Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 915 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/01/2020, (ud. 10/07/2019, dep. 17/01/2020), n.915

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

G.A., rappresentato e difeso, giusta procura speciale

stesa a margine del ricorso, dall’Avv. Mauro Mocci del Foro di

Civitavecchia, il quale ha indicato recapito PEC, ed elettivamente

domiciliato presso il suo studio, alla via Gobetti 11, in

Civitavecchia;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

avverso la sentenza n. 375, pronunciata dalla Commissione Tributaria

Regionale di Roma il 25.11.2014 e pubblicata il 27.01.2015;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Paolo Di Marzio.

LA CORTE OSSERVA:

Fatto

FATTI DI CAUSA

G.A. presentava, il 4 settembre 2006, istanza di rimborso dell’imposta, che riteneva essergli stata applicata in eccesso, in relazione alle somme percepite in occasione della cessazione del suo rapporto di lavoro con l’Enel, verificatasi nel 2002.

Chiarezza impone di anticipare che l’odierno ricorrente, al tempo dei fatti cinquantaduenne, aveva percepito un incentivo all’esodo e sulle somme erogate era stata applicata la relativa imposizione. Quest’ultima era però calcolata, all’epoca, con aliquota di maggior favore nei confronti delle donne che avessero compiuto i cinquant’anni e degli uomini che avessero compiuto i cinquantacinque. La Corte di Giustizia Europea, con decisione del 16.1.2008, aveva poi dichiarato l’illegittimità della discriminazione di genere, che pregiudicava gli interessi degli appartenenti al sesso maschile.

Avverso il silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria, il contribuente proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma affermando, tra l’altro, che il termine di decadenza di quarantotto mesi per domandare il rimborso dovesse decorrere dalla ricordata pronuncia della decisione della Corte di giustizia Europea (16.1.2008). La CTP riteneva ricorrere un’ipotesi di overruling, ed occorresse pertanto consentire la rimessione in termini del soggetto incolpevolmente incorso in una decadenza dall’azione. In conseguenza accoglieva il ricorso proposto dal G., riconoscendo il diritto al richiesto rimborso.

L’Agenzia delle Entrate impugnava la decisione assunta dalla CTP innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, insistendo sulla propria prospettazione secondo cui il contribuente era decaduto dalla possibilità di richiedere il rimborso per averlo domandato a seguito del decorso dei quarantotto mesi di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38. La CTR osservava che le pronunce della Corte di giustizia Europea del Lussemburgo sortiscono, invero, effetto retroattivo, ma non possono trovare applicazione in relazione a rapporti, in questo caso tributari, definitivamente esauriti, come chiarito dalla stessa Corte Europea e, proprio in materia tributaria, pure dalle Sezioni Unite della Suprema Corte. “Nello specifico, l’istanza di rimborso del contribuente deve considerarsi a tutti gli effetti tardiva, essendo stata presentata all’Ufficio soltanto in data 4 settembre 2006, quando ormai il rapporto tributario era esaurito, non essendo stato rispettato il termine di 48 mesi, decorrenti dal pagamento dell’imposta” (sent. CTR, p. 4). In conseguenza accoglieva il ricorso proposto dall’Ente impositore. Ne conseguiva che il rimborso domandato dal contribuente risultava non dovuto, perchè richiesto oltre la scadenza dei termini fissati dalla legge per richiederlo.

Avverso la decisione assunta dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha proposto impugnazione per cassazione il contribuente, affidandosi a due, articolati, motivi di ricorso. L’Agenzia delle Entrate non si è costituita tempestivamente, depositando soltanto istanza di partecipazione alla discussione in occasione della eventuale udienza pubblica.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il suo primo motivo di ricorso, proposto invocando la “violazione di legge” (ric., p. II), pertanto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’impugnante contesta la decisione assunta dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio per non aver rilevato l’inesistenza dell’atto impositivo e della notifica del ricorso in appello dell’Agenzia delle Entrate.

