Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9137 del 19/05/2020

Cassazione civile sez. I, 19/05/2020, (ud. 07/01/2020, dep. 19/05/2020), n.9137

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1949/2016 proposto da:

Arena Npl One Srl, quale mandataria di doBank Spa, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Via Guidobaldo Del Monte 61, presso lo studio dell’avvocato

Amato Giuseppe Romano, rappresentata e difesa dall’avvocato Iannucci

Egidio, giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

D.L.G., D.L.N., D.L. Cereali di

G.D.L. & C. Snc, D.L. Cereali di G.D.L. &

Company Snc, F.M.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 215/2015 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 30/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/01/2020 da Dott. FALABELLA MASSIMO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento;

udito l’Avvocato Sansoni Antonio con delega scritta per la

ricorrente, che si riporta agli atti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il Tribunale di Larino revocava il decreto ingiuntivo emesso su ricorso di Banca di Roma s.p.a. e, in accoglimento della domanda riconvenzionale degli opponenti, D.L. Cereali di G.D.L. & C. s.n.c. (obbligata principale), D.L.G. e F.M.R. (fideiussori), condannava l’istituto di credito al pagamento, in favore della società ingiunta, della somma di Euro 20.262,05: importo, quest’ultimo, riferito a quanto indebitamente riscosso dalla banca a titolo di interessi anatocistici.

2. – Contro la pronuncia di primo grado proponeva appello Unicredit Credit Management Bank s.p.a., già Aspra Finance s.p.a., e per essa, quale mandataria, Unicredit Credit Management Bank s.p.a.. In particolare, nell’atto di gravame l’appellante deduceva che la Banca di Roma, dopo aver assunto la denominazione sociale di Capitalia, era stata oggetto di una fusione per incorporazione in Unicredit s.p.a. e che quest’ultima aveva concluso un’operazione di cessione di crediti in blocco in favore di Aspra Finance, a sua volta successivamente incorporata in Unicredit Credit Management Bank.

La Corte di appello di Campobasso, con sentenza del 30 settembre 2015, dichiarava inammissibile il gravame. Rilevava che l’appellante non aveva dato prova della propria legitimatio ad causam, osservando come nessuna rilevanza assumesse la mancata contestazione di controparte circa l’asserita fusione, trattandosi di questione rilevabile d’ufficio.

3. – Contro la pronuncia della Corte molisana ricorre per cassazione Arena NPL One s.r.l., e per essa, quale mandataria, do Bank s.r.l.. Il ricorso si fonda su quattro motivi. Gli intimati non hanno svolto difese. La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.. Lamenta la ricorrente che il giudice distrettuale avrebbe deciso la causa senza che sul punto della legittimazione fosse stata proposta una eccezione e senza che ad essa istante fosse stata data la possibilità di dedurre sul punto. La ricorrente dubita, in particolare, che il giudice del gravame potesse rilevare d’ufficio la questione relativa alla legittimazione all’impugnazione della sentenza di primo grado, in assenza di deduzioni in merito da parte della controparte.

Col secondo mezzo è lamentata la violazione e falsa applicazione degli artt. 111 e 24 Cost.. La banca istante sottolinea l’importanza del principio per cui occorre assicurare la prevedibilità delle decisioni giudiziarie ed evidenzia come il canone del giusto processo vada inteso in modo tale da assicurare alla parte processuale la possibilità di difendersi e di svolgere le proprie argomentazioni sulle questioni atte a definire il giudizio: ciò che nella fattispecie non era avvenuto.

Il terzo mezzo censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 83 c.p.c.. La ricorrente rimarca come l’eccezione relativa alla concreta titolarità del rapporto dedotto in giudizio, attenendo al merito, non sia rilevabile d’ufficio e debba essere tempestivamente sollevata dalla parte interessata. Deduce, inoltre, che l’attore non debba dar prova della titolarità del rapporto nel caso in cui il convenuto l’abbia esplicitamente riconosciuta o abbia impostato la sua difesa su argomenti logicamente incompatibili col suo disconoscimento.

Con il quarto motivo è opposta la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c.. Ricorda la banca istante che in allegato alla memoria di replica in appello erano stati prodotti gli atti pubblici che davano conto dei vari passaggi societari; la produzione era stata ritenuta tardiva dalla Corte di Campobasso, la quale, però, così operando, non aveva fatto retta applicazione del principio per cui, dovendo essere la legittimazione ad processum verificabile d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del giudizio, risulta essere irrilevante il momento del processo nel quale sia fornita la pertinente prova documentale.

2. – Occorre anzitutto avvertire che D.L.N. non è stato parte del giudizio di appello: onde il ricorso per cassazione proposto nei suoi confronti è inammissibile (Cass. 30 maggio 2017, n. 13584; Cass. 2 ottobre 2014, n. 20789).

3. – I quattro motivi, che possono esaminarsi congiuntamente per i profili di connessione che presentano, sono fondati nei termini che seguono.

