Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9149 del 02/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 02/04/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 02/04/2021), n.9149

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28404/2017 proposto da:

ST. MALTA LIMITED, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, giusta procure speciali in calce al

ricorso, dagli avvocati Jacchia Roberto A., Terranova Antonella,

Ferraro Fabio e Agnello Daniela, elettivamente domiciliata presso lo

studio dei primi tre in Roma, alla via Vincenzo Bellini, n. 24;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio,

sez. staccata di Latina, n. 2339/18/2017 depositata il 27 aprile

2017, non notificata.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 19 gennaio 2021

dal consigliere Gori Pierpaolo.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sez. staccata di Latina, veniva rigettato l’appello proposto dalla società St. Malta Limited, n. q. di coobbligato solidale nei confronti di M.N., titolare dell’omonima ditta individuale avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Latina n. 2056/5/2014 in relazione all’avviso di accertamento per Giochi e Lotterie 2008 emesso nei confronti della società dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

2. Emerge dalla sentenza impugnata che tale ditta ha svolto per conto della St

. Malta Limited, priva di concessione, un’attività di raccolta di scommesse sportive a quota fissa; ad avviso dell’Agenzia delle dogane, che ha al riguardo fatto leva sugli esiti di una verifica fiscale svoltasi mediante accesso nei locali dell’agenzia di scommesse, la ditta individuale quale centro trasmissione dati (CTD) non si è limitata a trasmettere i dati informatici al bookmaker estero, ma ha sollecitato e raccolto le scommesse per poi, successivamente, pagare le vincite ai giocatori.

3. Ne è seguito un avviso di accertamento col quale l’Agenzia, per l’anno d’imposta 2008 ha recuperato l’imposta unica prevista dal D.Lgs. n. 23 dicembre 1998, in particolare nei confronti del bookmaker St. Malta Limited quale coobbligato solidale del CTD. L’impugnazione proposta da St. Malta Limited è stata rigettata sia in primo che in secondo grado.

4. Il giudice d’appello ha aderito al prevalente e consolidato orientamento giurisprudenziale di merito secondo cui il CTD svolge una funzione di ricevitoria da ritenere assimilabile alla gestione per conto terzi contemplata dalla L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, indipendentemente dalla mancanza di un potere d’ingerenza nella determinazione delle condizioni delle scommesse e che questa disciplina non si pone in contrasto col diritto unionale, anche sotto il profilo della doppia imposizione. Il giudice d’appello ha quindi escluso qualunque frizione con i principi costituzionali confermando in ogni parte la decisione di prime cure.

5. Contro questa sentenza St. Malta Limited propone ricorso per cassazione, illustrato con memoria, che affida a dieci motivi, cui l’Agenzia delle dogane e dei monopoli replica con controricorso, che parimenti illustra con memoria. La contribuente deposita inoltre istanza per la trattazione in pubblica udienza o per la remissione ad una pubblica udienza.

Diritto

RITENUTO

Che:

6. Preliminarmente, l’istanza di trattazione della causa in pubblica udienza va disattesa. In adesione all’indirizzo espresso dalle sezioni unite di questa Corte, il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare nel caso di specie (Cass., sez. un., 5 giugno 2018, n. 14437), e allorquando non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Cass., sez. un., 23 aprile

2020, n. 8093). In particolare, la sede dell’adunanza camerale non è incompatibile, di per sè, anche con la statuizione su questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite e già assistite da un consolidato orientamento, cui la Corte fornisce il proprio contributo.

7. Nel caso in questione, il tema oggetto del giudizio è nuovo nella giurisprudenza di questa Corte, ma non è inedito, in quanto compiutamente affrontato in tutti i suoi risvolti da un lato dalla Corte costituzionale (con la sentenza 14 febbraio 2018, n. 27) e dall’altro da quella della Corte di Giustizia (con la sentenza in causa C-788/18, relativa giustappunto alla St. Malta Limited); e i principi da quelle Corti stabiliti risultano ampiamente e diffusamente recepiti pure dalla giurisprudenza di merito. Così ampie e convergenti affermazioni inducono quindi a ritenere preferibile la scelta del procedimento camerale, funzionale alla decisione di questioni di diritto di rapida trattazione non caratterizzate da peculiare complessità (sulla medesima falsariga, si veda Cass. 20 novembre 2020, n. 26480). Nè la giurisprudenza penale di questa Corte richiamata nell’istanza di rimessione alla pubblica udienza è idonea a incrinare i principi in questione, per le ragioni di seguito esplicate.