1.1. – Mediante il secondo motivo di ricorso, proposto per vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’impugnante censura la decisione assunta dalla CTR per non aver tenuto conto della decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che aveva, con pronuncia del 21.7.2005, affermato l’illegittimità della discriminazione uomo-donna nella fruizione del beneficio dell’agevolazione tributaria in occasione dell’adesione alla disciplina dell’incentivo all’esodo.

In ogni caso, poi, nel caso di specie il termine quadriennale di cui alla D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, era stato rispettato, perchè “la trattenuta Irpef è stata operata in data 30/11/2002 e l’istanza di rimborso è stata presentata dal ricorrente in data 4/09/2006” (ric., p. III).

2.1. – Il ricorrente critica, mediante il suo primo motivo di ricorso, la violazione di legge in cui è incorsa la CTR per non aver rilevato la “inammissibilità dell’appello e la definitività del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado per inesistenza della notifica” del ricorso introduttivo, effettuata dall’Ente impositore “a mezzo del servizio postale senza la indicazione di uno degli elementi essenziali dell’art. 149 c.p.c. ovvero della indicazione della persona a cui era destinato l’atto ovvero il signor G.A.”. Ulteriore causa di inesistenza da riferirsi, a quanto sembra, allo stesso atto impositivo, dipende poi “dalla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, in quanto sottoscritto dal Sig. T.C. per delega del Direttore Provinciale, ma che non riveste la qualifica di funzionario della carriera direttiva” (ric., p. II).

Il motivo di ricorso risulta irritualmente proposto. La nullità dell’atto impositivo costituirebbe, infatti, un suo vizio genetico, mentre l’inesistenza della notifica dell’atto di appello dovrebbe essere riferita al giudizio di secondo grado. Nessuna delle due questioni risulta trattata nella decisione impugnata in questa sede. In conseguenza sarebbe stato specifico onere del ricorrente indicare dettagliatamente, nel suo ricorso per cassazione, mediante quali atti, nel corso dei gradi di merito, avesse proposto le sue censure, indicando pure, almeno in sintesi, le formule utilizzate, e non mancando di evidenziare mediante quali atti avesse diligentemente coltivato le proprie censure, in modo da consentire a questa Corte di procedere al controllo che le compete in ordine alla tempestività e congruità delle contestazioni proposte, prima ancora di procedere a valutarne la decisività. Le censure, come proposte, risultano quindi inammissibili.

Le questioni sono comunque anche infondate. Non ricorre un’ipotesi di inesistenza della notifica quando l’atto sia stato recapitato nel domicilio eletto ed abbia comunque raggiunto il suo scopo, come è dimostrato nel presente giudizio dal fatto che il contribuente ha potuto costituirsi nel giudizio innanzi alla CTR, e svolgere compiutamente le proprie difese (cfr. Cass. sez. V, 28.10.2016, n. 21865).

Inoltre, non può essere contestato, quand’anche fosse effettivamente ricorrente, neppure il vizio genetico dell’atto impositivo per vizio di qualifica del firmatario per conto dell’Ente impositore, qualora il contribuente non lo abbia fatto valere, tempestivamente, nel primo grado del giudizio, in modo da consentire all’Amministrazione finanziaria di poter fornire la prova contraria.

Alla luce di quanto precedentemente esposto, il motivo di ricorso è, pertanto, inammissibile.

