto che la corte distrettuale, pur avendo dichiarato l’inammissibilità dell’appello a norma dell’art. 348 bis c.p.c., abbia, poi, modificato la motivazione resa dal tribunale ritenendo che l’oggetto del contratto sia determinabile anche aliunde: in effetti, è senz’altro vero che il provvedimento con il quale il giudice, dichiarando l’inammissibilità dell’impugnazione ai sensi degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., rilevi l’inesattezza della motivazione della decisione di primo grado e sostituisca ad essa una diversa argomentazione in punto di fatto o di diritto, pur avendo la veste formale di ordinanza, ha contenuto sostanziale di sentenza di merito, sicchè è ricorribile direttamente per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., senza che possa trovare applicazione l’art. 348 ter, comma 3 (Cass. n. 15644 del 2017): nel caso di specie, tuttavia, la corte d’appello, dopo aver ammesso, in astratto, la determinabilità aliunde dell’oggetto del contratto, ha ritenuto con un apprezzamento in fatto insindacabile in questa sede e, comunque, non adeguatamente contrastato in ricorso – che la scrittura privata conteneva, quanto all’identificazione dell’oggetto, dati incompleti ed incoerenti tanto con l’elencazione degli immobili contenuta nell’atto di citazione che ha introdotto il giudizio, quanto con le denunce di successione in atti, “difformi quanto ai numeri dei fogli e delle particelle catastali ed anche quanto al riferimento alle contrade, fra le quali non è compresa la “Difesa” menzionata nel preliminare”, in tal modo escludendo che il contratto fosse, in concreto, determinabile. Ed è noto, invece, che, ai fini della validità del contratto preliminare di compravendita immobiliare, se non è indispensabile la completa e dettagliata indicazione di tutti gli elementi del futuro contratto, risultando sufficiente l’accordo delle parti su quelli essenziali e, quindi, che dal documento risulti (anche attraverso il rimando ad elementi esterni ma idonei a consentirne l’identificazione in modo inequivoco) che le parti abbiano inteso fare riferimento ad un bene determinato o, comunque, determinabile, la cui indicazione pertanto, attraverso gli ordinari elementi identificativi richiesti per il definitivo, può altresì essere incompleta o mancare del tutto, resta pur sempre necessario che l’intervenuta convergenza delle volontà risulti, sia pure aliunde o per relationem, logicamente ricostruibile (cfr. Cass. n. 11297 del 2018): ciò che, come detto, la corte d’appello ha, in fatto, escluso.