8. Infine, quanto al profilo delle esigenze difensive, che pure si affaccia nell’istanza ed è ribadito nella memoria illustrativa, va anzitutto nuovamente sottolineato che, in conformità alla giurisprudenza sovranazionale, il principio di pubblicità dell’udienza, pur previsto dall’art. 6 CEDU e avente rilievo costituzionale, non riveste carattere assoluto e vi si può derogare in presenza di “particolari ragioni giustificative”, ove “obiettive e razionali” (in particolare, Corte Cost. 11 marzo 2011, n. 80). Ad ogni modo, queste esigenze sono anche in concreto presidiate, perchè le parti hanno illustrato la propria rispettiva posizione in esito alle pronunce della Corte costituzionale e della Corte di giustizia depositando osservazioni scritte.

9. Nel merito, con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e/ o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per aver la CTR pronunciato ultra petita sulla mancata previa notifica del p.v.c.. Violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 12 nonchè degli artt. 24 e 97 Cost. e del principio del contraddittorio endoprocedimentale, per non aver la CTR ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento in ragione della mancata notifica del p.v.c. al soggetto considerato responsabile in solido.

Il motivo è inammissibile. La complessiva doglianza, oltre a mescolare aspetti di violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con la deduzione di violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, consiste in una censura di erronea ricognizione da parte del giudice d’appello della materia del contendere, operata dalla CTR a pag.2 della sentenza sub a) in cui ha ritenuto la questione ritualmente dedotta in appello. Al proposito va ribadito “Il consolidato orientamento di questa Corte, in base al quale l’interpretazione operata dal giudice di appello riguardo al contenuto e all’ampiezza della domanda giudiziale è assoggettabile al controllo di legittimità limitatamente alla valutazione della logicità e congruità della motivazione. A tal riguardo, il sindacato della Corte di cassazione comporta l’identificazione della volontà della parte in relazione alle finalità dalla medesima perseguite, in un ambito in cui, in vista del predetto controllo, tale volontà si ricostruisce in base a criteri ermeneutici assimilabili a quelli propri del negozio, diversamente dall’interpretazione riferibile ad atti processuali provenienti dal giudice, ove la volontà dell’autore è irrilevante e l’unico criterio esegetico applicabile è quello della funzione obiettivamente assunta dall’atto giudiziale (tra varie, Cass. 8 agosto 2006, n. 17947 e 21 febbraio 2014, n. 4205)” (Cass. Sez. Un, Sentenza n. 27435 del 2017). Nel caso di specie la contribuente ha male censurato la ricognizione della materia giustiziabile operata dalla motivazione del giudice d’appello, a dire della società non estesa anche alla mancata notifica del p.v.c. al coobbligato solidale, dal momento che avrebbe dovuto contrastarla deducendo il vizio motivazionale e unicamente sotto il profilo della logicità e congruità della motivazione, mentre ha protto da un lato la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e, dall’altro, la violazione di legge.

10. Il secondo motivo di ricorso col quale la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, là dove la Commissione tributaria regionale ha ritenuto l’avviso di accertamento adeguatamente motivato, è inammissibile per carenza di autosufficienza e perchè non è congruente col contenuto della decisione.

Anzitutto, a fronte dell’affermazione contenuta in sentenza che “l’avviso di accertamento è correttamente ed esaustivamente motivato essendo stato allegato allo stesso, per la notifica a SB, il p. v. c. “, non si allega il contenuto dell’avviso, al fine di evidenziare che con esso l’Agenzia si sia limitata a enunciare la pretesa impositiva, senza indicarne petitum e causa petendi e senza ricostruirne gli elementi costitutivi (secondo le precisazioni rese da questa Corte, per le quali si veda, tra varie, Cass. 21 novembre 2018, n. 30039).

