Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9132 del 07/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 07/04/2017, (ud. 08/03/2017, dep.07/04/2017),  n. 9132

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6567-2016 proposto da:

G.K., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AGRI 1, presso

lo studio dell’avvocato PASQUALE NAPPI, rappresentata e difesa

dall’avvocato MARCO PICCHI, giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA, C.F. P.I. (OMISSIS), in persona del Responsabile

della Funzione Risorse Umane, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PO 25-B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la

rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del

controricorso

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

G.K., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AGRI 1, presso

lo studio dell’avvocato PASQUALE NAPPI, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARCO PICCHI;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 34/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 06/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/03/2017 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Bologna, decidendo quale giudice del rinvio disposto da questa Corte di cassazione con la sentenza n. 14472 del 2013, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra G.K. e Poste italiane S.p.A. nel periodo dal 2/5/2002 al 29/6/2002, dichiarava la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 2/5/2002 e condannava Poste a ripristinare il rapporto di lavoro e a corrispondere alla G. un’ indennità risarcitoria pari a 2,5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori di legge.

2. Per la cassazione della sentenza G.K. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui ha resistito Poste Italiane s.p.a., che ha proposto altresì ricorso incidentale, affidato a tre motivi, cui ha resistito la G. con controricorso. Poste ha depositato anche memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

3. Il ricorso principale e quello incidentale sono stati riuniti ex art. 335 c.p.c. in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

4. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

1. come primo motivo del ricorso principale, vengono dedotte la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., artt. 324 e 329 c.p.c., violazione del principio di intangibilità del giudicato nonchè la nullità della sentenza e/o del procedimento. La ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia provveduto a rideterminare l’importo del risarcimento a suo tempo riconosciutole a fronte del suo illegittimo allontanamento del posto di lavoro, applicando il disposto della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5 mentre Poste non aveva formulato neppure in via subordinata alcun motivo di gravame sulla quantificazione del danno patrimoniale.

2. Come secondo motivo, in via subordinata, si deduce violazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 7 nonchè violazione del principio del contraddittorio e nullità della sentenza e/o del procedimento. La ricorrente rileva come la Corte d’appello di Bologna, una volta ritenuto di dover applicare l’art. 32 cit., avrebbe dovuto concedere alle parti termine per l’eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni, il che non è avvenuto.

3. Il primo motivo del ricorso principale non è fondato.

In tema di risarcimento del danno nei casi di conversione del contratto di lavoro a tempo determinato, lo “ius superveniens” di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 si applica anche in sede di giudizio di rinvio, semprechè sulla questione risarcitoria non sia intervenuto il giudicato interno (Cass. 12/11/2014 n. 24129).

Questa Corte di Cassazione a Sezioni Unite nell’arresto 27/10/2016 n. 21691 ha chiarito che ove sia stato proposto appello, sebbene limitatamente al capo della sentenza concernente l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, non è configurabile giudicato in ordine al capo concernente le conseguenze risarcitorie, legato al primo da un nesso di causalità imprescindibile, atteso che, in base al combinato disposto dell’art. 329 c.p.c., comma 2, e art. 336 c.p.c., comma 1, l’impugnazione nei confronti della parte principale della decisione impedisce la formazione del giudicato interno sulla parte da essa dipendente.

Nel caso, la sentenza rescindente n. 14472 del 2013, per quello che qui ancora rileva, ha accolto il primo motivo del ricorso proposto da Poste italiane s.p.a. nei confronti di G.K., sul presupposto che la Corte d’appello di Firenze aveva confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato la nullità del apposto al contratto concluso il 30.10.1996, senza pronunciarsi sulla censura secondo cui la lavoratrice aveva dedotto in primo grado l’illegittimità della causale apposta al contratto a termine stipulato per il periodo 2.5 – 29.6.2002 ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, mentre nulla aveva riferito in merito all’ illegittimità del contratto stipulato nel 1996. Discutendosi quindi nel giudizio di rinvio ancora della legittimità del termine apposto al contratto del 2002, la questione delle conseguenze dell'(eventuale) illegittimità non erano state accertate in modo definitivo, esulando dalle premesse logico-giuridiche della decisione, sicchè la Corte territoriale doveva rivalutare anche su tali conseguenze, in applicazione della normativa sopravvenuta.

