Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9139 del 19/05/2020

Cassazione civile sez. I, 19/05/2020, (ud. 07/01/2020, dep. 19/05/2020), n.9139

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6213/2018 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliata in Roma, V. Oslavia 30,

presso lo studio dell’avvocato Giordano Vincenzo, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato Maffei Alberto, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ca.Se., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dagli avvocati Maciucchi Massimo e Scalisi Rino, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2549/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 30/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/01/2020 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato Maffei Alberto per la ricorrente, che si riporta

agli atti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Ca.Se. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Torino C.M.G. deducendo di essere stato coniugato con la medesima fino al (OMISSIS), essendosi i coniugi separati consensualmente con verbale omologato il (OMISSIS) di quell’anno; rilevava che nell’anno (OMISSIS) egli aveva richiesto alla ex moglie di intestarsi provvisoriamente una quota della società semplice Amica, proprietaria di un alloggio in (OMISSIS); deduceva che in base all’intercorso accordo la convenuta era divenuta titolare del 98% della partecipazione societaria, mentre esso istante aveva assunto in via esclusiva i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione della società, dopo aver corrisposto personalmente, e per l’intero, il prezzo della cessione della quota. L’attore asseriva di aver successivamente richiesto alla convenuta il trasferimento della nominata partecipazione ed esponeva che la predetta C. non vi aveva acconsentito. Deduceva che nella circostanza era configurabile un’ipotesi di interposizione reale di persona e domandava pertanto l’accertamento dell’obbligo, da parte della convenuta, di trasferirgli le quote della società Arnica oggetto dell’intercorsa cessione.

Nella resistenza della convenuta, che proponeva una domanda riconvenzionale che qui più non rileva, il Tribunale di Torino respingeva la domanda attrice rilevando come il pactum fiduciae, siccome relativo a beni immobili, richiedeva la forma scritta ad substantiam, onde non poteva essere provato per testimoni o per presunzioni; aggiungeva, poi, che gli elementi di riscontro acquisiti al giudizio non consentivano comunque di ritenere dimostrata l’esistenza dell’accordo dedotto in lite.

2. – La sentenza era impugnata da Ca..

In esito al giudizio di gravame, in cui si costituiva C.M.G., la Corte di appello di Torino riformava la pronuncia di primo grado e accertava l’obbligo, in capo all’appellata, di trasferire all’appellante la quota pari al 98% della partecipazione di Arnica s.s.. La Corte di merito negava la necessità della forma scritta del pactum fiduciae nell’ipotesi in cui il trasferimento immobiliare costituisse effetto indiretto del negozio concluso, come nell’ipotesi di trasferimento delle partecipazioni societarie relative ad enti titolari di immobili. Riteneva, poi, sulla base della ricognizione del materiale probatorio portato al suo esame, che l’accordo fiduciario fosse stato effettivamente concluso.

3. – La sentenza della Corte di appello di Torino, pubblicata il 30 novembre 2017, è stata impugnata per cassazione dalla appellata soccombente C.; il ricorso è svolto in cinque motivi ed è illustrato da memoria. Resiste con controricorso Ca.Se..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo reca la seguente titolazione: “Necessità della forma scritta ad substantiam, con efficacia erga omnes, per il pactum fiduciae avente ad oggetto la cessione di quote societarie; violazione o falsa applicazione degli artt. 2300, 1350 e 1351 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”. Secondo il ricorrente, il giudice distrettuale avrebbe trascurato di considerare che la cessione di quote senza la forma scritta è bensì valida tra le parti, ma non opponibile ai terzi, e ciò in forza dell’art. 2300 c.c.: norma che, nel prevedere per la modificazione dell’atto costitutivo l’iscrizione nel registro delle imprese, postula necessariamente che il negozio di trasferimento delle quote sia redatto con scrittura privata autenticata o atto pubblico. In proposito, rileva la ricorrente che il patto fiduciario aveva ad oggetto l’intestazione presso il registro delle imprese delle quote societarie, non già la semplice cessione delle stesse con effetti limitati alle parti.

Il secondo motivo è così rubricato: “Necessità della forma scritta ad probationem per il pactum fiduciae avente ad oggetto la cessione di quote societarie; violazione o falsa applicazione degli artt. 2300, 2556 c.c. e degli artt. 115, 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”. Vi viene sostenuto che la necessità della forma scritta ad probationem trova fondamento nella disciplina dell’iscrizione nel registro delle imprese per l’opponibilità ai terzi e nella previsione dell’art. 2556 c.c., che prevede tale onere di documentazione per gli atti soggetti alla detta iscrizione.

