Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 913 del 20/01/2010

Cassazione civile sez. III, 20/01/2010, (ud. 01/12/2009, dep. 20/01/2010), n.913

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7325-2005 proposto da:

T.S. (OMISSIS), P.R.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LUDOVISI

35, presso lo studio dell’avvocato LAURO MASSIMO, rappresentati e

difesi dagli avvocati ROSANOVA GAETANO, LAMBIASE PASQUALE giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA L CHIALA

125/D, presso lo studio dell’avvocato RICCIARDELLI FEDELMASSIMO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato RICCIARDELLI BRUNO;

– controricorrente –

e contro

T.F., S.A.;

– intimati –

sul ricorso 10755-2005 proposto da:

T.F., S.A., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA RUBICONE 27, presso lo studio dell’avvocato TESSITORE

MARIA, rappresentati e difesi dall’avvocato TEDESCHI GIUSEPPE giusta

procura a margine;

– ricorrenti –

e contro

G.P., T.S., P.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 39/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, 3

Sezione Civile, emessa il 19/01/2005, depositata il 12/01/2005;

R.G.N. 2330/99.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2009 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito l’Avvocato Pasquale LAMBIASE;

uditi gli Avvocati FEDELMASSIMO RICCIARDELLI E BRUNO RICCIARDELLI;

udito l’Avvocato Massimo GIZZI per delega Avv. Giuseppe TEDESCHI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per il rigetto di

entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 12 gennaio 2005, notificata in data 27 gennaio 2005, la Corte di Appello di Napoli, riformando la decisione del Tribunale di Torre Annunziata n. 339 del 1998, accoglieva la domanda di riscatto di una porzione di terreno agricolo di mq. 2.130 proposta da G.P., coltivatore diretto di un terreno confinante, nei confronti degli acquirenti T.S. e P.R..

Con la medesima decisione i giudici di appello escludevano che i genitori di T.S., che pure avevano svolto analoga domanda di riscatto del medesimo fondo (domanda, invece, accolta dal primo giudice), coltivassero il fondo al momento dell’acquisto, avvenuto in due tempi, avendo gli acquirenti rilevato la proprietà del fondo con due atti successivi, succedutisi a distanza di qualche tempo.

Secondo la Corte territoriale, non era onere dell’appellante G.P. proporre querela di falso nei confronti della scrittura privata esibita da T.F. e S.A. (con la quale questi ultimi intendevano dimostrare la esistenza di un contratto di affitto intercorrente con i precedenti proprietari G. e Gi.Gi.).

Ogni questione poteva dirsi comunque superata a seguito della consulenza tecnica disposta in grado di appello:

questa, infatti, aveva consentito di accertare la non autografia della firma Gi.Gi. e la falsità del timbro postale 20 luglio 1990 apposto sulla missiva contenente la scrittura privata di affitto.

Quanto alla prova testimoniale, la stessa aveva dato riscontri del tutto discordanti, avendo i testimoni fornito versioni tra di loro nettamente contrastanti.

Doveva soccorrere, pertanto, la prova logica e sotto tale profilo era da escludere che i precedenti proprietari, G.G. e Gi., i quali avevano pagato a caro prezzo la liberazione del fondo dai precedenti coloni (ai quali avevano ceduto 25 are di terreno), lo avessero poi dato immediatamente in affitto a T. F. ed S.A., a pochi giorni dalla sua liberazione.

Tra l’altro, gli acquirenti T.S. e P.R. erano stati immessi nel possesso del fondo solo in data posteriore alla stipulazione dei due atti di acquisto, del (OMISSIS). Doveva dunque escludersi che T.F. e la moglie S.A. fossero stati immessi in precedenza nel possesso dal figlio, a seguito dell’acquisto da questi fatto.

Da ultimo, sottolineava la Corte, T.S. aveva dichiarato – nell’atto di acquisto – di svolgere la attività di fabbro (sicchè lo stesso non aveva all’epoca la qualità di coltivatore diretto).

G.P., invece, risultava sin dalla nascita coltivatore diretto e possedeva tutti i requisiti previsti dalla legge per il riscatto (proprietà di fondo confinante, capacità lavorativa sufficiente alla coltivazione e il non aver venduto fondi rustici nell’ultimo biennio, prima dell’esercizio del diritto di riscatto).

Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione (7325 del 2005) T.S. e P.R., articolato su due distinti motivi (tra i quali la destinazione non agricola del fondo e la illegittimità costituzionale della L. n. 560 del 1965, artt. 8 e 31, L. 817 del 1971, art. 7 per contrasto con gli artt. 3, 41 e 42 Cost.).

Resiste con controricorso G.P..