11. Il terzo, il quarto, il quinto, il sesto, l’ottavo, il nono e il decimo motivo vanno esaminati insieme, perchè concernono tutti, sotto diversi profili, i presupposti dell’imposta unica sulle scommesse.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla legge di stabilità per il 2011, art. 1, comma 66, lett. b), là dove il giudice d’appello ha ritenuto il centro di trasmissione dati soggetto passivo del tributo.

Col quarto motivo si prospetta la violazione o falsa applicazione della L. n. 288 del 1998, art. 1, comma 2, lett. b), e degli artt. 1326, 1327 e 1336 c.c., perchè la Commissione tributaria regionale avrebbe errato nel configurare in capo al centro di trasmissione dati il profilo territoriale del tributo.

Col quinto motivo si fa valere la violazione o falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35 comma 3 e art. 36, comma 2, nn. 2 e 4 nonchè dell’art. 112 c.p.c. per non aver la CTR esaminato la doglianza relativa alla violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 1, come interpretato dalla della legge di stabilità per il 2011, art. 1, comma 66, lett. a), per insussistenza del profilo oggettivo del presupposto dell’imposta unica.

Con il sesto motivo di ricorso, si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione dell’art. 56 TFUE e ss., e dei principi del Diritto dell’Unione di parità di trattamento e non discriminazione, con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 1, come interpretato dalla legge di stabilità 2011, art. 1, comma 66, nonchè per violazione del principio di legittimo affidamento. In subordine, è stato chiesto il rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, comma 2.

Coll’ottavo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost. in riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, artt. 1 e 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 64, comma 3, e della legge di stabilità per il 2011, art. 1, comma 66, lett. b).

Col nono motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35 comma 3 e art. 36, comma 2, nn. 2 e 4 nonchè dell’art. 112 c.p.c. per non aver la CTR esaminato la denunciata violazione e/o falsa applicazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza delle leggi ex art. 3 Cost. sotto molteplici profili, con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 e della legge di stabilità per il 2011, art. 1 commi 64 e 66, lett. b).

Con il decimo motivo si sottolinea la violazione o falsa applicazione del principio dell’equo processo stabilito dall’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dell’art. 117 Cost., comma 1, sempre con riguardo alle norme in questione.

12. I motivi non possono trovare ingresso. La Corte rammenta che sin dalle origini il tributo sui giochi e le scommesse, che è frutto del percorso evolutivo iniziato con la tassa di lotteria (D.Lgs. 14 aprile 1948, n. 496, art. 6), è stato pensato in relazione alle attività di gioco: già nella relazione ministeriale al disegno di legge istitutivo dell’imposta unica n. 2033 presentato il 15 giugno 1951, si leggeva, quanto ai giochi riservati al CONI e all’UNIRE, che questi “debbono allo Stato, per l’esercizio delle attività di giuoco predette, la corresponsione di una tassa di lotteria”. Sicchè il presupposto dell’imposizione non è stato correlato alla giocata in sè, ma alla prestazione di un servizio, che è, appunto, il servizio di gioco. Il prelievo colpisce dunque il prodotto che è offerto al consumatore tramite l’organizzazione dell’attività, sotto forma di servizio.

13. E queste ragioni di ordine storico e sistematico innervano il quadro normativo odierno, che è così articolato:

– conformemente al D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 1, volto al riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma della L. 3 agosto 1998, n. 288, art. 1, comma 2, l’imposta unica è dovuta per i concorsi pronostici e le scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all’estero;

– il suddetto D.Lgs. n. 504 del 1988, art. 3, intitolato ai soggetti passivi, stabilisce che “Soggetti passivi dell’imposta unica sono coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse”; a norma della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, “a) (…) l’imposta unica (…) è comunque dovuta ancorchè la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze -amministrazione autonoma dei monopoli di Stato; b) il D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorchè in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze -amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”;

– il D.M. economia e finanze 1 marzo 2006, n. 111, art. 16 prevede che il concessionario effettui il pagamento delle somme dovute a titolo di imposta unica;

– ai sensi della L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 644, lett. g), l’imposta unica si applica “su di un imponibile forfetario coincidente con il triplo della media della raccolta effettuata nella provincia ove è ubicato l’esercizio o il punto di raccolta, desunta dai dati registrati nel totalizzatore nazionale per il periodo d’imposta antecedente a quello di riferimento”.

