Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9149 del 16/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 16/04/2010, (ud. 10/03/2010, dep. 16/04/2010), n.9149

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16429/2005 proposto da:

UNIVERSORO SRL IN LIQUIDAZIONE in persona del Liquidatore e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

SICILIA 66, presso lo studio dell’avvocato TIEGHI Roberto, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIULIANI FRANCESCO,

giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, MINISTERO

DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 129/2002 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 29/11/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/03/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO DIDOMENICO;

udito per il ricorrente l’Avvocato ALIBERTI, per delega dell’Avvocato

TIEGHI, che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Universoro s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Regionale del Veneto dep. il 29/11/2002 che aveva accolto l’appello dell’Ufficio e rigettato l’appello incidentale della società avverso la sentenza della CTP di Padova che aveva accolto parzialmente il ricorso della contribuente, riconoscendo costi per L. 600.000.0000 sui ricavi accertati di L. 769.622.000 e annullando l’accertamento in ordine ai costi indeducibili per operazioni inesistenti per L. 839.344.000 e per L. 54.724.000 per indebita deduzione di quote di ammortamento.

La CTR aveva ripristinato l’originario accertamento escludendo i superiori costi e ritenendo legittimo il recupero a tassazione dei costi per operazioni inesistenti e per indebita deduzione di quote di ammortamento.

La ricorrente affida il ricorso a dodici motivi.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze in persona del Ministro e l’Agenzia delle Entrate in persona del Direttore pro tempore hanno resistito con controricorso. La causa è stata rimessa alla decisione in pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo la società ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, art. 654 c.p.p., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 e art. 2697 c.c., e vizio motivazionale; in particolare deduce che la sentenza era fondata sulle dichiarazioni confessorie rese da V. F., all’epoca amministratore della società e su sentenza di patteggiamento.

Osserva, in particolare, che le dichiarazioni del V. non potevano avere riconosciuta natura confessoria e pertanto essere imputate alla Universoro che era una società di capitali e che la sentenza di patteggiamento del predetto non poteva far stato nei confronti della società.

Il motivo è infondato.

Il ricorrente assume che la CTR avrebbe valutato le dichiarazioni del V. alla stregua di confessioni e pertanto con l’efficacia di prova legale.

A parte il rilievo di non autosufficienza del motivo, l’esame della sentenza però non giustifica tale affermazione non avendo la CTR certo attribuito la fede privilegiata di cui sopra ma avendo valutato tale dichiarazione unitamente agli altri dati processuali. Lo stesso dicasi per l’altro profilo di doglianza, non risultando in alcun modo che la CTR abbia a tale sentenza attribuito efficacia di giudicato.

Col secondo motivo la ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, per l’utilizzo di presunzioni non gravi, precise e concordanti.

Il motivo è inammissibile perchè introduce surrettiziamente censure di merito,non proponibili in questa sede.

Col terzo motivo la ricorrente si duole, sotto altro profilo, di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, per l’utilizzo di presunzioni non gravi, precise e concordanti,nonchè di vizio motivazionale.

Vale quanto osservato in ordine al precedente motivo.

Col quarto motivo la ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, commi 4 e 6 (T.U.I.R.) deducendo la inapplicabilità della vecchia disciplina abrogata, seppure in vigore ratione temporis, in virtù del carattere sanzionatorio riconosciuto dalla giurisprudenza del S.C..

Il motivo è fondato.

Questa Corte (Cass. n. 9917/2008) ha ritenuto che in tema di imposte sui redditi e con riferimento alla determinazione del reddito d’impresa, l’abrogazione, ad opera del D.P.R. 9 dicembre 1996, n. 695, art. 5, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, comma 6, che precludeva la possibilità di provare l’esistenza di costi, altrimenti deducibili, che non fossero stati regolarmente registrati, ha determinato da un lato un ampliamento delle facoltà di prova del contribuente, dall’altro una riduzione del carico sanzionatorio connesso alla violazione degli obblighi di registrazione. Tale nuova disciplina, applicabile anche nei procedimenti pendenti, ove sia intervenuta nel corso del giudizio di appello dev’essere applicata anche d’ufficio, quale normativa sopravvenuta più favorevole, salvo che sul punto non si sia formato un giudicato.

