Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 913 del 17/01/2017

Cassazione civile, sez. III, 17/01/2017, (ud. 15/07/2016, dep.17/01/2017),  n. 913

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25696/2014 proposto da:

N.A., C.L., P.P., considerati domiciliati ex

lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato ENNIO GRASSINI, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4258/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/07/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato FRANCESCO D’ANGELO per delega;

udito l’Avvocato ETTORE FIGLIOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS Luisa, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p.1. I dottori C.L., N.A. e P.P. hanno proposto ricorso per cassazione contro la Presidenza del Consiglio dei ministri avverso la sentenza del 26 luglio 2013, con cui la Corte di Appello di Roma ha rigettato l’appello, da essi proposto avverso la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Roma nell’aprile del 2007, che aveva rigettato la domanda da loro introdotta per ottenere, per estensione della disciplina del D.Lgs. n. 257 del 1991, oppure in via risarcitoria, il riconoscimento dell’adeguata remunerazione, in relazione alla frequenza di corsi di specializzazione medica nella situazione di inadempimento statuale dell’obbligo di recepimento della direttiva comunitarie 362/75, 363/75 e 82/76, adempiute tardivamente dallo Stato Italiano con il citato D.Lgs. n. 257 del 1991, senza che fosse considerata la loro posizione.

p.2. Al ricorso, fondato su tre motivi, ha resistito l’intimata con controricorso.

p.3. I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.1. In via preliminare si rileva che la sentenza impugnata è stata resa anche nei confronti di altro medico, la Dott.ssa Z.M. e che nei suoi confronti il ricorso non è stato notificato.

Tuttavia, essendo essa litisconsorte facoltativa nel giudizio ed essendo applicabile, in conseguenza, l’art. 332 c.p.c., si rileva che non si deve far luogo all’ordine di notificazione dell’impugnazione ai sensi di tale norma, essendo ormai l’impugnazione per essa preclusa.

p.2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia “mancata valutazione di prova documentale offerta. Error in procedendo. Art. 360 c.p.c., n. 4”.

Vi si lamenta che erroneamente la Corte territoriale avrebbe affermato che i ricorrenti avevano “nell’atto di citazione, (…) omesso di specificare i corsi specialistici post-universitari da loro singolarmente seguiti e le rispettive durate, limitandosi a depositare, nel corso del giudizio di primo grado, dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, circa i corsi universitari di formazione frequentati – il Dott. C. in radiodiagnostica, il Dott. P. in pediatria preventiva e puericultura, il Dott. N. in urologia – e relativamente alla data di conseguimento del diploma di specializzazione”, per poi desumerne la conseguenza che tale documentazione, in quanto di provenienza unilaterale, era inidonea a dimostrare il diritto fatto valere.

Al contrario, secondo i ricorrenti, nel fascicolo di primo grado, al punto 4, risultavano prodotti certificati di specializzazione rilasciati dall’Università di (OMISSIS), da cui risultava il corso di specializzazione frequentato e la data di conseguimento del diploma.

p.1.1. Il motivo, al di là della mancata indicazione della norma del procedimento che sarebbe stata violata, è privo di fondamento.

Lo è in primo luogo, perchè si fonda su allegazioni inidonee a giustificare la conseguenza che dei documenti la Corte territoriale dovesse tenere conto.

Infatti, si omette di indicare se e dove i documenti erano stati prodotti in appello, eventualmente tramite la produzione del fascicolo di primo grado, sì da far sorgere l’obbligo della corte territoriale di esaminarli: ci si limita, invero, ad indicare la presenza e la localizzazione dei documenti nel fascicolo di primo grado, che si dichiara “ritualmente depositato nel presente giudizio” (peraltro senza dire dove, mentre in chiusura del ricorso si dice prodotto solo il fascicolo di grado di appello, senza specificare se in esso vi sia quello di primo grado), ma nulla si dice sulle modalità della produzione dei documenti in appello, atteso che non si dice che il fascicolo di parte di primo grado era stato ivi prodotto.