Questo quadro normativo è stato sottoposto all’esame sia della Corte costituzionale sia della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni rispettivamente con la Costituzione e col diritto unionale prospettate nell’odierno ricorso, fornendo chiari elementi per la soluzione degli ulteriori dubbi prospettati con la memoria illustrativa.

14. La Corte costituzionale (con la sentenza 23 gennaio 2018, n. 27) ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio), ma ha riconosciuto che il legislatore con la L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, da un canto ha stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e, d’altro canto, ha esplicitato l’obbligo delle ricevitorie operanti, come nel caso in esame, per conto di bookmakers privi di concessione al versamento del tributo e delle relative sanzioni.

A questo riguardo ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del “gestore per conto terzi” (ossia del titolare di ricevitoria) al “gestore per conto proprio” (ossia al bookmaker) sia irragionevole. Entrambi i soggetti, difatti, ha sottolineato quella Corte, partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione. In particolare, ha rimarcato, il titolare della ricevitoria, benchè non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perchè assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonchè del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker.

15. Della sussistenza di autonomi rapporti obbligatori – che ai fini tributari sono avvinti dal nesso di solidarietà per conseguenza paritetica, e non già dipendente – non dubita, d’altronde, la giurisprudenza civile di questa Corte, la quale, sia pure con riguardo al gioco del lotto, ha chiarito, appunto, che sono due i rapporti obbligatori, quello concluso tra lo scommettitore e il raccoglitore e quello che si instaura tra lo scommettitore ed il gestore (Cass. 27 luglio 2015, n. 15731). La stessa giurisprudenza penale citata in memoria dai contribuenti (ossia Cass. 9 luglio 2020, n. 25439) evidenzia la rilevanza dei ruolo del ricevitore appartenente alla rete distributiva del bookmaker (punto 5), consistente nella “raccolta e trasmissione delle scommesse per conto di quest’ultimo, rilasciando le ricevute emesse dal terminale di gioco – con le annesse attività di incasso delle poste e di pagamento delle eventuali vincite -“.

Sicchè, ha concluso la Corte costituzionale, quanto al ricevitore l’attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione va riferita alla raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale. Nè, ha aggiunto, la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione viola il principio di capacità contributiva, nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato. Ciò perchè attraverso la regolazione delle commissioni il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera.

16. La rivalsa svolge quindi funzione applicativa del principio di capacità contributiva, poichè redistribuisce tra i coobbligati, bookmaker e ricevitoria, che hanno comunque realizzato, sia pure in vario modo, il presupposto impositivo, il carico fiscale in relazione alla partecipazione di ognuno a tale realizzazione. Per conseguenza la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 e della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In quel periodo non si può difatti procedere alla traslazione dell’imposta, perchè l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitorie e bookmaker si è già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla L. n. 220 del 2010.

Quella Corte ha anche chiarito (punto 4.5) che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore. Ne consegue anzitutto che per le annualità d’imposta antecedenti al 2011 non rispondono le ricevitorie, ma rispondono i bookmaker, con o senza concessione, in base alla combinazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 e della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. a), usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale.

