Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 914 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/01/2020, (ud. 10/07/2019, dep. 17/01/2020), n.914

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

M.M., rappresentato e difeso, giusta procura speciale

stesa su atto separato allegato al ricorso, dagli Avv.ti Cesare

Persichelli e Salvatore Capomacchia, i quali hanno indicato recapito

PEC, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo dei

procuratori designati, alla via Crescenzio n. 20 in Roma;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 133, pronunciata dalla Commissione Tributaria

Regionale di Trieste il 13.01.2014 e pubblicata il 10.03.2014;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Paolo Di Marzio.

LA CORTE OSSERVA:

Fatto

FATTI DI CAUSA

l’odierno ricorrente M.M. svolge l’attività di odontoiatra. Avendo regolarmente corrisposto l’Irap, per gli anni dal 1998 al 2008, e ritenendo di non esservi tenuto perchè professionista privo di autonoma organizzazione, ha domandato il rimborso di complessivi Euro 28.064,26, oltre accessori. Ha presentato perciò tre separate istanze di rimborso, negli anni dal 2002 al 2009. Formatosi il silenzio rifiuto dell’Amministrazione finanziaria ha proposto ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Udine. Il contribuente ha riferito di aver svolto la propria attività senza disporre di un studio proprio e recandosi ad operare presso studi dentistici di colleghi. Neppure disponeva di beni strumentali eccedenti il minimo necessario per l’esercizio della professione (autovettura, telefono cellulare, computer, macchina fotografica, proiettore). Specificava, inoltre, di non aver svolto alcun ruolo di direzione negli studi professionali presso cui esercitava il suo lavoro, e di non aver avuto clienti privati. L’Agenzia delle Entrate ha replicato che rilevanti beni strumentali erano assicurati, per lo svolgimento dell’attività professionale del contribuente, proprio dagli studi presso cui operava, di cui utilizzava pure i servizi, avvalendosi della loro organizzazione; neppure poteva trascurarsi l’ammontare non modesto dei redditi conseguiti dall’odierno ricorrente.

La CTP disponeva la riunione dei ricorsi e quindi li rigettava, argomentando che il M. non aveva provato la mancata utilizzazione di una autonoma organizzazione, e la stessa doveva ritenersi sussistente stanti le modalità associate di svolgimento del suo lavoro.

Il contribuente impugnava la decisione adottata dalla CTP innanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Trieste, riproponendo i propri argomenti. L’Agenzia delle Entrate si costituiva e domandava il rigetto del ricorso. La CTR confermava la decisione di primo grado, ritenendo dovessero considerarsi “inattendibili e comunque non supportate da prove convincenti le argomentazioni addotte dall’appellante in merito all’assenza di un’autonoma organizzazione nello svolgimento della sua attività professionale di odontoiatra” (sent. CTR, p. 3).

Avverso la decisione adottata dalla Commissione Tributaria Regionale del Trentino ha proposto ricorso per cassazione M.M., affidandosi ad un unico, articolato, motivo di ricorso. Resiste con controricorso l’Amministrazione finanziaria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il suo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il contribuente contesta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, in cui è incorsa la CTR per aver erroneamente ritenuto sussistente l’imprescindibile presupposto dell’applicazione dell’Irap, consistente nel requisito dell’autonoma organizzazione dell’attività del professionista.

2.1. – Il ricorrente contesta la valutazione espressa dalla Commissione Tribunale Regionale, secondo cui egli disponeva di una autonoma organizzazione dell’attività lavorativa di odontoiatra, perchè in realtà operava senza disporre di “alcuna struttura organizzata complessa, senza l’apporto di capitali investiti e di lavoro di terzi” (ric., p. 13). Risulta incontestato che il contribuente non dispone di uno studio professionale proprio, ed utilizza quelli messi a disposizione da altri professionisti. Inoltre, non ha mai fatturato prestazioni a privati, ma solo agli odontoiatri che si avvalgono della sua opera. Secondo il ricorrente, non sussiste alcuna “attività autonomamente organizzata” riconducibile a lui, che non ha svolto alcuna funzione di responsabilità presso gli studi ove ha operato, requisito pur specificamente richiesto dalla Suprema Corte.