In tal modo, le allegazioni illustrative del motivo non contengono l’affermazione necessaria del se e del come i documenti erano stati prodotti in appello e, pertanto, il motivo difetta della necessaria deduzione giustificativa che essi dovessero esaminasi dal giudice d’appello.

p.1.2. Peraltro, ferma la decisività del rilievo, si prospetta un’omessa valutazione di detti documenti che, di fronte all’affermazione della sentenza impugnata dell’essersi i qui ricorrenti limitati a depositare le autocertificazioni, integrerebbe la denuncia di un errore di fatto, cioè l’affermazione dell’essere stati depositati soltanto quei documenti e non altri, che l’esistenza delle produzioni dei certificati smentiva.

La denuncia di tale errore di fatto, precisamente concernente l’affermazione da parte della sentenza impugnata di un fatto rilevante sul piano processuale, contrario a quanto invece risultava, avrebbe dovuto effettuarsi con il mezzo della revocazione ordinaria ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4. Sicchè, il motivo, se non fosse carente nel senso prima indicato, sarebbe inammissibile per l’ora detta ragione.

p.2. Con un secondo motivo si prospetta “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., art. 167 c.p.c., 116 c.p.c., D.P.R. n. 445 del 2000, artt. 46, 47, 48 e 76, in relazione al valore probatorio attribuito alle prodotte autocertificazioni”.

Il motivo – che, in realtà, non discute, se non nella parte finale ed in modo assolutamente generico, come si dirà, del valore probatorio delle autocertificazioni, ma si duole che la corte territoriale, in applicazione dell’art. 115 c.p.c., non abbia ritenuto incontestati i fatti da esse risultanti, dando rilievo come atteggiamento di contestazione alla mera richiesta di rigetto della domanda ed escludendo che il loro contenuto dovesse essere oggetto di contestazione specifica – è inammissibile perchè omette, sia di individuare, riproducendolo direttamente o indicandolo riassuntivamente, il contenuto delle autocertificazioni, nonchè di indicare se e dove esse sarebbero esaminabili in questo giudizio di legittimità (ove prodotte), sia di indicare, riproducendolo direttamente o riassuntivamente, con indicazione della parte dell’atto in cui l’indiretta riproduzione troverebbe riscontro, il contenuto dell’atteggiamento dell’Amministrazione, che avrebbe assunto il carattere della non contestazione, nonchè, anche in tal caso, di indicare se e dove l’atto sarebbe esaminabile, in quanto prodotto, in questo giudizio di legittimità.

Ne risulta la manifesta violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, che imponeva dette indicazioni.

Si aggiunga che l’illustrazione del motivo – per discutere le argomentazioni che ha svolto la sentenza impugnata sul principio di non contestazione nel rito ordinario in relazione all’art. 167 c.p.c., evocando Cass. Sez. Un. n. 761 del 2002 – fa riferimento all’art. 115 c.p.c., nel contenuto risultante dalla sostituzione operata dalla L. n. 69 del 2009, che, invece, non è applicabile al giudizio ai sensi dell’art. 58, comma 1, della stessa legge.

Quanto, poi, alla rivendicazione, nella parte finale dell’illustrazione, di un valore probatorio dell’autocertificazione, l’assoluta genericità della prospettazione, che si risolve nell’evocare i contenuti del D.P.R. n. 445 del 2000, artt. 46 e 47, esime da ogni ulteriore rilievo, che non sia un rinvio alla espressa esclusione di detto valore, fatta proprio da Cass. sez. un. n. 12065 del 2014, evocata nel motivo a proposito invece della conseguenze desumibili in relazione alla produzione di una autocertificazione alla stregua dell’art. 115 c.p.c., nel testo inapplicabile al giudizio.

p.3. Con un terzo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c. e art. 101 Cost., comma 2, in relazione alla L. 22 maggio 1978, n. 217” e si sostiene, in modo oggettivamente subordinato ai primi due motivi, che in ogni caso la Corte territoriale avrebbe potuto ricavare la durata dei corsi di specializzazione frequentati dai medici ricorrenti dalla normativa di cui all’allegato D della L. n. 217 del 1978, tanto più tenuto conto che, a proposito della consorte di lite Dott.ssa Z., la stessa Corte aveva espressamente mostrato di ben conoscere quella normativa.