17. Ferma restando dunque per tutti i periodi d’imposta la responsabilità del bookmaker, in relazione al ricevitore a tale conclusione deve pervenirsi per le annualità a decorrere dal 2011. Invero, va osservato che l’incostituzionalità della norma in esame è stata riscontrata dalla Corte “in ragione dell’impossibilità per le ricevitorie di traslare l’imposta per gli esercizi anteriori al 2011” con conseguente violazione dell’art. 53, Cost., “giacchè l’entità delle commissioni pattuite fra ricevitore e bookmaker si era già cristalizzata sulla base del quadro regolatorio, anche sotto il profilo tributario, precedente alla L. n. 220 del 2010” (Ibid. punto 4.5.). A fondamento, dunque, della pronuncia di incostituzionalità è stata la considerazione della già avvenuta definizione negoziale tra le parti dei reciproci rapporti in data antecedente alla introduzione della soggettività passiva della ricevitoria del book-maker privo di concessione, ed è stato dato rilievo al fatto che le stesse non erano state nelle condizioni di regolare diversamente la misura delle commissioni al fine di procedere all’eventuale trasferimento del carico tributario, gravante anche sulla ricevitoria in forza della legge sopravvenuta, sui bookmaker.

18. La suddetta ragione di incostituzionalità, tuttavia, non è stata ravvisata per i “rapporti successivi al 2011” (Ibid. punto 4.4.), quindi non solo per gli eventuali rapporti negoziali perfezionati dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa, ma anche per i rapporti che, seppure sorti in data antecedente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della medesima norma. In entrambi i casi, invero, la disposizione interpretativa del 2010 costituisce parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi delle parti, sia in caso di rapporti sorti successivamente che per quelli già sorti e destinati a protrarsi, potendo le parti, alla luce e tenendo conto proprio della scelta normativa di assoggettare al tributo anche i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, rimodulare la regolazione negoziale delle commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera la ricevitoria.

In questo ambito, invero, la solidarietà dell’obbligazione e la correlata possibilità di traslazione dell’imposta sono, infatti, destinate ad influire sulla stessa portata della regolazione negoziale delle commissioni tra le parti, che, anche quando i rapporti economici siano rimasti invariati, ossia non siano stati oggetto di modifiche o di nuovi accordi in conseguenza della L. n. 220 del 2010, assume, necessariamente, un valore di conformità e adeguatezza rispetto alla nuova configurazione legale del rapporto.

19. Ciò precisato, va considerato che nel presente giudizio oggetto di rilievo è la sola posizione della società bookmaker. Tale circostanza assume rilevanza in quanto le ragioni di doglianza comunque articolate nel ricorso e che attengono alla posizione della ricevitoria sono da considerarsi inammissibili.

Invero, non può seguirsi la linea difensiva della ricorrente secondo cui l’obbligazione solidale del bookmaker privo di concessione, delineata dalla disposizione interpretativa del 2010, sarebbe da qualificarsi quale dipendente, con la conseguenza che, venendo meno la configurabilità della responsabilità principale della ricevitoria, correlativamente verrebbe meno anche quella dipendente del bookmaker. Si è già evidenziato che la Corte costituzionale, con la menzionata pronuncia, ha chiarito che entrambi i soggetti (la ricevitoria e il bookmaker), partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di organizzazione ed esercizio delle scommesse soggetta a imposizione, sicchè entrambe svolgono l’attività gestoria delle scommesse.

Ed è proprio in tale prospettiva, infatti, che la pronuncia di incostituzionalità della disposizione interpretativa, se da un lato ha inciso sulla parte della stessa in cui ha configurato, per il periodo precedente all’entrata in vigore, la responsabilità della ricevitoria, non ha in alcun modo fatto venire meno la responsabilità del bookmaker privo di concessione. Le considerazioni sopra espresse costituiscono i profili di fondo sulla cui linea deve ritenersi che le ragioni di censura prospettate sono, per la parte ammissibile di ciascuna relativa al bookmaker, infondate.

20. In particolare, è infondato il terzo motivo di ricorso, col quale si assume che la funzione gestoria postuli l’assunzione del rischio d’impresa, l’esercizio della funzione decisionale e organizzatoria in ordine alla fissazione degli eventi oggetto di scommessa, delle quote e dei criteri di accettazione e la titolarità del rapporto giuridico di scommessa con lo scommettitore, in base alle considerazioni che precedono in ordine all’accezione di gestione del ricevitore, come illustrata da Corte Cost. n. 27/18 e confermata dalla giurisprudenza civile e penale di questa Corte.