3.1. – La Corte di merito ha dichiarato inammissibile l’impugnazione rilevando come la banca appellante non avesse provato le vicende societarie che avrebbero dovuto dar ragione della legittimazione della medesima e ha aggiunto, con riferimento alla “asserita fusione”, che la mancata contestazione di controparte non assumeva rilevo, dal momento che la questione era rilevabile d’ufficio.

Il giudice distrettuale, come sopra si è visto, ha indicato le diverse vicende che, secondo la banca appellante, avrebbero radicato, in capo ad essa, la legittimazione a impugnare la sentenza di primo grado. Sono indicate, a tal fine, una cessione di crediti in blocco e due fusioni per incorporazione.

La prima di queste si assume essere intervenuta nel corso del giudizio di primo grado: la sentenza è stata tuttavia pronunciata nei confronti dell’incorporata (posto che, tra l’altro, la fusione di società, in pendenza di una causa della quale sia parte la società fusa od incorporata, non determina l’interruzione del processo: Cass. Sez. U. 3 maggio 2010, n. 10653).

L’effetto determinato dalla fusione abilita comunque l’incorporante a disporre del diritto controverso. Nel caso in esame è stata posta in atto una cessione ex art. 58 t.u.b..

Va allora ricordato che nel caso di trasferimento di un’azienda bancaria (o di un ramo di azienda), il cessionario, nelle controversie aventi ad oggetto rapporti compresi in quell’azienda (o ramo d’azienda), assume la veste di successore a titolo particolare, con applicazione delle disposizioni dettate dall’art. 111 c.p.c. (Cass. 26 agosto 2014, n. 18258; Cass. 3 maggio 2010, n. 10653).

Quale successore a titolo particolare nel diritto controverso, il cessionario è naturalmente legittimato a impugnare la sentenza ex art. 111 c.p.c., comma 4. In presenza dell’indicato trasferimento, dunque, Aspra Finance ben avrebbe potuto appellare la pronuncia del Tribunale di Larino.

Se, poi, la società cessionaria dei crediti sia incorporata in altra, la legittimazione attiva e passiva all’impugnazione spetta alla società incorporante: infatti, in ipotesi di fusione per incorporazione ex art. 2504 bis c.c. (nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 6 del 2003), intervenuta in corso di causa, la legittimazione attiva e passiva all’impugnazione spetta alla sola società incorporante cui sono stati trasferiti i diritti e gli obblighi della società incorporata e che prosegue in tutti i rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione facenti capo alla società incorporata, salva la possibilità della controparte di notificare l’atto di impugnazione anche nei confronti di quest’ultima, nel caso in cui, nonostante l’iscrizione nel registro delle imprese, non sia stata resa edotta della intervenuta fusione (Cass. 24 maggio 2019, n. 14177). Nella fattispecie è stato proprio prospettato che a impugnare la sentenza sia stata l’incorporante Unicredit Credit Management Bank.

Si spiega, allora, come, in tesi, la divisata fusione per incorporazione legittimasse la nominata Unicredit alla proposizione del gravame.

3.2. – Tanto premesso sull’astratta titolarità, in capo all’appellante, del diritto a impugnare la sentenza di primo grado, occorre osservare che ha errato la Corte di merito nel ritenere irrilevante la mancata contestazione della controparte sul punto. E’ infatti ben vero che il difetto di legittimazione dell’appellante è rilevabile d’ufficio; è tuttavia affermato da questa S.C. con riferimento al ricorso per cassazione – e il principio appare senz’altro spendibile anche per l’appello – che la società la quale impugna la pronuncia emessa nei confronti di un’altra società, della quale affermi di essere successore (a titolo universale o particolare), è tenuta a fornire la prova documentale della propria legittimazione, ma sempre che il resistente l’abbia contestata (Cass. Sez. U. 18 maggio 2006, n. 11650, richiamata da Cass. 2 marzo 2016, n. 4116, secondo cui, con riferimento alla legittimazione a proporre ricorso per cassazione “il dovere di dare prova documentale, nelle forme previste dall’art. 372 c.p.c., della dedotta legittimazione sussiste nel caso che tale qualità sia oggetto di contestazione da parte del resistente, il quale può – esplicitamente o implicitamente – riconoscerla”).

E’ stata la stessa Corte di appello a dare atto della circostanza per cui gli intimati D.L. Cereali s.n.c. e D.L.G. non avevano contestato, in sede di gravame, la complessa vicenda, esposta nella citazione di appello, che aveva portato alla successione dell’odierna ricorrente alla Banca di Roma; e tale rilievo trova conferma nell’esame della comparsa di risposta depositata dagli appellati in fase di gravame (cui questa Corte ha evidentemente accesso, stante la natura processuale del vizio denunciato).

La Corte di merito avrebbe dovuto quindi prendere atto che la qualità di successore dell’originaria convenuta e opposta in capo a Unicredit Credit Management Bank era incontroversa tra l’appellante e gli appellati costituiti in giudizio e tale, quindi, da non poter essere più negata nella pronuncia da rendersi in sede di gravame.