Nella complessa materia dell’applicazione dell’Irap ai liberi professionisti, questa Corte afferma tradizionalmente che “in tema di IRAP, anche alla stregua dell’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001, l’esistenza di un’autonoma organizzazione, che costituisce il presupposto per l’assoggettamento ad imposizione dei soggetti esercenti arti o professioni indicati dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 1, esclusi i casi di soggetti inseriti in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse, non dev’essere intesa in senso soggettivo, come auto-organizzazione creata e gestita dal professionista senza vincoli di subordinazione, ma in senso oggettivo, come esistenza di un apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui, risultante dall’aggregazione di beni strumentali e/o di lavoro altrui. Essa è riscontrabile ogni qual volta il professionista si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui, o impieghi nell’organizzazione beni strumentali eccedenti, per quantità o valore, il minimo comunemente ritenuto indispensabile per l’esercizio dell’attività”, Cass. sez. V, sent. 16.2.2007, n. 3673.

Il Giudice di legittimità ha poi avuto occasione, più di recente, anche di precisare che “in tema di IRAP, a norma del combinato disposto D.Lgs. n. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, primo periodo, e art. 3, comma 1, lett. c), l’esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 1, è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata, requisito che ricorre – e la cui assenza deve essere provata dall’interessato – quando il contribuente sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e, dunque, non risulti inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse, ovvero impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, o, comunque, si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui” Cass. sez. V, 28.11.2014, n. 25311, non mancando la Suprema Corte di precisare, ancor più di recente, che “per la soggezione ad IRAP dei proventi di un lavoratore autonomo è necessario che la struttura organizzata di cui questi si avvalga faccia capo allo stesso non solo ai fini operativi, ma anche sotto il profilo organizzativo”, Cass. sez. VI-V, 16.2.2017, n. 4080, aggiungendosi, da ultimo, che “in tema di IRAP, la sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione determina l’assoggettamento del lavoratore autonomo (nella specie, medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale) all’imposta, indipendentemente dai riflessi immediati che la stessa cagiona sull’entità del suo reddito, dovendo il giudice del merito accertare, in concreto, i presupposti della fattispecie impositiva, in considerazione della eventuale eccedenza, rispetto al minimo indispensabile per l’esercizio della professione, della dotazione dei mezzi strumentali a disposizione del professionista e delle specifiche modalità qualitative e quantitative delle prestazioni lavorative di cui egli si avvale”, Cass. sez. V, 27.6.2019, n. 17245. Nel caso di specie risulta incontestato che il ricorrente non dispone di uno studio professionale proprio ed opera presso le strutture di colleghi, servendosi degli strumenti professionali propri indispensabili. Appare incontestato pure che negli studi dentistici presso cui presta la propria opera non svolge alcuna mansione dirigenziale nè organizzativa, o comunque di responsabilità. Neppure si avvale di collaboratori propri.

Occorre allora ricordare ancora che questa Corte ha pure avuto modo di chiarire che “in tema di IRAP, la circostanza che il professionista operi presso due o più strutture materiali non è sufficiente a configurare un’autonoma organizzazione, se tali strutture siano semplicemente strumentali ad un migliore e più comodo esercizio dell’attività professionale”, Cass. sez. VI-V, 22.12.2016, n. 26651.

Il ricorso risulta pertanto fondato e deve perciò essere accolto.

Rilevato che non appaiono necessari ulteriori accertamenti di fatto, e tenuto conto del disposto di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2, la causa può essere decisa nel merito, conseguendone l’accoglimento della richiesta di rimborso proposta dal contribuente.

Le spese di lite, in considerazione della complessità della materia trattata e delle oscillazioni giurisprudenziali registratesi in merito nel passato, possono essere dichiarate compensate tra le parti in relazione all’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso proposto dal M.M., cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente.

Dispone la compensazione fra le parti delle spese di lite dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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