Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9135 del 02/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 02/04/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 02/04/2021), n.9135

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9329/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

T.T.L. Tecno Te. Lombarda Srl in liquidazione, rappresentata e

difesa dagli Avv.ti Tommaso Landi, Simona Montorfano e Luca

Vianello, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma

Lungotevere Marzio n. 1, giusta procura speciale in calce al

controricorso;

e

H.T.E. Heat Treatment Engineering Srl;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 157/7/2013, depositata in data 1 ottobre 2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 18 dicembre 2020

dal Cons. Giuseppe Fuochi Tinarelli.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale De Augustinis Umberto, che ha concluso per l’accoglimento

del ricorso per quanto di ragione.

Udito l’Avv. dello Stato Paolo Gentili per l’Agenzia delle entrate

che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Udito l’Avv. Luca Vianello per la contribuente che ha concluso per il

rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate, in esito ad accertamento operato presso le società T.T.L. Tecno Te. Lombarda Srl (in seguito: TTL) e H.T.E. Heat Treatment Engineering Srl (in seguito: HTE), quest’ultima integralmente controllata dalla prima, rilevava che la HTE, in data (OMISSIS), aveva emesso tre fatture di acconto nei confronti della TTL per la “fornitura di impianto laser” senza che, in concreto, fosse intercorso alcun pagamento tra le due società. Le fatture erano poi state stornate con nota di credito del (OMISSIS).

I macchinari, inoltre, erano stati successivamente ceduti, in data (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), a tre società terze.

L’Ufficio rilevava che, in relazione all’emissione delle fatture, per la HTE l’Iva a debito non aveva determinato variazioni, restando l’importo assorbito nella liquidazione periodica del dicembre 2006, mentre per la TTL aveva avuto un significativo effetto riducendo l’ammontare del debito periodico di Euro 175.000,00; rilevava, inoltre, che tale modus operandi era stato ripetuto, con costanza, dalle due società nel corso degli anni.

Riteneva, pertanto, l’operazione abusiva, ossia che non avesse altro scopo che quello di differire le liquidazioni periodiche dell’Iva (della TTL in particolare), sì da permetterne la chiusura in assenza di debito ovvero, in ogni caso, con un debito minore, ed emetteva avviso di accertamento con cui recuperava, per il 2006, la detrazione indebitamente operata dalla TTL sulle fatture in acconto e, quanto alla HTE, chiedeva il pagamento dell’imposta portata sulle stesse, quale effetto del disconoscimento delle note di credito a storno.

Le contribuenti impugnavano gli avvisi di rettifica, deducendo che l’operazione era retta da valide ragioni economiche. La natura del bene oggetto della commessa – impianti a tempra ad induzione laser del valore di oltre Euro 3.000.000,00 – ne imponeva, infatti, la progettazione in base alle specifiche fornite dalla committente e la necessità di un versamento, con l’ordine, di un acconto, utile al finanziamento della messa in opera.

Sottolineavano, inoltre, che gli asseriti terzi erano in realtà società specializzate di leasing finanziario, in rapporti con la TTL, alla quale, una volta acquisiti i beni, erano stati concessi in uso.

I ricorsi erano accolti dalla CTP di Lecco. La sentenza era confermata dal giudice d’appello che riteneva provata la sussistenza di valide ragioni economiche, diverse dal mero vantaggio fiscale.

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione con due motivi. TTL resiste con controricorso, mentre HTE è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 4, art. 26, commi 2 e 3, e art. 19, comma 2, dell’art. 53 Cost., nonchè dei principi di diritto dell’Unione Europea in tema di divieto di abuso di diritto in materia di Iva, per aver la CTR ritenuto l’operazione posta in essere dalle contribuenti giustificata da valide ragioni economiche, mentre in realtà era realizzata al solo scopo di lucrare, per la TTL, il diritto di detrazione dell’Iva esposta sulle fatture anticipate emesse da HTE; la transazione, inoltre, non era stata neppure accompagnata da un effettivo pagamento e che gli effettivi acquirenti finali dei macchinari – che avrebbero dovuto essere tali dall’origine – erano delle società terze di leasing.

1.1. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, con riguardo alle medesime circostanze evidenziate al primo motivo, omesso esame di punti di fatto decisivi.

2. I motivi, da esaminare unitariamente per connessione logica – anche a non considerare inammissibile la seconda doglianza in quanto diretta, in realtà, a censurare la sufficienza della motivazione, non più consentita trattandosi di sentenza pubblicata in data 1 ottobre 2013 -, sono infondati.

