Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9147 del 06/05/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 9147 Anno 2015
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: BIANCHINI BRUNO

corrispettivo-

SENTENZA
Sul ricorso iscritto) al n. r.g. 24635/2009 proposto da:

Vanda CARIOLA ( c.f.: CRI, VND 31S57 D207H)
rappresentata e difesa dall’avv. Lucio Nicolais giusta procura in calce al ricorso; con
domicilio eletto presso lo studio di costui in Roma, piazza Mazzini n.27

– Ricorrente –

Contro
Fabio CAPITINI, titolare dell’impresa “Casa Prestige” ( pi.: 07755340010)
rappresentato e difeso dagli avv.ti Giacinto Favalli, Paolo Zucchini e Andrea
Castelnuovo, come da procura a margine del controricorso; con domicilio eletto presso
lo studio dell’avv. Favalli in Roma piazza Mazzini 27, giusta comunicazione in atti

Controricorrente ** *

contro la sentenza n.1129/08 della Corte di Appello di Torino, pubblicata il 6
agosto 2008 e non notificata
.0(40c-c-Le-itA-C4

– 1 –

Data pubblicazione: 06/05/2015

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 18 febbraio 2015 dal
Consigliere Dott. Bruno Bianchini;

Udito l’avv. Lorenzo Giva, munito di delega degli avv.ti Giacinto Favalli e Paolo
Zucchinali , per il controricorrente che ha concluso per il rigetto del ricorso ;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Alberto Celeste, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso o, in subordine, per il
suo rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 —

Fabio Capirmi, titolare dell’agenzia di mediazione mobiliare “Casa Prestige”,

premesso: di aver ricevuto da Vanda Cariola l’incarico , sino al 30 giugno 2003, di porre
in vendita il suo appartamento in Torino, al prezzo “netto per sé” di euro 152.954,80;
che il 27 marzo 2003 le aveva procurato l’offerta di tale Rosario Avignone per euro
147.190,00 -non accettata- e quindi ulteriore offerta di Gennaro Cervicato – dapprima,
in data 1° aprile 2003, per il prezzo di curo 159.000, dilazionata al 30 settembre 2003 su
richiesta della cliente, che non era disposta al rilascio del proprio alloggio in tempi
ristretti, e quindi di euro 164.750,00 in data 17 aprile 2003- ; che la Cariola non aveva
aderito a nessuna delle indicate offerte, sostenne l’inadempimento della predetta e
chiese che venisse accertata l’illegittimità del rifiuto di costei a stipulare e la medesima
fosse condannata, giusta previsione contrattuale, al pagamento di una penale di euro
10.329,10 oltre IVA o, in subordine, la risoluzione del contratto con risarcimento del
danno dello stesso importo o di uno minore; in ulteriore subordine chiese di esser
ristorato delle spese vive sostenute. La convenuta giustificò il proprio rifiuto con
l’addurre che sin dall’inizio del rapporto con l’agente immobiliare aveva fatto presente
che non poteva rilasciare il proprio alloggio se prima il Capitini non avesse reperito
analogo immobile ove trasferire la propria residenza.

2 — L’adito Tribunale di Torino accolse la domanda dell’attore, qualificando il rapporto
come mediazione atipica e ritenendo legittimamente pattuita una clausola che
•”*”.

condizionasse il pagamento della provvigione non solo alla conclusione dell’affare ma
anche all’ingiustificato rifiuto di concluderlo alle condizioni preventivamente stabilite.

3 — Tale decisione fu impugnata dalla Cariola che ribadì la sussistenza di un accordo
verbale condizionante la conclusione della vendita del proprio alloggio e il conseguente

condizione; ritenne eccessivo l’ammontare della penale nella misura pari al compenso di
mediazione e comunque censurò la relativa pattuizione per violazione della legislazione
consumieristica e per la sua complessiva vessatorietà.

4 – Nella resistenza del Capitini la Corte torinese rigettò il gravame, rilevando innanzi
tutto che dal modulo predisposto dal mediatore — che pure riportava altre aggiunte
manoscritte, debitamente sottoscritte — non era risultata inserita alcuna pattuizione con
la quale si fosse conferito l’incarico per il reperimento di un alloggio sostitutivo del
proprio, posto in vendita; aggiunse che, a sostegno dell’assunto dell’appellante, non
sarebbe stata idonea nè la prova testimoniale, inammissibile perché avente ad oggetto
patti contemporanei ma aggiunti allo schema negoziale principale e comunque
inconducente; né le risposte all’interpello , mancando la sostanza confessoria a quanto
detto dal Capitini, che si era limitato a riferire la necessità, comunicatagli dalla Cariola, di
trovare un altro alloggio in acquisto o in affitto. Giudicò poi la Corte torinese che la
clausola con la quale si era disposto che fosse comunque dovuto un importo pari al
compenso pattuito , tra l’altro, nel caso di rinuncia a vendere alle condizioni pattuite,
non costituisse una penale in senso proprio quanto piuttosto una pattuizione — legittima
in caso di mediazione atipica e legittimamente derogativa della previsione di cui all’art.
1755 cod. civ., dettato per la mediazione in cui l’agente si pone in posizione di terzietà
rispetto alle due parti messe in contatto- con il quale il conferente si sarebbe riservato la
facoltà di rinunciare alla stipula propostagli , pur nella concorrenza delle condizioni
pattuite, riconoscendo in questo caso al mediatore il diritto alla provvigione.
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legittimo diniego di accedere all’offerta di vendita del terzo, non essendosi realizzata tale