Altro ricorso (n.10755 del 2005) hanno proposto T.F. ed S.A., formulando censure di violazione di norme di legge analoghe a quelle contenute nel ricorso principale T.- P..

Tutte le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve, innanzi tutto, disporsi la riunione dei ricorsi, proposti contro la medesima decisione.

I ricorrenti principali, con il primo motivo, deducono violazione di norme di legge e vizi della motivazione sotto il profilo della destinazione non agricola del terreno acquistato.

Le censure proposte sono inammissibili.

Ogni questione circa la destinazione non agricola del fondo è preclusa sulla base dell’accertamento compiuto dal primo giudice, che ha accolto la domanda di riscatto dei genitori di T. S., T.F. e S.A..

Sul punto, non era stata sollevata alcuna censura da parte degli attuali ricorrenti principali, T.S. e P. R. (del resto, unici legittimati a proporla): sicchè la pronuncia deve considerarsi passata in giudicato.

Con il secondo motivo i ricorrenti principali deducono la illegittimità costituzionale della L. n. 560 del 1965, artt. 8 e 31, per contrasto con gli artt. 3, 41 e 42 Cost., per la parte in cui omettono la considerazione e la previsione di una estensione e di una unità colturale minima del fondo riscattato e, nel caso di cui alla L. n. 817 del 1971, art. 7, del fondo riscattato sommato a quello confinante, idonea produttivamente a costituire una entità agraria, tale da privilegiare la formazione dell’accorpamento dei suoli, sacrificando il diritto di proprietà e la libera disponibilità del bene in capo all’alienante ed al riscattato.

Secondo i ricorrenti principali la domanda di riscatto proposta dal G. non poteva comunque essere accolta, riguardando la stessa solo una parte dell’intero fondo venduto a T.F. ed S.A..

Tra l’altro, la porzione di fondo riscattata era così piccola (circa 2.000 metri quadrati) da rendere addirittura insignificante l’accorpamento ai fini della realizzazione di una coltivazione efficiente.

La censura proposta appare del tutto infondata, alla luce dei principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, per i quali:

“Ai fini dell’esercizio del diritto di prelazione e riscatto la L. n. 590 del 1965, art. 31, richiedendo per la qualità di coltivatore diretto che la complessiva forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore ad un terzo di quella occorrente per la normale necessità della coltivazione del fondo, finisce per porre un limite in relazione all’estensione massima del fondo confinante. Per contro non sussiste una estensione minima al di sotto della quale non sia possibile far valere il diritto del confinante” (Cass. 2505 del 2002).

Ed ancora: “In tema di diritto di prelazione e riscatto agrario, e con riguardo alla destinazione agricola del fondo rustico, per il riconoscimento del suddetto diritto si richiede ed è sufficiente l’esistenza di un fondo rustico ove destinato e suscettibile di un’attività di natura agraria, senza che sia rilevante nè la sua estensione, nè che nell’attualità esso sia o no coltivato.

Pertanto, il diritto di prelazione del coltivatore (proprietario del terreno confinante) resta precluso soltanto nel caso che siano accertate dimensioni del fondo talmente esigue da escludere ogni possibilità di coltivazione, ovvero sia accertata l’irreversibile perdita dell’attitudine alla coltivazione agricola in conseguenza dell’effettiva trasformazione del suolo coltivabile”. (Cass. 2 febbraio 1995 n. 1244).

Sotto altro profilo, deve precisarsi che la domanda di riscatto per una parte del fondo può essere accolta, in tutti i casi in cui lo scorporo della porzione di terreno, oggetto della prelazione (e del riscatto), non pregiudichi notevolmente la possibilità di coltivazione del fondo unitariamente considerato ovvero – per identità di ratio – non comporti l’imposizione, sulle restanti parti, di servitù ed oneri reali, tali da comprometterne l’esclusività del godimento e menomarne il valore di scambio (Cass. 22 gennaio 2004 n. 1103, luglio 1988, n. 4659. Sempre nella stessa ottica, altresì, Cass. Cass. 2 febbraio 1995, n. 1244, nonchè Cass. 17 luglio 1991, n. 7948).

Nessuna di queste ipotesi è stata, in concreto, dimostrata dagli attuali ricorrenti.

La questione di legittimità proposta con questo motivo appare, oltre che mal posta, manifestamente infondata.

E’ manifestamente infondata la questione della legittimità costituzionale, per la pretesa violazione dell’art. 3 Cost., della L. n. 590 del 1965, artt. 8 e 31 e della L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7, nella parte in cui tali disposizioni preferiscono, senza indicazione della estensione minima del fondo agricolo, la posizione del coltivatore confinante ovvero di quello insediato sul fondo a quello del terzo – non coltivatore diretto e non confinante – tale regolamentazione è coerente alla finalità della legge, che è quella di promuovere ed agevolare la proprietà contadina, facendo coincidere la proprietà del fondo e la titolarità dell’azienda in capo al coltivatore diretto già impegnato sul fondo o confinante (v.

