Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9144 del 07/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 07/04/2017, (ud. 07/03/2017, dep.07/04/2017),  n. 9144

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13745-2015 proposto da:

T.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

SAVERIO GIANGRANDI, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante in proprio e quale

procuratore speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI

I.N.P.S. (S.C.C.I.) S.p.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso unitamente e

disgiuntamente dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, GIUSEPPE MATANO,

ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO ed EMANUELE DE ROSE, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA CENTRO S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 823/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 25/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/03/2017 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza del 25.11.2014, la Corte di appello di Firenze, su gravame dell’INPS, in riforma della sentenza di primo grado, respingeva le opposizioni proposte da T.M. avverso le cartelle esattoriali emesse per la riscossione di contributi previdenziali della Gestione Commercianti e relativi accessori, ritenendo che – pacifica l’assoggettabilità a doppia iscrizione in ipotesi di svolgimento di attività lavorativa commerciale e di attività facente capo alla gestione separata di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, – le attività espletate dall’appellato (in particolare la stipula e la verifica dell’esecuzione dei contratti pubblicitari) attenessero alla concreta attività imprenditoriale della Torelli srl, della quale il predetto era anche amministratore, e che ciò determinava la sussistenza delle condizioni per l’iscrizione anche alla Gestione suindicata;

che di tale decisione il T. chiede la cassazione, affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui ha opposto difese l’INPS, anche quale mandataria della SCCI, con controricorso, laddove Equitalia Centro spa è rimasta intimata;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

1. che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata;

2.1. che, con il primo motivo, viene dedotta violazione o falsa applicazione degli artt. 1362-1365 c.c. sull’interpretazione degli atti, dell’art. 2697 c.c., sull’onere della prova come regola di giudizio, rilevandosi che, pur sulla premessa che incomba all’INPS l’onere della prova della sussistenza delle condizioni di cui alla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203 erroneamente è stata ritenuta non contestata e pacificamente acquisita la circostanza, risultante dagli scritti difensivi depositati nel giudizio di primo grado dallo stesso T., relativa all’espletamento da parte di quest’ultimo in seno alla Torelli srl di attività attinenti alla concreta attività imprenditoriale (in particolare stipula e verifica dell’esecuzione dei contratti pubblicitari), laddove, dalla lettura delle attività menzionate in ricorso, non risultava alcuna ammissione di attività diverse da quelle riferite al ruolo gestionale dal predetto rivestito, essendo stato, invece, sottolineato come tutte le attività inerenti al ciclo produttivo fossero svolte da dipendenti e collaboratori;

2.2. che, con il secondo motivo, si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 228 e 229 c.p.c., per l’erronea attribuzione del valore di piena prova alle deduzioni contenute negli atti redatti e sottoscritti dal procuratore, con attribuzione agli stessi di efficacia confessoria;

2.3. che, con il terzo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2729 c.c., nonchè degli artt. 420 e 437 c.p.c., in relazione alla mancanza di ogni prova da parte dell’INPS oneratane;

2.4. che, con il quarto, viene dedotta, poi, carenza assoluta di motivazione con riferimento al periodo contributivo dell’anno 2004, essendo in tale periodo l’attività svolta dal T. riferita alla società Etruria Comunicazioni srl, donde l’irrilevanza delle asserite ammissioni effettuate con riguardo all’attività svolta nella T. srl;

3. che ritiene il Collegio si debba rigettare il ricorso, qualificabile come manifestamente infondato;

3.1. che i motivi possono essere trattati congiuntamente per la connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto, attenendo le censure nella sostanza, tutte, alla violazione delle regole sull’onere probatorio ed alla attribuibilità di valore confessorio alle dichiarazioni asseritamente sfavorevoli al T. contenute negli atti introduttivi;

3.2. che, preliminarmente, deve osservarsi che, pure essendo stato ritenuto (Cass. Sez. Un. 8 agosto 2011, n. 17076) che: “In caso di esercizio di attività in forma d’impresa ad opera di commercianti o artigiani ovvero di coltivatori diretti contemporaneamente all’esercizio di attività autonoma per la quale è obbligatoriamente prevista l’iscrizione alla gestione previdenziale separata di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, non opera l’unificazione della contribuzione sulla base del parametro dell’attività prevalente, quale prevista alla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 208” alla stregua della norma interpretativa di cui al D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 12, comma 11, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, art. 1, comma 1, (ritenuta conforme a Costituzione dalla sentenza n. 15 del 2012 della Corte costituzionale), tuttavia il presupposto per la iscrizione alla gestione commercianti è che si eserciti effettivamente l’attività commerciale e che quindi vi siano le condizioni cui la legge subordina il relativo obbligo;