Col quinto motivo la ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33.

Il motivo è infondato.

Questa Corte (Cass. n. 7279/2009) ha ritenuto che In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, richiesta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 3, per la trasmissione, agli uffici delle imposte, di documenti, dati e notizie acquisiti dalla Guardia di finanza nell’ambito di un procedimento penale, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, con la conseguenza che la mancata produzione o riproduzione testuale della suddetta autorizzazione, di cui siano indicati gli estremi, non determina in alcun modo la nullità dell’accertamento e ciò neppure nel caso in cui l’attività di polizia giudiziaria riguardi soggetti diversi dal contribuente, anche considerato che la L. n. 413 del 1991, art. 18, comma 1, eliminando dal suddetto art. 33, comma 3, le parole “nei confronti dell’imputato”, ha reso irrilevante la circostanza che l’indagine penale si sia svolta nei confronti del contribuente o di altro soggetto.

Col sesto motivo la ricorrente si duole di vizio motivazionale sotto tutti i profili assumendo che la sentenza si fonderebbe su elementi non pertinenti; in particolare, assume che la CTR si sarebbe basata sulla sentenza penale del 12/12/1995 che faceva riferimento all’acquisto di KG. 40 di oro puro e non di argento in grana.

Il motivo è inammissibile perchè introduce censure di fatto. Ove lo stesso dovesse intendersi nel senso di evidenziare un errore di fatto del giudice, lo stesso sarebbe inammissibile perchè introdurrebbe un vizio revocatorio deducibile ex art. 395 c.p.c., n. 4.

Col settimo motivo la ricorrente si duole di vizio motivazionale in ordine ai contrasti tra gli accertamenti della G. di F..

Il motivo è inammissibile perchè introduce surrettiziamente censure di merito, non proponibili in questa sede.

Coll’ottavo motivo la ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, art. 654 c.p.p., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 e art. 2697 c.c., e vizio motivazionale; in particolare, deduce che la sentenza era fondata sulle dichiarazioni testimoniali che non si riscontrano nel PVC notificato alla contribuente.

Il motivo è inammissibile perchè introduce censure di fatto. Ove lo stesso dovesse intendersi nel senso di evidenziare un errore di fatto del giudice, lo stesso sarebbe inammissibile perchè introdurrebbe un vizio revocatorio deducibile ex art. 395 c.p.c., n. 4.

Col nono motivo la ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 comma 1 e art. 2697 c.c., per l’inesistenza di presunzioni non gravi, precise e concordanti.

Il motivo è inammissibile perchè introduce censure di fatto.

Col decimo motivo la ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 e art. 2697 c.c. in ordine alla falsificazione della bolla di accompagnamento.

Vanno ribadite le osservazioni di cui al precedente rilievo.

Coll’undicesimo motivo la ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 75, comma 6 del cit. T.U.I.R., in ordine alla asserita indebita deduzione di quote di ammortamento.

Il motivo è fondato per le stesse osservazioni di cui al motivo n. 4.

Col dodicesimo motivo la ricorrente deduce la natura meramente formale della violazione.

Il motivo, oltre ad essere non autosufficiente è anche generico, non fornendosi alcun riscontro testuale della dedotta corrispondenza delle annotazioni a matita con i dati di bilancio.

Il ricorso va pertanto accolto limitatamente ai motivi n. 4 e n. 11, con necessità di rinvio in ordine ai relativi punti della sentenza ad altra Sezione della CTR del Veneto che si atterrà ai superiori principi e provvederà anche sulle spese.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il quarto e l’undicesimo motivo, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata relativamente ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla CTR del Veneto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria il 10 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2010

 

 

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