5. Per quanto riguarda, invece, la sentenza del tribunale, impugnata per cassazione a norma dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3, la Corte osserva che: a) il primo motivo è infondato: il tribunale, infatti, ha ritenuto che la stipula, nell’anno 2009, di un contratto preliminare, sia pure assolutamente nullo, è incompatibile con il possesso ad usucapionem, implicitamente me inequivocamente affermando l’interruzione del relativo termine in conseguenza dell’intervenuto riconoscimento dell’altruità del bene, così facendo corretta applicazione del principio secondo il quale, in tema di usucapione, ai sensi dell’art. 1165 c.c. in relazione all’art. 2944 c.c., il riconoscimento del diritto altrui da parte del possessore, quale atto incompatibile con la volontà di godere il bene uti dominus, interrompe il termine utile per l’usucapione (Cass. n. 25250 del 2006, che ha confermato la sentenza con la quale i giudici di merito, nell’escludere l’animus possidendi da parte del possessore, aveva rilevato che il medesimo aveva trattato l’acquisto della proprietà del bene, così manifestando non solo di essere a conoscenza dell’appartenenza del bene ad altri, ma anche di riconoscere l’altrui proprietà; conf. Cass. n. 2319 del 2010; Cass. n. 19706 del 2014). Nè può rilevare il fatto che, in realtà, l’invocata usucapione era già maturata al momento della scrittura privata e non era, quindi, suscettibile d’interruzione con la relativa stipulazione: il giudizio di merito, per come risulta ricostruito nella sentenza impugnata (e nell’ordinanza d’inammissibilità della corte d’appello, la quale dà atto che l’appellante “ha riproposto gli argomenti difensivi svolti in primo grado”), non risulta aver avuto ad oggetto tale questione: ed è, invece, noto che i motivi del ricorso per cassazione non possono riguardare nuove questioni di diritto se esse postulano indagini ed accertamenti in fatto non compiuti dal giudice del merito ed esorbitanti dai limiti funzionali del giudizio di legittimità (Cass. n. 16742 del 2005); pertanto, secondo il costante insegnamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 6542 del 2004), qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere (rimasto, nella specie, inadempiuto) non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa. La censura relativa alla mancata ammissione delle prove testimoniali (dichiaratamente volte a dimostrare il possesso ad usucapionem) risulta, pertanto assorbita: il ricorrente, del resto, non ha riprodotto, in ricorso, le circostanze sulle quali i testimoni avrebbero dovuto essere sentiti, laddove, al contrario, se, con il ricorso per cassazione, sono denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente i mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova (Cass. n. 4178 del 2007; Cass. n. 23194 del 2017); la corte d’appello, del resto, ha, sul punto, incontestatamente accertato che l’attore, nel giudizio di primo grado, non aveva proposto, in sede di precisazione delle conclusioni, istanza di revoca del provvedimento con il quale il primo giudice aveva disatteso la richiesta di prova testimoniale dallo stesso articolata: ed è noto, invece, che, nell’ipotesi di rimessione della causa in decisione, le parti possono sottoporre al tribunale, ai sensi dell’art. 178 c.p.c., comma 1, tutte le questioni già definite dal giudice istruttore con ordinanza revocabile, senza bisogno di proporre specifica impugnazione, purchè sia stata chiesta, in sede di precisazione delle conclusioni, la revoca della menzionata ordinanza: in caso contrario, resta precluso al giudice unico, ove la controversia debba essere decisa dal tribunale in composizione monocratica, qualsivoglia scrutinio al riguardo, con la conseguente impossibilità di sollevare la suddetta questione in sede di impugnazione (Cass. n. 7472 del 2017); b) il secondo motivo è infondato: intanto, occorre ricordare il principio per cui, nell’ipotesi in cui il ricorso per cassazione contesti la qualificazione attribuita dal giudice di merito al contratto intercorso tra le parti, le relative censure, per essere esaminabili, non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, ma debbono essere proposte sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e ss. o dell’insufficienza o contraddittorietà della motivazione, e, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, debbono essere accompagnate dalla trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti (la cui ricerca, che integra un accertamento di fatto, è preliminare alla qualificazione del contratto), al fine di consentire, in sede di legittimità, la verifica dell’erronea applicazione della disciplina normativa (Cass. n. 13587 del 2010): nel caso in esame, invece, il ricorrente non ha riprodotto, quanto meno nel suo contenuto essenziale, il testo del contratto del quale ha lamentato l’erronea qualificazione. In tema di ermeneutica contrattuale, del resto, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio (che, com’è noto, costituisce l’antecedente logico della relativa qualificazione giuridica: Cass. n. 14432 del 2016) si traduce in un’indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di vizio di motivazione ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e ss. (Cass. n. 17893 del 2009; Cass. n. 1406 del 2007), con la conseguenza che, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 27136 del 2017): ciò che, nel caso di specie, non è accaduto. Del resto, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. 27136 del 2017). In ogni caso, il tribunale, con apprezzamento in fatto insindacabile e, comunque, non specificamente censurato (se non altro in ragione della mancata riproduzione in ricorso del contenuto dei documenti o delle prove da cui, a dire del ricorrente, avrebbero potuto trarsi per relationem gli elementi d’identificazione dei beni asseritamente oggetto del contratto, con conseguente carenza di specificità), ha ritenuto che la scrittura manca dell’indicazione di dati univocamente ed oggettivamente idonei ad individuare l’immobile compravenduto, come confermato dal raffronto tra quanto indicato nella premessa della scrittura, nella quale le parti hanno promesso di vendere tre appezzamenti di terreno, rispetto a quanto richiesto nell’atto introduttivo, nel quale sono indicate sei unità immobiliari. Solo che, come in precedenza evidenziato, pur ammettendo che, ai fini della validità del contratto preliminare di compravendita immobiliare, è sufficiente che dal documento risulti, anche attraverso il rimando ad elementi esterni ma idonei a consentirne l’identificazione in modo inequivoco, che le parti abbiano inteso fare riferimento ad un bene determinato o, comunque, determinabile, resta pur sempre necessario che l’intervenuta convergenza delle volontà risulti, sia pure aliunde o per relationem, logicamente ricostruibile: ciò che, invece, il tribunale ha, in fatto, escluso. Nè può invocarsi la violazione dell’art. 1362 c.c., comma 2, posto che l’oggetto del contratto per il quale è necessaria la forma scritta può considerarsi determinabile, benchè non indicato specificamente, solo se sia con certezza individuabile in base agli elementi prestabiliti dalle parti nello stesso atto scritto, senza necessità di fare ricorso al comportamento successivo delle parti, dovendosi, quindi, escludere la possibilità di applicazione, per la determinazione dell’oggetto del contratto, della regola ermeneutica, stabilita dalla norma citata, che consente di tenere conto, nella ricerca della comune intenzione dei contraenti, del comportamento di questi successivo alla conclusione del contratto (Cass. n. 5385 del 2011). E neppure, infine, rileva il principio di conservazione del contratto previsto dall’art. 1367 c.c., il quale presuppone un contratto valido cui occorra attribuire effetti pratici e non opera, quindi, in caso di contratto che, per l’indeterminatezza ed indeterminabilità dell’oggetto, così come accertata dal giudice di merito, è viziato da nullità (cfr. Cass. n. 229 del 1962).

6. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.

7. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

8. La Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

la Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese di lite, che liquida in Euro 2.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 25 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2019

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