che, invero, la disciplina previgente è stata modificata dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 203 che così ha sostituito la L. 3 giugno 1975, n. 160, art. 29, comma 1, secondo i cui dettami la iscrizione alla gestione commercianti è obbligatoria ove si realizzino congiuntamente le fattispecie previste dalla legge e cioè: la titolarità o gestione di imprese organizzate e dirette in prevalenza con il lavoro proprio e dei propri familiari; la piena responsabilità ed i rischi di gestione (unica eccezione proprio per i soci di s.r.l.); la partecipazione al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; il possesso, ove richiesto da norme e regolamenti per l’esercizio dell’attività propria, di licenze e qualifiche professionali;

che, pertanto, distinto ed autonomo resta l’obbligo assicurativo nella rispettiva gestione assicurativa, dovendo ognuna delle due distinte attività essere valutata, ai fini della sussistenza dell’obbligo contributivo, secondo gli ordinari criteri, essendo il requisito della prevalenza valido nel solo ambito delle attività autonome inquadrabili nei settori produttivi del commercio, dell’artigianato e dell’agricoltura al fine di evitare più di una contribuzione nel caso di un soggetto esercente contemporaneamente, anche in un’unica impresa, attività plurime, ma pur sempre tutte “assicurabili” nelle gestioni previste per le attività in parola;

3.3. che nella specie il decisum della Corte territoriale, incentrato sullo svolgimento da parte del T. della doppia attività, con partecipazione diretta all’attività dell’azienda, non risulta validamente infirmato dalla parte ricorrente in relazione alla rilevata violazione della regola del riparto dell’onere probatorio, posto che in primo luogo occorre avere riguardo al principio di acquisizione, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice, senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell’altro” (cfr. Cass. 19.1.2010 n. 739, Cass. 25.9.2013 n. 21909);

che, poi, l’accertamento è stato operato dalla Corte d’appello non qualificando come confessione stragiudiziale l’ammissione di determinate circostanze contenute negli scritti difensivi depositati dal T. in primo grado e rese “contra se”, come dedotto in questa sede, quanto piuttosto sulla base di una valutazione critica di fatti e circostanze dagli stessi atti rilevabili, variamente articolati e complessivamente fatti oggetto di una disamina complessiva da parte del giudice di secondo grado, non sindacabile nella presente sede se non per vizi e incongruenze della stessa, che non risultano essere stati idoneamente evidenziati;

che, in ogni caso, secondo la giurisprudenza di questa Corte, sia pure con riferimento all’atto di citazione, essendo quest’ultima atto di parte, le circostanze in essa riportate sono necessariamente addotte con animus confitendi e costituiscono quindi confessione stragiudiziale nei confronti di colui al quale l’atto è notificato, e tale indirizzo è stato esplicitato nel senso della sua piena applicazione anche alle ammissioni contenute in un ricorso per decreto ingiuntivo, che sebbene rivolto al giudice è pur sempre destinato e notificato alla parte debitrice, al pari di quanto avviene nel caso di domanda introdotta con le forme del giudizio ordinario di cognizione, con la precisazione che la confessione stragiudiziale resa alla parte, essendo dotata della medesima efficacia di quella giudiziale (art. 2735 c.c.), fa piena prova sui fatti cui si riferisce (cfr. Cass. 5.2.2013 n. 2721);

che, con riguardo specificamente ai rilievi di cui al terzo motivo, va disattesa ogni censura relativa all’indebita utilizzazione di prove non dedotte dalle parti e comunque al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge, essendo stati correttamente recepiti, con adeguato apprezzamento critico, elementi di prova soggetti a valutazione, nei sensi precisati;

che, nella specie, il decisum della Corte territoriale ha ritenuto le circostanze dedotte negli scritti difensivi del giudizio significative dell’esercizio di diretta attività commerciale nell’azienda da parte del T. in relazione alla tipologia delle incombenze assolte dal predetto con abitualità e prevalenza;

4. che, pertanto, in difformità alla proposta del relatore, il ricorso va rigettato con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5;

5. che, quanto alle spese del giudizio, le stesse seguono la soccombenza del ricorrente e si determinano nella misura di cui al dispositivo, nei riguardi del solo istituto e non anche della parte rimasta intimata;

che sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il T. al pagamento, nei confronti della parte costituita, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 2700,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese generali in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R..

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2017

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