La censura riguarda la motivazione della sentenza impugnata là dove ha affermato che “d’altra parte, la mancata tempestiva produzione dei singoli certificati di durata dei corsi di specializzazione (allegati tardivamente ex art. 345 c.p.c., dai medici interessati solo in comparsa conclusionale, in fase di appello) preclude in radice, nel merito, qualsiasi indagine o verifica documentale da parte del Collegio”.

Motivazione questa, enunciata dalla corte capitolina con chiaro riferimento alla dimostrazione della durata dei corsi di specializzazione, tenuto conto che: a) nel capoverso immediatamente precedente, la sentenza, nell’escludere che l’atteggiamento dell’Amministrazione potesse giustificare l’applicazione del principio di non contestazione, lo ha fatto non già con riferimento alla stessa frequenza del corso, cioè al dato che i ricorrenti avessero frequentato il corso e conseguito la specializzazione, bensì con un espresso riferimento alla “durata dei rispettivi corsi di specializzazione”; b) la stessa esclusione del valore probatorio delle autocertificazioni, alla luce della precisazione ora detta, deve, in mancanza di espresse affermazioni in senso contrario, reputarsi inerire al problema della durata dei corsi.

Una volta che si tenga conto di quanto appena detto, cioè che la motivazione di rigetto non ha riguardato la mancata dimostrazione della frequenza del corso e della consecuzione del diploma (conclusione che, del resto, nella precedente motivazione della sentenza non trova smentita, nel senso che in essa – pur asserendosi che nell’atto di citazione i medici avevano omesso di specificare i corsi seguiti e le rispettive durate e che avevano poi prodotto le autocertificazioni, il cui valore probatorio è stato negato – non si dice in alcun modo che fosse insorta contesa sul fatto della frequenza dei corsi), la censura appare fondata.

L’allegato D della L. n. 217 del 1978 (legge abrogata dal D.L. n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 133 del 2008), infatti, nel quadro di una legge intitolata al “diritto di stabilimento e libera prestazione dei servizi da parte dei medici cittadini di Stati membri della Comunità Europee”, prescriveva la durata minima dei corsi di specializzazione e, in relazione alla tipologia di corso frequentato dai ricorrenti, la corte territoriale avrebbe dovuto e potuto fare ad essa riferimento, atteso che la prescrizione aveva contenuto vincolante.

La replica della resistente che comunque, in relazione al disposto della L. n. 217 del 1978, art. 14, si sarebbe dovuto far constare da parte dei ricorrenti, che all’epoca di frequentazione del corso di specializzazione l’adeguamento da parte degli atenei fosse avvenuto, evoca una norma che, nel prevedere che gli statuti potessero essere modificati anche ove non fossero trascorsi tre anni da precedenti modificazioni, implicava al contrario che la modifica dovesse avvenire subito (e tra l’altro secondi i procedimenti all’epoca applicabili in relazione allo status delle università anteriore alla L. n. 168 del 1989). E’, dunque, deduzione priva di idoneità a impedire l’accoglimento del motivo.

Lo si osserva non senza che debba, comunque, anche rilevarsi che ai medici specializzandi in subiecta materia incombeva l’onere di dimostrare di avere frequentato un corso di specializzazione nella situazione di mancata attuazione statuale delle note direttive e non le concrete modalità di svolgimento del corso (Cass. n. 23577 del 2011 e 17068 del 2013).

Dunque, nella situazione di mancata contestazione della frequenza dei corsi e di contestazione solo della durata, che si è detto emergere dalla sentenza impugnata, erroneamente la corte romana ha desunto che la domanda non poteva essere accolta, astenendosi dal fare riferimento al detto allegato D, che è stato abrogato ben dopo la fine della frequenza dei corsi di specializzazione da parte dei ricorrenti.

Ne discende la cassazione della sentenza impugnata nel rapporto processuale fra i ricorrenti e la resistente.

Nel giudizio di rinvio la corte romana, che si designa in diversa sezione ed in diversa composizione, nel desumere la durata dei corsi dovrà tenere conto del citato allegato D.

Al giudice di rinvio è rimesso il regolamento delle spese del giudizio d cassazione.

PQM

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il secondo. Accoglie il terzo motivo e cassa la sentenza impugnata in relazione. Rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 15 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2017

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