Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9140 del 02/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 02/04/2021, (ud. 22/10/2020, dep. 02/04/2021), n.9140

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 16324/2014 proposto da:

Fab Mode s.r.l. rappresentata e difesa dall’avv. Eugenio G. Tramonti

elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma via Antonio

Mordini n. 14;

– ricorrente –

contro

Agenzia della Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

generale dello Stato domiciliata in Roma via dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

Avverso la decisione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio

528/04/2013 depositata il 18/12/2013.

Udita la relazione del Consigliere Dott. Catello Pandolfi nella

camera di consiglio del 22/10/2020.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La società ha proposto ricorso per la cassazione della CTR Lazio n. 528/04/2013 depositata il 18.12.2013.

La vicenda trae origine dalla notifica dell’avviso di accertamento (OMISSIS) in data (OMISSIS), a seguito di controllo sul modello Unico 2004, anno d’imposta 2003, con cui l’Ufficio applicava la sanzione a carico della società a seguito dei rilievi sulle bollette doganali e fatture d’acquisto, riguardanti i rapporti commerciali con la ditta “Woodland Fashion ltd” di (OMISSIS), paese a fiscalità privilegiata, in relazione al T.U. n. 917 del 1985, art. 110, comma 11. L’irregolarità rilevata dai verificatori consisteva nella contabilizzazione di costi, relativi alle operazioni concluse con la suddetta società, senza aver provveduto alla separata indicazione, nella dichiarazione, dell’ammontare degli stessi.

La società ricorreva alla CTP di Roma che respingeva il ricorso con la sentenza n. 20/27/2007.

La decisione non veniva appellata.

La società, in luogo dell’appello della citata decisione della CTP, inoltrava all’Amministrazione istanza di annullamento in autotutela della sanzione, applicata con l’avviso di accertamento, ai sensi della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 302 e 303.

L’annullamento in autotutela veniva negato.

Il diniego veniva, quindi, opposto innanzi alla CTP di Roma che rigettava il ricorso. Il contribuente appellava tale pronuncia alla CTR che la confermava, con la sentenza n. 4314/12, qui impugnata, deducendo, la ricorrente, tre motivi.

Non ha resistito l’Ufficio con controricorso, costituendosi al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, artt. 301, 302 e 303, modificativa del D.P.R. n. 471 del 1997, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e all’art. 2909 c.c..

Ritiene la società che la misura della sanzione è disciplinata da una norma, la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 302, che aveva modificato il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, sopravvenuta rispetto alla data di notifica dell’avviso di accertamento e che la normativa relativa alla determinazione della sanzione è autonoma rispetto alla disciplina delle modalità di indicazione dei costi nella dichiarazione. Pertanto, sostiene che il giudicato formatosi sulla sentenza della CTP di Roma n. 20/27/2007, non poteva riguardare la domanda relativa alla determinazione della sanzione, in base a norme sopravvenute, esplicitamente applicabili anche a violazioni precedenti all’entrata in vigore della novella.

Sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente deduce, come secondo motivo, che il limite del 31.12.2006, posto dalla modifica per l’applicazione della norma sanzionatoria sopravvenuta, più favorevole, va inteso nel senso che l’innovazione doveva ritenersi applicabile alle violazioni fino quando il loro accertamento non fosse divenuto definitivo, a prescindere dalle causali che ne avevano determinato la definitività, anche se per effetto del passaggio in giudicato di una pronuncia che aveva riguardato quelle violazioni.

Con il terzo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamenta omessa o insufficiente motivazione sui requisiti, che la società riteneva di aver provato, necessari per beneficiare della norma più favorevole.

Il primo e il secondo motivo possono essere trattati congiuntamente per le connessioni logiche che li caratterizzano.

La tesi della ricorrente non può trovare consenso.

Infatti, l’abolizione del regime di indeducibilità dei costi relativi ad operazioni commerciali intercorse con soggetti domiciliati in paesi a fiscalità privilegiata prevista dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 301, 302 e 303, ha bensì carattere retroattivo. La modifica va quindi correlata al D.Lgs. n. 472 del 1997, art., comma 3, che ha esteso il principio del favor rei anche al settore fiscale, sancendo, appunto, l’applicazione retroattiva delle norme sanzionatorie più favorevoli sopravvenute, applicabili in ogni stato e grado del giudizio e quindi anche in sede di legittimità. (In tal senso Cass. n. 5264 del 2019; Cass. n. 6205 del 2015)). Deve però, necessariamente sussistere, sussistere un’unica condizione: quella che il provvedimento sanzionatorio non sia divenuto definitivo.

Pertanto, solo se è in contestazione l’an della violazione tributaria, sussiste ancora controversia sulla debenza delle sanzioni e s’impone l’applicazione del più favorevole regime sanzionatorio sopravvenuto (Cass. n. 16670 del 2016; Cass. n. 8243 del 2008).

Nel caso in esame, la CTP di Roma, nel corso del giudizio conclusosi con la sentenza n. 20/27/2007, avrebbe dovuto, anche d’ufficio, valutare l’applicabilità della norma sanzionatoria più favorevole (Cass. n. 15705 del 2009). Ovvero avrebbe dovuto essere la ricorrente, appellando quella pronuncia, a chiedere al giudice regionale l’applicazione della norma sanzionatoria più favorevole sopravvenuta. Tale gravame la ricorrente non ha proposto, derivandone la definitività del giudizio, con il passaggio in giudicato della citata pronuncia di primo grado, riguardante il credito erariale complessivo, formato cioè dall’importo sia del tributo che delle sanzioni, oggetto della cartella di pagamento opposta dalla società.

Il terzo motivo è assorbito, venuto meno l’interesse ad esaminarlo.

Il ricorso va, pertanto, rigettato. Nulla vi è da liquidare sulle spese non avendo l’Agenzia delle Entrate svolto attività defensionale. Ricorrono le condizioni per l’applicazione del c.d. doppio contributo.

PQM

Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello per il ricorso introduttivo, a norma dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2021

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