Col terzo mezzo si deduce che la cessione di quote della società semplice intestataria di un immobile in attuazione di un pactum fiduciae è in realtà cessione dell’immobile. E’ quindi lamentata: “Violazione di legge, o falsa applicazione, degli artt. 1325,1350, 1351 e 2252 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”. Ritiene in sintesi la ricorrente che fosse pacifica sia la volontà delle parti di acquistare l’immobile, sia l’intenzione del controricorrente di ottenere, attraverso il trasferimento delle quote, la proprietà dell’immobile stesso; il fatto che la compravendita del cespite fosse stata formalizzata tramite la cessione delle quote della società semplice, appositamente costituita, sarebbe da considerarsi “una sovrastruttura, peraltro di larga applicazione, soprattutto in passato, ai fini di ottenere un risparmio fiscale”. In tal senso – spiega l’istante – il patto fiduciario avrebbe avuto ad oggetto il trasferimento di un bene immobile e, quale contratto preliminare di un contratto soggetto la forma scritta ad substantiam, avrebbe dovuto essere allo stesso modo documentato. In conclusione, la ricorrente reputa debba distinguersi l’ipotesi del trasferimento di quote di un soggetto giuridico titolare di immobili dal diverso caso concernente “la creazione e la cessione di una società semplice, che quindi non può esercitare attività commerciale, avente come unico bene un immobile in una località sciistica, destinato alle vacanze invernali dei soci, coniugi”.

I detti motivi appaiono infondati.

In base a una giurisprudenza consolidata, cui si intende dare continuità, il contratto di trasferimento di quote di partecipazione relativo a una società, indipendentemente dall’eventuale esistenza di immobili nel patrimonio di questa, non richiede nè ad substantiam nè ad probationem la forma scritta, la quale non è dunque necessaria per la validità ed efficacia della cessione tra le parti (in tema di società a responsabilità limitata: Cass. 11 marzo 2003, n. 3556; Cass. 16 dicembre 2010, n. 25468; Cass. 11 ottobre 2013, n. 23203; Cass. 27 ottobre 2017, n. 25626; con riferimento alla società di persone: Cass. 28 febbraio 1998, n. 2252; Cass. 10 maggio 2010, n. 11314). Infatti, la detta cessione non comporta un trasferimento, dal socio cedente a quello cessionario, dei diritti immobiliari, i quali restano, viceversa, nella titolarità della società, che non è parte del negozio di cessione.

Ora, questa Corte ha ripetutamente affermato che il pactum fiduciae con il quale il fiduciario si obbliga a modificare la situazione giuridica a lui facente capo a favore del fiduciante, o di altro soggetto da costui designato, sia equiparabile al contratto preliminare per il quale l’art. 1351 c.c., prescrive la stessa forma del contratto definitivo (Cass. 11 aprile 2018, n. 9010; Cass. 25 maggio 2017, n. 13216; Cass. 7 aprile 2011, n. 8001). Tale prospettiva esclude, come è evidente, che il patto fiduciario sia soggetto alla forma scritta ad substantiam o ad probationem, allorquando abbia ad oggetto il trasferimento di quote sociali: se, infatti, il contratto di cessione di quote è a forma libera, ove pure la società sia proprietaria di immobili, resta escluso che il negozio fiduciario che lo programmi debba risultare da un contesto documentale. E’ inutile aggiungere che a non diverse conclusioni si perverrebbe se si ripudiasse la ricostruzione del negozio fiduciario come contratto preliminare, negandosi così, a monte, che esso, ove abbia ad oggetto diritti reali immobiliari, sia soggetto all’obbligo della forma scritta (tesi, questa, fatta propria da una giurisprudenza di questa Corte, evocata da Cass. 5 agosto 2019, n. 20934, con cui è stata rimessa alle Sezioni Unite la questione circa il rilievo che possa attribuirsi a una dichiarazione unilaterale del fiduciario circa l’esistenza di un pactum fiduciae concernente tali diritti).

Ciò posto, va disatteso il primo motivo di censura. La ricorrente valorizza, difatti, il dato dell’iscrizione nel registro delle imprese del negozio di trasferimento delle quote: ma è evidente che tale profilo è estraneo al negozio suddetto. Ciò che rileva, ai fini del valido perfezionamento del pactum fiduciae, è che il contratto di cessione delle quote non sia soggetto a rigori formali; e infatti, la forma scritta è necessaria solo per l’opponibilità del patto alla società (cfr. Cass. 16 dicembre 2010, n. 25468 cit.): aspetto, quest’ultimo, che non è idoneo ad incidere sull’affermata validità del negozio traslativo intercorso e che, del resto, stando a quanto dedotto dalla ricorrente, non risulta sia stato nemmeno trattato nel precedente corso del giudizio.