5 — Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso la Cariola, facendo valere due
motivi di annullamento, illustrati da successiva memoria; ha risposto il Capitini con
controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

contraddittoria ed illogica valutazione delle risultanze probatorie nella identificazione
dell’oggetto del contratto, nonché la violazione dell’art. 2722 cod. civ. nella ritenuta
inammissibilità di prove testimoniali.

I.a – Sostiene la ricorrente che da una più attenta considerazione delle prove orali — per
testi e per interrogatorio formale- sarebbe emerso che più volte avrebbe fatto presente
di non poter abbandonare il proprio alloggio — e quindi di non poter accettare offerte di
acquisto che nel frattempo fossero pervenute per il tramite del mediatore- se prima
l’attuale contro ricorrente non le avesse procurato l’acquisto di altro appartamento.

I.a — Il motivo presenta profili di inammissibilità: – a — perché , in violazione del
principio di specificità, inveratosi nel canone di autosufficienza del ricorso- non riporta
il testo del contratto originario, sul quale parametrare la portata derogatoria-integrativa
della pretesa nuova pattuizione; b — perché la critica dell’interpretazione della volontà
negoziale, come operata dal giudice del merito — nei cui compiti esclusivi rientra- deve
esser condotta con riferimento ai canoni di ermeneutica portati dagli artt. 1362 e segg.
cpc; c — perché il vizio di motivazione illustrato dall’art. 360, I comma n.5, all’epoca
vigente, non è stato illustrato in modo idoneo a far emergere la pretesa contraddittorietà
del ragionamento giudiziale -che si rinviene solo allorchè il decidente , date alcune
premesse logiche, non sia stato ad esse conseguente nelle sue conclusioni- , in disparte
la valutazione di “illogicità” che, nello svolgimento del motivo, appare essere concetto
utilizzato per far emergere la mera non condivisione degli approdi argomentativi della
Corte del merito.

I — Con il primo motivo , a sua volta articolato in più censure, viene denunciata la

I.b — Il profilo di censura in esame non è comunque fondato perché parte ricorrente
non contesta che non vi fosse traccia scritta, nel modulo originariamente accettato, della
pretesa pattuizione con la quale avrebbe dato incarico al mediatore—mandatario di
procurargli altro alloggio come condizione per l’accettazione della, eventualmente

aliunde dalle prove testimoniali e dell’interpello che hanno formato oggetto di adeguata
analisi nel corso del giudizio di merito.
I.c — Costituisce poi prospettiva difensiva nuova ( e logicamente confliggente con
quella in precedenza espressa) quella secondo la quale la divisata necessità della
ricorrente di reperire altro alloggio, avrebbe costituito oggetto di presupposizione , non
senza omettere di considerare che tale figura giuridica ricorre allorchè un fatto esterno,
non dipendente dalla volontà delle parti, sia stato tenuto presente ed abbia costituito
condizione inespressa per la stipula, così che il suo mancato avveramento per cause
esterne incida a mo’ di condizione inespressa sulla efficacia del contratto: nella
fattispecie il “fatto esterno” avrebbe invece formato — secondo l’allegazione difensiva
della Cariola- oggetto di un’obbligazione contrattuale, così da esulare dai presupposti
operativi del richiamato istituto.

I.d- La mancata integrazione del contratto di mediazione (atipico) con la condizione di
previo acquisto di altro alloggio rende pertanto infondata la dedotta legittimità del
rifiuto della Cariola ad accedere all’ultima ed unica proposta satisfattiva delle proprie
originarie richieste (quelle che prevedevano un prezzo netto di vendita “per sé” di euro
152.954,80, dunque già detratta la commissione di euro 10.329,10) per euro 164.750,00
del Cervicato, a nulla dunque rilevando che il terzo avesse posto termini per la stipula
troppo ristretti per le già sopra riportate esigenze abitative della Cariola.

Le — Inconferente poi — sia in relazione alle censure fatte valere nel mezzo sia per la
incongruenza logica complessiva- si appalesa l’allegazione che la richiesta di
posticipazione formulata dalla Cariola alla richiesta ultimativa del Cervicato avrebbe

– 5 –

sopraggiunta, proposta di acquisto da parte di terzi, ma tenta di trarne la dimostrazione

costituito esercizio di facoltà prevista dal contratto ( di stipula del preliminare anche
dopo la scadenza dell’incarico di mediazione e sino a trenta giorni da tale data e di
sottoscrizione del rogito entro 90 giorni ) per l’evidente ragione che fu la Cariola a
rinunciare alla vendita, visto l’irrigidimento del terzo a non prorogare i termini di

definitivo).