3.3. – Il tema in contestazione non è tuttavia esaurito, in quanto al giudizio di appello aveva partecipato, restando però contumace, anche F.M.R..

Ora, è senz’altro vero che l’odierna ricorrente non può pretendere di sostenere la propria legittimazione nei confronti dell’odierna intimata sulla base della documentazione prodotta nel giudizio di gravame: detta documentazione è infatti tardiva, siccome prodotta contestualmente al deposito della memoria di replica in appello. In base a una giurisprudenza formatasi prima ancora della disciplina di cui alla L. n. 353 del 1990, infatti, la prova della legittimazione processuale dell’appellante non può essere data oltre la precisazione delle conclusioni e la rimessione della causa al collegio, ossia dopo che la trattazione orale della causa è stata chiusa (Cass. 4 dicembre 2014, n. 25655); d’altro canto, con riferimento alla disciplina vigente, questa Corte esclude che la produzione dei nuovi documenti suscettibili di avere ingresso in appello ex art. 345 c.p.c., comma 3, possa attuarsi al momento del deposito degli scritti conclusionali (cfr. Cass. 10 maggio 2019, n. 12574).

E’ anche vero, però, che la Corte di merito, pur non potendo ovviamente ricavare dalla contumacia di F.M.R. la mancata contestazione, da parte di quest’ultima, della legittimazione dell’appellante Unicredit Credit Management Bank, avrebbe dovuto comunque apprezzare il significato che assumeva, anche nei confronti della detta appellata, la condotta di non contestazione riferibile a D.L. Cereali s.n.c. e D.L.G., costituiti in giudizio. Premesso che tra i diversi appellati sussisteva un litisconsorzio facoltativo (essendo i medesimi tenuti, in solido, all’adempimento del medesimo debito per cui era stato richiesto ed emesso il decreto ingiuntivo), la mancata contestazione della legittimazione, da parte della società D.L. Cereali e di D.L.G., andava difatti valutata come elemento atto a fondare ex art. 116 c.p.c., comma 1, il libero convincimento del giudice quanto alla sussistenza della legittimazione della banca appellante nei confronti di F.M.R., che era rimasta contumace.

La situazione processuale in esame presenta dei tratti che l’avvicinano a quella che si determina in presenza della confessione resa da uno dei litisconsorti in caso di litisconsorzio facoltativo: confessione che, pur conservando valore di prova legale in capo al confitente (diversamente da quanto accade nell’ipotesi di litisconsorzio necessario: art. 2733 c.c., comma 3) è, con riferimento agli altri, liberamente apprezzabile dal giudice (Cass. 4 maggio 2004, n. 8458). Si tratta, nell’ipotesi di non contestazione, di attribuire una portata più estesa, sul piano soggettivo – ma nei termini attenuati di una valutazione discrezionale rimessa al giudice – a una determinata condotta (non propriamente a una prova, come accede invece nell’ipotesi della confessione), che ha portata vincolante, nel giudizio, con riguardo al solo soggetto cui essa è riferibile; in tale prospettiva quel che rileva è non già la non contestazione del contumace (che, come è ovvio, è irrilevante giuridicamente), ma altra circostanza: e cioè la possibilità che la non contestazione del litisconsorte assurga, in concreto, a dato espressivo della oggettiva veridicità del fatto non contestato.

Sul punto mette conto di rilevare, del resto, come la possibilità di valorizzare la condotta di non contestazione tra litisconsorti sia stata già riconosciuta da questa Corte, se pure con riferimento a un’ipotesi di litisconsorzio necessario. E’ stato infatti affermato, in materia di responsabilità per sinistro stradale, che la mancata contestazione, ad opera della compagnia assicuratrice, della responsabilità del proprio assicurato, rimasto contumace, se pure non esonera l’attore dell’assolvimento dell’onere probatorio a suo carico, evenienza ipotizzabile solo quando il difetto di contestazione sia riferibile alle parti avversarie regolarmente costituite in giudizio, può nondimeno assumere rilievo come mera circostanza di fatto liberamente apprezzabile dal giudice (Cass. 19 ottobre 2016, n. 21096).

In conclusione, dunque, l’errore in cui è incorso il giudice di appello nel privare di rilievo della condotta di non contestazione posta in essere dalle parti costituite ha avuto ripercussioni sull’intero giudizio, coinvolgendo anche la posizione della appellata contumace: proprio la mancata contestazione da parte della società D.L. e di D.L.G. (che avevano l’interesse e la concreta possibilità di operare quella confutazione, che invece non ebbe luogo) dovevano indurre la Corte di merito a ritenere reale la vicenda successoria prospettata da Unicredit Credit Management anche nei confronti di F.M.R..

4. – La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Campobasso, la quale statuirà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso con riferimento alla posizione di D.L.N.; con riguardo alle altre parti intimate accoglie, nei sensi di cui in motivazione, i primi tre motivi e dichiara assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Campobasso, in diversa composizione, anche per le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 7 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2020

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