Il secondo motivo, poi, si fonda, da un lato, sul rilievo che assumerebbe, in concreto, l’iscrizione nel registro delle imprese ai fini dell’opponibilità ai terzi del negozio concluso e, dall’altro su di una diposizione – l’art. 2556 c.c. – che prescrive debbano essere provati per iscritto i contratti che abbiano per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell’azienda. Sennonchè, il tema della opponibilità qui non rileva; d’altro canto, la società semplice va iscritta in una sezione speciale del registro delle imprese (L. n. 580 del 1993, art. 8, comma 4 e D.P.R. n. 558 del 1999, art. 2) e detta iscrizione “ha funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia, oltre agli effetti previsti dalle leggi speciali” (L. n. 580 cit., art. 8, comma 5) e non funzione di pubblicità dichiarativa volta a rendere opponibile ai terzi il fatto o l’atto iscritto (cfr. Cass. 12 ottobre 2012, n. 17500). Per il resto, è del tutto evidente che il contratto di trasferimento della quota di partecipazione in una società, non avendo per oggetto l’azienda sociale, non richieda la forma scritta ad probationem (Cass. 17 aprile 2013, n. 9334).

Il terzo mezzo mostra di valorizzare il risultato ultimo che il negozio fiduciario era diretto ad assicurare: e cioè l’acquisizione della disponibilità dell’immobile da parte di Ca.. Si tratta, tuttavia, di un profilo che nella fattispecie non può rilevare, dal momento che nel caso in esame le parti intesero pacificamente concludere un negozio fiduciario, che riguardava, propriamente, la cessione di quote della società personale titolare del cespite: e infatti, in piena coerenza con tale dato, nei due gradi di merito si è dibattuto del pactum fiduciae avendo particolare riguardo all’obbligo di forma cui questo soggiaceva. L’assunto dell’istante (pag. 13 del ricorso) secondo cui la cessione della partecipazione sociale avrebbe rappresentato “solo un mezzo per ottenere un risparmio fiscale” a fronte dell'”unico effetto voluto” (quello del trasferimento immobiliare) sembra voler conferire centralità, sul piano giuridico, al concreto risultato perseguito dalle parti attraverso il trasferimento della quota: ma in tal modo si finisce per contestare l’accertamento, insindacabile nella presente sede, secondo cui la complessa operazione (articolata nell’intestazione fiduciaria e nel successivo obbligo di retrocessione), che le parti vollero porre in essere aveva precisamente ad oggetto la partecipazione societaria, e non l’immobile. E’ superfluo ribadire, poi, che proprio perchè le parti intesero stipulare un negozio fiduciario concernente la quota, è alla disciplina cui soggiace tale negozio che bisogna guardare.

2. – Con quello che è rubricato come quarto motivo è denunciata violazione di legge o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.. La ricorrente si limita ad osservare che, riformata la sentenza di appello, le spese del giudizio di gravame debbano porsi a carico della controparte.

Non è questo un vero e proprio motivo di censura, dal momento che la ricorrente ha inteso solo invocare un effetto naturale della cassazione della sentenza di appello: effetto – quello della rinnovazione della statuizione sulle spese processuali che evidentemente non può prodursi in caso di rigetto del ricorso.

3. – L’ultimo motivo oppone l’inammissibilità della domanda subordinata di ingiustificato arricchimento è lamenta la violazione di legge, o la falsa applicazione, degli artt. 2041 e 2042 c.c.. Dopo aver ricordato che Ca. aveva domandato, in via subordinata, la restituzione ex art. 2041 c.c., di quanto da lui versato, l’odierna istante assume, nella sostanza, essere illegittima la decisione della Corte di appello nella parte in cui ha ritenuto “assorbita ogni ulteriore valutazione relativa alla domanda di ingiustificato arricchimento, proposta subordinatamente”.

Il motivo è inammissibile.

La Corte di merito ha ritenuto assorbita la decisione sulla domanda subordinata di arricchimento senza causa. Ora, i limiti istituzionali del giudizio di cassazione (segnati dal suo oggetto, costituito da vizi specifici della decisione del giudice inferiore e non direttamente dalla materia controversa, nella sua interezza, espressi in una attività che si caratterizza in funzione della rimozione della decisione viziata e non già della sostituzione immediata di questa) implicano che, in quel giudizio, non possa rientrare una questione sulla quale il predetto giudice non si sia pronunciato (cfr. Cass. 5 maggio 2003, n. 6784; più di recente, nel senso che non possono trovare ingresso, e perciò non sono esaminabili, le questioni sulle quali, per qualunque ragione, il giudice inferiore non si sia pronunciato per averle ritenute assorbite in virtù dell’accoglimento di un’eccezione pregiudiziale: Cass. 5 novembre 2014, n. 23558).

4. – Il ricorso è dunque respinto.

5. – Segue la condanna della ricorrente, che è soccombente, al pagamento delle spese del giudizio.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, sempre che esso sia dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 7 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2020

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