3. Come è ben noto, in tema di abuso del diritto, una condotta può ritenersi abusiva se l’operazione economica abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo di eludere il fisco, sicchè il divieto di siffatte operazioni non opera se esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero intento di conseguire un risparmio anche implicitamente non consentito di imposta.

Incombe sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, mentre è a carico del contribuente l’onere di dedurre e provare le giustificazioni economiche poste a base dell’operazione, diverse dal mero risparmio tributario.

3.1. La fattispecie in giudizio riguarda la materia dell’Iva, ossia un tributo armonizzato.

In tale ambito, l’abuso del diritto, o elusione, trova il suo fondamento normativo diretto nell’ordinamento unionale e nella giurisprudenza della Corte di Giustizia – a cui va riconosciuta una valenza normativa ed integrativa dell’ordinamento nazionale secondo la quale i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme dell’Unione (sentenza 21 febbraio 2006, in C-255/02, Halifax e a., punti 68 e 69 e giurisprudenza ivi citata; v. anche sentenze 13 marzo 2014, in C-155/13, SICES e a., punti 29 e 30, nonchè, da ultimo, 22 novembre 2017, in C-251/16, Edward Cunnigs e a., punti 30-33).

Per la configurazione di una pratica abusiva – secondo gli orientamenti unionali – è necessario un elemento oggettivo che si manifesta in un insieme di circostanze da cui risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito da detta normativa non è stato raggiunto (Corte di Giustizia, sentenza 14 dicembre 2000, in C110/99, Emsland-Strke, punto 52, nonchè Corte di Giustizia, sentenza 13 marzo 2014, SICES, cit. punto 32), e un elemento soggettivo, nel senso che deve risultare da un insieme di circostanze oggettive che lo scopo essenziale delle operazioni controverse è ottenere un vantaggio indebito, anche indirettamente non voluto dal sistema tributario, non vietato peraltro da una disposizione espressa, mediante la creazione artificiosa delle condizioni richieste per il suo conseguimento.

3.2. La giurisprudenza unionale su richiamata, invero, ha cura di precisare che il risultato raggiunto dal contribuente, attraverso il percorso realizzato, deve essere contrario alle disposizioni tributarie e che lo scopo “essenzialmente” perseguito è quello di ottenere un (indebito) vantaggio fiscale.

Ne deriva – come rilevato anche da questa Corte (Cass. n. 21221 del 29/09/2006; da ultimo Cass. n. 33593 del 18/12/2019) – che la “rigorosa applicazione del principio dell’abuso del diritto (…) comporta, quindi, che l’operazione deve essere valutata secondo la sua essenza, sulla quale non possono influire ragioni economiche meramente marginali o teoriche, tali, quindi, da considerarsi manifestamente inattendibili o assolutamente irrilevanti, rispetto alla finalità di conseguire un risparmio d’imposta”.

Il risparmio è, quindi, sempre “illecito” quando rappresenti l’essenza (la parte preponderante, se non essenziale comunque prevalente) dell’oggetto del contratto o degli accordi nel loro complesso.

3.3. Ne consegue che, ove si constati un comportamento abusivo, le operazioni implicate devono essere ridefinite in maniera da ristabilire direttamente nell’ordinamento interno e con i rimedi ivi previsti la situazione quale sarebbe esistita senza le operazioni che quel comportamento hanno fondato (v. Corte di Giustizia, sentenza 21 febbraio 2008, in C-425/06, Part. Service, secondo la quale il risparmio fiscale, quale ragione, anche solo preponderante, dell’operazione compiuta va valutato secondo un “criterio (che) il giudice nazionale, nell’ambito della valutazione che gli compete, può prendere in considerazione (per valutare) il carattere puramente fittizio delle operazioni”, rispetto alla lesione della norma tributaria, la cui violazione, nella concreta vicenda, era stata apprezzata dalla stessa Corte di Giustizia con l’affermazione – v. punto 60 – che “tale risultato appare contrario all’obiettivo della sesta Dir., art. 11, parte A, n. 1″).