I.f – Censura poi la ricorrente la ritenuta inammissibilità delle prove per testi circa il
preteso “patto aggiunto” assumendo: a — che l’eccezione sarebbe stata sollevata solo in
sede di comparsa conclusionale in appello; b — che secondo una certa interpretazione
della testimonianza di Pietro Ribezzo — nipote della Cariola- l’accordo sarebbe stato
addirittura successivo alla stipula del mandato, così sfuggendo al divieto di cui all’art.
2722 cod. civ.

I.f.1 — Il primo rilievo è inammissibile in quanto avrebbe dovuto esser riportato il
capitolato di prova, sul quale rapportare le risposte dei testi e, soprattutto si sarebbe
dovuto riprodurre, in omaggio al principio della autosufficienza, il contenuto della
difesa conclusionale: tale modus procedei/di , oltre ad essere imposto dalla struttura del
ricorso , risulta necessitato dal diverso svolgersi della vicenda processuale sul punto,
esposta a foll 20-21 del controricorso, in cui viene riportata verbatim l’ordinanza del
Tribunale di Torino di non ammissione di alcuni capitoli di prova proprio in ragione
della ritenuta violazione dell’art. 2722 cod. civ.; il secondo rilievo è del pari
inammissibile perché trae spunto dall’interpretazione di una prova testimoniale di per sé
non ammissibile e contrasta con la tesi della contestualità formulata durante il corso del
giudizio di mento.

— Con il secondo motivo si denuncia la violazione delle norme di ermeneutica
contrattuale laddove la Corte territoriale ritenne che la stipulata “penale” fosse da
interpretarsi come facoltà per la ricorrente di rinunciare alla conclusione del contratto ,

accettazione della proposta ( che logicamente precedeva il preliminare e il rogito

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così rendendo atipica la mediazione con il prescindere dalla conclusione dell’affare per il
pagamento della provvigione.

II.a — Il profilo di censura appena esposto è inammissibile perché, non riportandosi il
contenuto del mandato mediatori°, viene meno la possibilità del pur sollecitato

seguita dalla Corte torinese per pervenire a conclusioni divergenti rispetto a quelle
patrocinate dalla ricorrente ( cfr foll 7-8 della gravata decisione) non è stata esaminata
né sottoposta a critica specifica.

II.b — Con ulteriore articolazione dello stesso mezzo parte ricorrente sostiene la natura
vessatoria della clausola, non approvata per iscritto: la prospettazione è superata dalla
ritenuta corretta interpretazione della clausola in termini di provvigione (dovuta al di
fuori dell’ipotesi di conclusione dell’affare) e non di penale.
II.c — Con prosecuzione logica del profilo di censura appena esaminato, la ricorrente
assume che avrebbe dovuto riconoscersi natura assimilabile alla penale alla clausola in
questione -in quanto avrebbe collegato la riscossione di somma pari alla provvigione ad
un preteso inadempimento della conferente l’incarico — così che avrebbe dovuto esser
considerata nulla a’ sensi degli artt. 1469 b’s e segg. cod. civ.-: il motivo è inammissibile
perché la Corte del merito ( vedi fol 9 della impugnata sentenza) sancì che la
vessatorietà della clausola costituiva oggetto di rilievo nuovo in appello e tale assunto
non è stato sottoposto a critica.

II.d — Nuova — e quindi inammissibile in questa sede- infine appare la deduzione
difensiva che dalla valutazione complessiva della condotta tenuta dal mediatore, ritiene
contraria alla buona fede oggettiva la richiesta della provvigione nel momento in cui il
rifiuto alla stipula sarebbe derivato dalla condotta intransigente (pur se legittima) del
terzo: va comunque messo in rilievo che le considerazioni sin qui svolte in merito
all’oggetto ed all’interpretazione del contratto di mediazione facevano emergere un
elemento di alea accettato dalla Cariola ( atteso che costei fidava sulla possibilità di
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..4<-e-4 - 7 - controllo esegetico complessivo delle varie clausole ; in ogni caso la linea argomentativa riuscire a trovare un alloggio ove trasferirsi prima che arrivasse una proposta del terzo che avrebbe dovuto accettare nei termini previsti, salva poi una dilazione nella stipula del preliminare e del contratto definitivo) che la mandante non poteva riversare sul mediatore laddove si fossero realizzate le condizioni che, secondo contratto, la rifiutare detto adempimento, pagando ugualmente la provvigione; per le stesse ragioni è inconferente il richiamo all'esecuzione del contratto secondo buona fede al fine di pervenire ad un addebito di inadempimento da parte del mediatore, stante l'accertato adempimento , da parte del Capitini, dell'incarico affidatogli. III. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate secondo quanto illustrato in dispositivo. P.Q.M. La Corte Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in euro 2.700,00 di cui 200,00 per esborsi. Così deciso in Roma il 18 febbraio 2015 , nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile della Corte di Cassazione. ponevano nell'alternativa tra lo stipulare alle condizioni dalla stessa accettate ed il

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