21. E’ infondato il quarto motivo, col quale si fa leva, in relazione al ricevitore, sulla conclusione del contratto di scommessa, perchè il fatto imponibile è la prestazione di servizi consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta delle scommesse, che consiste, in relazione a ciascun scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna allo scommettitore della relativa ricevuta (così Cass. n. 15731/15, cit.); attività, queste, tutte svolte in Italia.

22. I motivi quinto e nono vanno esaminati insieme in quanto articolati secondo una medesima tecnica di formulazione, e presentano ulteriori profili di inammissibilità oltre che di infondatezza. Sotto il profilo della specificità ed autosufficienza, va infatti reiterato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “E’ inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte.” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17049 del 20/08/2015, Rv. 636133 – 01; conforme Cass. Sez. L, Sentenza n. 14561 del 17/08/2012, Rv. 623618 – 01). E’ palese il difetto di autosufficienza, non essendo nemmeno richiamato in ricorso il tenore dei motivi di appello in discussione, non essendo sufficiente il laconico richiamo all’atto di appello rispettivamente contenuto alle pag.28 e 41 del ricorso al fine di mettere la Corte nelle condizioni di valutare la decisività delle censure.

23. In ogni caso, i motivi sono anche infondati, in quanto con il quinto motivo si torna a sostenere l’irrilevanza dell’attività svolta dalla ricevitoria e con il nono motivo si fa leva sui principi di uguaglianza e di ragionevolezza delle leggi, già esaminati da Corte Cost. n. 27/18. Inoltre, non può trovare fondamento l’ulteriore profilo di censura, pure prospettato nell’ambito del motivo di ricorso, relativo alla irragionevolezza della norma interpretativa nella parte in cui, prevedendo la imponibilità anche delle scommesse a quota fissa offerte con modalità transfrontaliera in assenza di concessione, non ha tenuto conto del fatto che il movimento delle suddette scommesse, proprio in quanto realizzate fuori sistema, non viene rilevato, sicchè la base imponibile viene determinata senza considerare il movimento netto reale, essendo le stesse escluse dalla formazione del movimento netto che determina l’applicazione delle aliquote, con la conseguenza che verrebbero applicate aliquote superiori a quelle che avrebbero dovuto applicarsi per legge. Il profilo di censura è inammissibile per difetto di specificità, posto che parte ricorrente postula solo in astratto la circostanza che l’applicazione della disciplina di determinazione del movimento netto sul quale commisurare l’aliquota dell’imposta unica anche nel caso di scommettitore privo di concessione, avrebbe determinato l’applicazione dell’aliquota massima che diversamente, ove si fossero considerate anche le scommesse fuori sistema, non sarebbe stata applicata. In realtà, rispetto al criterio di commisurazione dell’aliquota secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 4, comma 1, lett. b), n. 3), valevole per tutti i soggetti che svolgono l’attività di raccolta delle scommesse, in alcun modo parte ricorrente deduce o allega in ordine al fatto che l’eventuale considerazione delle scommesse “fuori sistema” avrebbe potuto incidere diversamente sulla determinazione dell’imponibile e sull’applicazione dell’aliquota operata dall’amministrazione doganale secondo le prescrizioni di legge.

24. E’ infondato l’ottavo motivo, là dove si sostiene che sia compatibile col principio di capacità contributiva soltanto un meccanismo d’imposizione che consenta di far gravare sui soli scommettitori l’onere del tributo, giacchè è, invece, il meccanismo di traslazione dell’imposta tra bookmaker e ricevitore a garantire l’osservanza dei principio in questione.