Cass. 5863/81, 1697/81, 4804/79).

Tali disposizioni lungi dal contrastare con i criteri che presiedono al razionale sfruttamento del suolo, agli obblighi e vincoli della proprietà terriera privata ed ai limiti della sua estensione, si pongono nel sistema, come dirette a tutelare la piccola e media proprietà, integrando le altre disposizioni che perseguono gli stessi scopi, sia pure con diversa accentuazione, e sono dunque in perfetto bilanciamento con i principi costituzionali indicati dai ricorrenti, di libertà economica e di proprietà privata.

Conclusivamente il ricorso principale deve essere rigettato.

Può ora procedersi all’esame del ricorso incidentale, proposto tempestivamente da T.F. e S.A., entrambi genitori di uno degli acquirenti, T.S..

Il primo motivo riproduce sostanzialmente le censure formulate dai ricorrenti principali, in ordine alle quali si è già detto.

Con il secondo motivo, invece, i ricorrenti incidentali denunciano violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per omessa, contraddittoria, erronea motivazione circa un punto decisivo della controversia, nonchè per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 2697 c.c. e dell’art. 112 c.p.c. (configurante error in procedendo).

I giudici di appello – ad avviso dei ricorrenti incidentali – avrebbero negato la qualità di coltivatori diretti di T. F. e S.A., riportando integralmente la tesi sostenuta dall’appellante G., senza nemmeno prendere in considerazione i documenti prodotti nel giudizio di primo grado.

Donde i vizi di violazione di norme di legge e di motivazione denunciati.

Le censure non colgono nel segno.

La Corte territoriale, infatti, ha preso in considerazione il contratto di affitto ed ha concluso – sulla base della disposta consulenza tecnica di ufficio – che l’apparente firma ” Gi.

G.” doveva considerarsi falsa, al pari del timbro di annullamento apposto sulla missiva contenente tale contratto, recante la data “(OMISSIS)”.

Rilevato che tutti questi documenti non potevano esser presi in considerazione, proprio per la loro materiale falsità, la Corte di merito ha aggiunto che le deposizioni testimoniali raccolte nel giudizio erano così contraddittorie tra di loro, che le stesse, da sole, non consentivano di giungere ad una decisione.

Pertanto, non restava alla Corte che far ricorso alla prova logica.

Sotto tale profilo, era addirittura circostanza “inverosimile” che i venditori del fondo, che avevano appena liberato lo stesso con una transazione del (OMISSIS), dai vecchi coloni, G.P. e figli, pagando un caro prezzo, avessero deciso di darlo immediatamente in affitto con un contratto concluso ad appena quattordici giorni di distanza dall’avvenuta transazione.

Questa illogicità, hanno sottolineato i giudici di appello, trovava ulteriore conferma nella prova documentale e nella dimostrata falsità del contratto di affitto.

Inoltre, all’atto della vendita del fondo, i venditori avevano espressamente dichiarato che lo stesso era libero, e di immettere i compratori nel materiale possesso dei due acquirenti alla data della stipula.

I due ricorrenti incidentali sottolineano, proprio per confutare le conclusioni raggiunte dai giudici di appello, che la transazione – intervenuta tra i proprietari del fondo ed i coloni – non aveva affatto ad oggetto la piccola porzione di terreno per cui è causa, ma una ben più ampia superficie, che comprendeva anche un grosso fabbricato.

Si tratta, tuttavia, di argomenti che non valgono a scalfire il ragionamento formulato dai giudici di appello, già esaminati e non ritenuti decisivi dagli stessi giudici, con motivazione incensurabile in questa sede.

Le conclusioni implicite contenute nella decisione della Corte territoriale sono nel senso che il retratto proposto dai coniugi T.- S. (come del resto suggerisce la difesa del G.) costituisse solo un mezzo pretestuoso e strumentale – attuato, tra l’altro, attraverso la creazione di documenti rivelatisi completamente falsi – per evitare le conseguenze del retratto legittimo svolto dallo stesso G., coltivatore diretto e confinante.

La denuncia di violazione di norme e di legge e di vizi della motivazione, in questa prospettiva, finisce per sollecitare a questa Corte una diversa lettura delle risultanze processuali, inammissibile in questa sede.

Conclusivamente i due ricorsi devono essere rigettati.

Sussistono giusti motivi, in considerazione delle alterne vicende della causa, per disporre la integrale compensazione delle spese del presente giudizio tra tutte le parti.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta.

Compensa le spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010

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