4. Il secondo motivo è inammissibile.

Per verificare la sussistenza del denunciato error in procedendo, è necessario esaminare il contenuto degli atti processuali. E’ stato infatti chiarito che in tale scrutinio la Corte di cassazione è anche giudice del fatto, inteso come fatto processuale, sicchè non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere-dovere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda. Allo scopo è però necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi caratterizzanti il fatto processuale di cui si chiede il riesame, nel rispetto delle disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (ex plurimis, Cass. Sez. Un. 22/05/2012 n. 8077, Cass. 30/07/2015 n. 16164, Cass. 05/02/2015 n. 2143). Ciò non è avvenuto nel caso in esame, non essendo riprodotto il contenuto degli atti processuali cui il motivo attiene.

5. Il ricorso incidentale di Poste attinge la sentenza della Corte territoriale laddove ha ritenuto illegittimo il termine apposto al contratto stipulato nel periodo dal 2/5/2002 al 29/6/2002, recante la causale “esigenze tecniche organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio 2002”.

6. La Corte bolognese in proposito ha argomentato che Poste non aveva articolato adeguata prova per dimostrare il nesso causale tra le mansioni assegnate alla lavoratrice addetta al recapito della posta e le esigenze tecniche, organizzative e produttive indicate nella causale di assunzione. Ha rilevato che i capitoli di prove dedotti (da 1 a 21 della memoria di costituzione) erano in parte irrilevanti ed in parte generici, sì da non poter essere ricondotti alla fattispecie concreta per la carenza di specificazioni in ordine al lasso temporale, all’ufficio postale, all’organico di servizio e dalle esigenze della struttura presso cui era stata addetta alla G..

7. Le argomentazioni vengono censurate da Poste con i seguenti motivi: 1) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 degli accordi collettivi tra Poste le Organizzazioni sindacali del 17, 18 e 23 ottobre 2011,11 dicembre 2001, 11 gennaio 2002, 13 e 17 aprile 2002, anche in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c.; 2): violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e degli accordi collettivi tra Poste italiane e le Organizzazioni sindacali del 17, 18, 23 ottobre 2001, 11 dicembre 2001, 11 gennaio 2002,13 e 17 aprile 2002; 3): violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 anche relazione agli artt. 115, 116, 245, 421 e 437 c.p.c. La parte argomenta che, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte d’appello, dagli accordi sindacali richiamati nel contratto di assunzione e dalle richieste istruttorie di Poste si potesse inferire l’effettività delle esigenze sottese all’assunzione della G., anche con riferimento alla posizione della lavoratrice effettivamente assegnata.

8. I tre motivi sono inammissibili.

Questa Corte ha in più occasioni ribadito (Cass. 27/4/2010 n. 10033 e 11/02/2015 n. 2680) che l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 “a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione fra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa. Spetta al giudice di merito accertare, con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità, la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificatamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto.

Con riguardo a questi ultimi, nei richiamati arresti si è altresì chiarito che “seppure nel nuovo quadro normativo… non spetti più un autonomo potere di qualificazione delle esigenze aziendali idonee a consentire l’assunzione a termine, tuttavia, la mediazione collettiva ed i relativi esiti concertativi restano pur sempre un elemento rilevante di rappresentazione delle esigenze aziendali in termini compatibili con la tutela degli interessi dei dipendenti, con la conseguenza che gli stessi debbono essere attentamente valutati dal giudice ai fini della configurabilità nel caso concreto dei requisiti della fattispecie legale”.

9. Tale attenta valutazione è stata effettuata dalla Corte di merito, che ha rilevato che, pur a fronte della specificità della causale, Poste non aveva fornito la prova dell’incidenza del processo di riorganizzazione nella realtà produttiva di destinazione della lavoratrice. Nella specie la ricorrente contesta tale valutazione, che nella sentenza risulta giustificata da congrua e logica motivazione, con argomentazione che finisce con il risolversi nell’ inammissibile prospettazione di un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti (in fattispecie analoga così Cass. ord., 24/03/2016 n. 5942). Nè vale in senso contrario la trascrizione dei capitoli di prova, che neppure contengono alcun riferimento all’unità di assegnazione della lavoratrice. Non risulta poi essere stata sollecitata nel giudizio di merito l’adozione dei poteri istruttori officiosi, del cui mancato esercizio pur ci si duole.

10. Segue coerente il rigetto del ricorso principale e l’inammissibilità dell’incidentale. Le spese vengono compensate tra le parti in ragione della soccombenza reciproca.

11. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

Rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2017

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