25. Infondato è il decimo motivo di ricorso, col quale si prospetta l’incompatibilità dell’interpretazione retroattiva della norma interpretativa contenuta nella legge di stabilità per il 2011 con i principi dell’equo processo stabiliti dall’art. 6 della CEDU. La compatibilità costituzionale dell’effetto retroattivo della legge in relazione all’art. 6 Cedu s’incentra sul rispetto del principio di affidamento dei consociati nella certezza dell’ordinamento giuridico come specchio della ragionevolezza della legge; sicchè occorre che l’intervento legislativo con effetti retroattivi sia sorretto da motivi imperativi d’interesse generale (tra varie, Corte Cost. 13 luglio 2017, n. 176). Laddove nel caso in esame sussiste il motivo imperativo, proprio delle leggi interpretative, di sciogliere incertezze, giacchè la Corte costituzionale, con la sentenza n. 27/18, ha appunto riconosciuto alla L. n. 220 del 2010 la funzione di risolvere l’incertezza inerente all’interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3.

26. E’ infondato anche il sesto motivo, e non accoglibile la richiesta di rinvio pregiudiziale, alla luce della giurisprudenza unionale che ha già risolto le questioni di parità di trattamento e non discriminazione. Al riguardo, giova premettere che le imposte sui giochi d’azzardo non hanno natura armonizzata, sicchè i giochi d’azzardo rilevano, ai fini del diritto unionale, in relazione alle norme concernenti la libera prestazione di servizi presidiata dall’art. 56 TFUE (Corte giust. 26 febbraio 2020, causa C-788/18, punto 17).

Inoltre, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, secondo costante giurisprudenza unionale, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonchè di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi: ne consegue che, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (Corte giust. 24 ottobre 2013, causa C-440/12, punto 47; 8 settembre 2009, causa C-42/07 punti 56, 57 e 59 e giurisprudenza citata).

27. Il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nella L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 64, i propri obiettivi, tra i quali si colloca “l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore”. La prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale (Corte giust. in causa C-788/18, cit., punto 23; per analogia, Corte giust. 1 dicembre 2011, causa C-253/09, punto 83).

In questo contesto la normativa italiana, come già segnalato, ha superato il vaglio della giurisprudenza unionale. La Corte di giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perchè l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti, di modo che la normativa italiana “non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la Stanleybet Malta, nello Stato membro interessato” (punti 21 e 24 di Corte giust. in causa C-788/18).

28. Anzi, come ha sottolineato la Corte costituzionale con la sentenza n. 27/18 aderendo alla giurisprudenza tributaria consolidatasi sul punto, a seguire la tesi prospettata in ricorso e ribadita in memoria si giungerebbe ad una discriminazione al contrario: la scelta legislativa “risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione” (punto 4.3. sentenza Consulta cit.).

Nè v’è l’incongruenza, segnalata in memoria, tra i punti 17, 26 e 28 della più volte citata sentenza della Corte di Giustizia. Col punto 17, in relazione al bookmaker, ci si limita a stabilire in via generale che la libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro; ma col punto 22 si specifica, in concreto, che, “la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non prevede un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi sia effettuata in Italia o in altri Stati membri”; sicchè, si conclude nel punto 24, “rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la Stanleybet Malta non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale”.

Quanto al centro trasmissione dati, col punto 26 ci si limita a ribadire che il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse “allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali” ed è per questo che il centro di trasmissione dati che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b). Ma ciò non toglie, si aggiunge col punto 28, che la situazione del centro trasmissione dati che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali è diversa da quella del centro trasmissione che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro.

La statuizione non è affatto oscura, come si deduce in memoria, giacchè la diversità della situazione è in re ipsa, per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero: nel settore dei giochi d’azzardo, difatti, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce “un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti” (Corte giust. 19 dicembre 2018, causa C-375/17, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, punto 66), e ciò in conformità agli obiettivi perseguiti dal legislatore italiano, dinanzi indicati, come puntualmente rimarcato dalla Corte di giustizia. Di qui l’esclusione, anche con riguardo alla posizione del centro trasmissione dati, di qualsiasi restrizione discriminatoria.