3.4. In questa prospettiva, l’elemento integrante l'”indebito” vantaggio fiscale per “contrarietà” allo scopo perseguito dalle norme tributarie eluse, deve essere ricercato nella causa concreta della operazione negoziale sottesa al “meccanismo giuridico contorto” diretto ad aggirare la normativa tributaria per raggiungere lo scopo essenziale del risparmio d’imposta, che in altro modo non sarebbe possibile conseguire (v., in tal senso, Cass. n. 8487 del 08/04/2009 e Cass. n. 12788 del 10/06/2011 che fanno riferimento ad un “uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico”; Cass. n. 653 del 15/01/2014 che fa riferimento a “vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione od un risparmio d’imposta”; Cass. n. 21390 del 30/11/2012 che si riferisce a “modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato”; in termini analoghi Cass. n. 33593 del 18/12/2019, relativa ad una mera interposizione di altro soggetto, avente identica compagine sociale, nell’acquisto di un immobile finalizzata alla sola fruizione del regime di detrazione Iva, altrimenti non possibile).

La necessità di apprezzare l’operazione nella sua “essenza”, per privilegiarne l’intrinseca natura e gli effetti giuridici rispetto al titolo e alla forma apparente, comporta quindi che gli stessi concetti privatistici di autonomia negoziale finiscono per regredire, di fronte alle esigenze antielusive, a semplici elementi della fattispecie tributaria.

4. Orbene, nella vicenda in giudizio l’Amministrazione ha provato che i comportamenti delle società contribuenti, tra loro in rapporto di controllo, sono stati caratterizzati da un, quantomeno, improprio utilizzo della strumentazione fiscale.

La vicenda, infatti, come emerge dalla sentenza della CTR ed è incontestato in atti, può essere così schematizzata:

1) TTL ordinava ad HTE la costruzione e fornitura di tre macchinari, di rilevante costo;

2) HTE emetteva, in data (OMISSIS), tre fatture in acconto nei confronti di TTL;

3) il pagamento dell’acconto non era effettuato con il materiale versamento di una somma ma mediante compensazione tra i rispettivi crediti-debiti;

4) l’Iva di cui alla fattura veniva regolarmente detratta da TTL e computata, a debito, da HTE;

5) tale adempimento se restava ininfluente per HTE (che vantava un più elevato credito), aveva, invece, un effetto significativo per TTL, che vedeva sostanzialmente dimezzarsi il proprio maggior debito;

6) circa un anno dopo – precisamente il (OMISSIS) – HTE emetteva quattro note di credito, con le quali venivano stornate le tre fatture emesse.

7) successivamente la vendita dei macchinari veniva effettuata a favore di tre società di leasing (a Fortis Lease Spa, a Leasint Spa ed al ramo leasing del Credito Valtellinese Spa): una in data (OMISSIS), le altre due il (OMISSIS) e il (OMISSIS);

8) i macchinari, quindi, in forza di contratti di leasing (stipulati con le tre anzidette società), venivano concessi in uso alla TTL, dietro versamento – si deve ritenere – di un canone di locazione;

9) infine, va dato atto che tale modus operandi, per come emerso dalla contabilità delle società, era ricorrente negli anni.

Quanto al superamento del termine annuale D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 26, comma 3, va rilevato che la stessa Agenzia ne ha posto solo in risalto l’anomalia (e non è ben chiaro se riguardasse tutte le note di credito o solo una), senza, tuttavia, trarne alcuna conseguenza in ordine ad un eventuale ulteriore disallineamento.

4.1. L’unico scopo individuato dall’Ufficio in questo complesso percorso è stato quello del risparmio fiscale, nella specie in quello derivante a favore della TTL dalla modifica del momento della fatturazione con indebita spostamento dell’Iva a credito (e ciò, tanto più, che le note di credito, almeno in parte, erano ultrannuali, da cui le conseguenze D.P.R. n. 633 del 1973, ex art. 26, comma 3, seppure, come riconosce l’Ufficio, poi neutralizzate), restando invece inesplicabile perchè, fin dall’origine, il rapporto non fosse stato instaurato tra HTE e società di leasing, di cui la fase precedente finiva con il costituire una mera interposizione priva di ragione economica.

In sintesi, dunque, le parti, dopo aver concordato la fornitura e la cessione di tre complessi macchinari, perfezionando l’ordine con il versamento di un acconto (poco importa se tramite compensazione o con effettivo versamento delle somme) ed emissione della relativa fattura, rescindevano il contratto tra di loro, con conseguente emissione di note di credito a storno, che invece veniva concluso tra la HTE e le tre società di leasing (che, come osservato dall’Ufficio, subentravano nella vendita). Queste ultime, tuttavia, come precisato dalla controricorrente non erano terzi indifferenti poichè l’acquisto era in funzione della stipula dell’ulteriore contratto di leasing con la TTL, utilizzatrice dei macchinari.