2.2. – Con il secondo motivo di ricorso il contribuente propone in realtà due critiche ben distinte. In primo luogo censura la decisione del giudice dell’appello per non aver ritenuto che la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ha dichiarato la illegittimità della normativa italiana che prevedeva una discriminazione di genere, fondata sulla diversa età anagrafica in cui era possibile accedere a benefici fiscali da parte degli uomini (55 anni) e delle donne (50 anni), avrebbe comportato la riapertura del termine quadriennale per proporre validamente l’istanza di rimborso dell’imposta pagata in eccesso dagli uomini che avevano comunque compiuto i 50 anni, sebbene non ancora i 55. Pur contestando il vizio di motivazione, il contribuente non si confronta con la decisione della CTR, la quale ha chiaramente motivato che le sentenze della Corte Europea sortiscono effetto retroattivo, ma non in relazione ai rapporti esauriti, come affermato dalla stessa giurisprudenza sovranazionale (CGUE, 13.1.2014, in causa c453/00), e pur contestando il vizio di motivazione, si limita a ripresentare succintamente i propri argomenti che propongono una diversa interpretazione in termini di diritto, peraltro in contrasto anche con l’orientamento assunto dalla Suprema Corte, la quale ha chiarito, pronunciando a Sezioni Unite, che “il termine di decadenza per il rimborso delle imposte sui redditi, previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, e decorrente dalla “data del versamento” o da quella in cui “la ritenuta è stata operata”, opera anche nel caso in cui l’imposta sia stata pagata sulla base di una norma successivamente dichiarata in contrasto con il diritto dell’Unione Europea da una sentenza della Corte di giustizia, atteso che l’efficacia retroattiva di detta pronuncia – come quella che assiste la declaratoria di illegittimità costituzionale – incontra il limite dei rapporti esauriti, ipotizzabile allorchè sia maturata una causa di prescrizione o decadenza, trattandosi di istituti posti a presidio del principio della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche”, Cass. SU, 16.6.2014, n. 13676, già segnalata dalla CTR (ma cfr. anche, in senso conforme, Cass. sez. VI-V, 27.11.2014, n. 25268). Merita ancora di essere ricordato, in considerazione della decisione assunta nel presente giudizio dalla CTP, che nella indicata pronuncia le Sezioni Unite hanno pure chiarito: “Allorchè un’imposta sia stata pagata sulla base di una norma successivamente dichiarata in contrasto con il diritto dell’Unione Europea, i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di “overruling” non sono invocabili per giustificare la decorrenza del termine decadenziale del diritto al rimborso dalla data della pronuncia della Corte di giustizia, piuttosto che da quella in cui venne effettuato il versamento o venne operata la ritenuta, termine fissato per le imposte sui redditi dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, dovendosi ritenere prevalente una esigenza di certezza delle situazioni giuridiche, tanto più cogente nella materia delle entrate tributarie, che resterebbe vulnerata attesa la sostanziale protrazione a tempo indeterminato dei relativi rapporti”, Cass. SU, 16.6.2014, n. 13676. In relazione a tale profilo il motivo di ricorso risulta pertanto inammissibile.

Sostiene inoltre, il ricorrente, che il termine di quarantotto mesi per la presentazione del ricorso sarebbe stato comunque rispettato. La CTR sostiene ripetutamente, nella propria decisione, che l’affermazione non corrisponde al vero, perchè il termine risultava elasso quando l’istanza rimborso è stata proposta. Sarebbe stato preciso onere del contribuente, pertanto, indicare da quale atto, presente nel fascicolo dibattimentale, potesse desumersi la data esatta in cui la trattenuta era stata operata. Le stesse Sezioni Unite della Suprema Corte non hanno mancato di precisare, in proposito, che “in tema di ricorso per cassazione, il art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto; tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso (art. 372 p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso”, Cass. SU, 25.3.2010, n. 7161. Il ricorrente avrebbe poi dovuto segnalare anche in quali atti del giudizio di merito avesse proposto le sue censure, indicando pure, almeno in sintesi, le formule utilizzate, e non mancando di evidenziare mediante quali atti avesse diligentemente coltivato le proprie censure, in modo da consentire a questa Corte di procedere al controllo che le compete in ordine alla tempestività e congruità delle contestazioni proposte, prima ancora di procedere a valutarne la decisività.

Anche le censure contenute nel secondo motivo, come introdotte, risultano quindi inammissibili.

Nulla deve provvedersi in ordine alle spese di lite, stante la soccombenza del ricorrente ed il mancato svolgimento di difese da parte dell’intimata Agenzia delle Entrate.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da G.A.. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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