29. Con riferimento, infine, alla questione della violazione del principio dell’affidamento, la stessa è stata prospettata in relazione alla portata innovativa della disposizione interpretativa della legge del 2010 che avrebbe introdotto, improvvisamente e imprevedibilmente la responsabilità delle ricevitorie dei bookmaker privi di concessione. Il profilo di censura è inammissibile, posto che la ricorrente prospetta ragioni di lesione del principio del legittimo affidamento che non attengono al bookmaker. La Corte costituzionale in ogni caso, con la sentenza citata, si è già espressa con la pronuncia di incostituzionalità con riferimento alla posizione del bookmaker estero, senza porre in discussione il fatto che esso, privo di concessione, dovesse essere considerato soggetto passivo dell’imposta unica anche prima della entrata in vigore della disposizione interpretativa, sicchè non può porsi alcuna violazione del principio del legittimo affidamento.

30. Non sussistono, per tali ragioni, i presupposti per un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, neppure ponendosi una questione di interpretazione della precedente statuizione della Corte: le questioni sollecitate in memoria, per un verso, si risolvono in una critica della sentenza resa nella causa C-788/18, che si rivela sterile per le ragioni esplicate, e, per altro verso, sembrano postulare che la Corte di giustizia abbia riconosciuto nella propria giurisprudenza precedente la legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei centri di trasmissione dati, mentre la stessa Corte, “pur avendo constatato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di alcune disposizioni delle gare avviate per l’attribuzione di contratti di concessione di servizi connessi ai giochi d’azzardo, non si è pronunciata sulla legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei CTD in quanto tale” (Corte giust., in causa C-375/17, cit., punto 67).

In questo quadro, la giurisprudenza penale di questa Corte citata in memoria è irrilevante (si allega alla memoria Cass. pen. 9 luglio 2020, n. 25439). Essa si riferisce difatti alla diversa questione della rilevanza penale dell’attività d’intermediazione e di raccolta delle scommesse, che questa Corte ha escluso, in base alla giurisprudenza unionale, qualora l’attività di raccolta sia compiuta in Italia da soggetti appartenenti alla rete commerciale di un bookmaker operante nell’ambito dell’Unione Europea che sia stato illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni: e ciò perchè in tal caso rileva la non conformità agli artt. 49 e 56 TFUE del regime conces-sorio interno. Difatti, ha sottolineato questa Corte con la sentenza in questione, “In forza dei principi affermati dalla Corte di giustizia (…) il mancato rispetto della disciplina amministrativa che non sia conforme al diritto dell’Unione Europea non può comportare l’applicazione di sanzioni penali”. Il fatto che non si risponda del reato di esercizio abusivo di attività di gioco o discommessa, previsto e punito dalla L. 13 dicembre 1989, n. 40, art. 4, commi 1 e 4-bis, nessuna influenza produce sulla soggettività passiva della imposta unica sulle scommesse, che il D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 del riferisce a chiunque, con o senza concessione, gestisce i concorsi pronostici o le scommesse.

31. Fondato è, invece, il settimo motivo di ricorso, col quale si denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2, in relazione al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 5, comma 1, non essendovi ragioni per non applicare l’esimente date le obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono, considerato che nella fattispecie il periodo di imposta oggetto di ripresa è il 2009, antecedente alla disposizione interpretativa del 2010, e che la stessa Corte costituzionale nella sua sentenza n. 27/18 ha dato conto che la sussistenza di tale incertezza è stata espressamente riconosciuta dall’Agenzia Autonoma dei Monopoli di Stato.

32. In conclusione, viene accolto il settimo motivo, inammissibili e infondati i restanti, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ex art. 384 c.p.c., comma 2, decidendo la controversia nel merito la Corte accoglie il ricorso introduttivo limitatamente alle sanzioni, che dichiara non dovute.

L’intervento risolutore delle questioni, in epoca successiva alla proposizione del ricorso, ad opera della Corte costituzionale e della Corte di Giustizia, giustifica la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il settimo motivo di ricorso, rigettati i restanti, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del giudizio limitatamente alle sanzioni, che dichiara non dovute.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2021

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