4.2. La CTR, con motivazione invero scarna, ha, invece, colto l’effettivo scopo economico perseguito con l’operazione complessiva.

Il giudice d’appello ha affermato che “la società ha dimostrato di aver effettivamente costruito gli impianti commissionati da TTL, per i quali sono state emesse fatture in acconto al fine di consentire l’accesso al finanziamento delle somme necessarie per la realizzazione della produzione, come da contratti con le società di leasing versati in atti”.

L’effettiva ragione imprenditoriale perseguita, infatti, era quella di realizzare i macchinari per la TTL senza, tuttavia, affrontarne in una unica soluzione gli ingenti costi, soluzione che poteva essere perseguita o con un finanziamento con capitali di terzi ovvero vendita del bene ad una società di leasing, che poi avrebbe concesso in uso i macchinari stessi.

La vendita ad una società di leasing, come osservato dall’Ufficio, ben avrebbe potuto essere effettuata direttamente dalla HTE sin dall’origine; ciò, peraltro, imponeva – attesa la particolarità e i costi del prodotto – che la stessa società di leasing avesse un affidamento certo della possibilità di trovare un utilizzatore.

Tale affidamento, indubbiamente, poteva trovare una sua concretizzazione in un contratto trilaterale, diretto a disciplinare un rapporto complesso con al centro la società di leasing (che acquistava il bene da HTE e poi lo concedeva in leasing a TTL), contratto che, tuttavia, poteva, verosimilmente, comportare vincoli e costi più significativi (quali, ad es., il versamento di un deposito effettivo e non meramente virtuale o la prestazione di altre garanzie da parte delle contribuenti).

Il modello attuato, invece, ha privilegiato una diretta esposizione della TTL che ha effettuato (1) l’ordine ad HTE e (2) un (apparente) consistente esborso (dell’ordine del 25% del prezzo), così, tuttavia, dimostrando l’effettivo e reale interesse per l’operazione, tale, dunque, da rendere la transazione interessante e concreta per le stesse società di leasing.

Il carattere modesto dell’impatto economico iniziale era poi esaltato dalla circostanza che il versamento dell’acconto era definito mediante compensazione tra i rispettivi rapporti di debito e credito delle contribuenti, senza dunque alcuna concreta erogazione, rilievo che, tuttavia, restava tutto interno ai rapporti tra le società, apparendo all’esterno (ossia alle società di leasing) solo il rilevante impegno economico.

4.3. Appare evidente, pertanto, che l’operazione perseguiva l’obbiettivo e prevalente scopo di (realizzare e) fornire i macchinari da HTE a TTL mediante ricorso a finanziamento, nella specie con l’intervento di società di leasing, con i minori oneri possibili.

Ciò è avvenuto anche attraverso una evidente manipolazione dei meccanismi fiscali e con la spendita di giustificazioni, per le fatture e per le note di credito, incoerenti con la realtà dei fatti.

Giova sottolineare, sul punto, che, come emerge dall’avviso di rettifica, riprodotto per autosufficienza, la causale delle prime tre note di credito consisteva nel “ritardo nella progettazione del nuovo software” e nella “vostra (della TTL) richiesta di un ulteriore slittamento della data di consegna per permettervi di effettuare i test di perfetto funzionamento dei due impianti che applicano la nuova tecnologia per la tempra laser”.

Questa giustificazione è, in evidenza, insufficiente (avuto riguardo al reale scopo perseguito), se non anche mendace, come emerge, del resto, dal fatto che la vendita di uno dei macchinari è poi stata effettuata di lì a pochi giorni (il (OMISSIS)).

Tale connotazione, tuttavia, non può ritenersi caratterizzante o, comunque, prevalente; lo stesso vantaggio fiscale, conseguente all’incidenza della fatturazione anticipata sulle liquidazioni periodiche Iva, appare integrare più un effetto collaterale della complessiva operazione che un obbiettivo perseguito.

5. Il ricorso va pertanto rigettato.

Attesa la peculiarità e complessità della vicenda e le concrete modalità attuate dalle contribuenti nella realizzazione della condotta, le spese di legittimità vanno compensate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2021

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