Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9129 del 01/04/2021

Cassazione civile sez. III, 01/04/2021, (ud. 22/09/2020, dep. 01/04/2021), n.9129

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36793/2018 proposto da:

C.A.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA,

71, presso lo studio dell’avvocato WALTER FELICIANI, rappresentata e

difesa dall’avvocato RICCARDO LEONARDI;

– ricorrente –

contro

B.L., e S.G., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA FLAMINIA N. 135, presso lo studio dell’avvocato MARCO

MORETTI, rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONIO GAGLIARDI e

PAOLO COPPARI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1850/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 29/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/09/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.A.M. ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 1850/2018, del 29 agosto 2018, della Corte di Appello di Ancona, che – decidendo in sede di rinvio ex art. 622 c.p.p., a seguito di annullamento, ai soli effetti civili, della sentenza penale di proscioglimento per intervenuta oblazione – ha rigettato la sua domanda risarcitoria in relazione ad alcuni episodi di molestia e disturbo subiti, la cui responsabilità l’odierna ricorrente addebita a S.G. e B.L., ponendo, inoltre, a carico dell’attrice anche le spese del grado di giudizio.

In punto di fatto, la ricorrente riferisce di aver subito, nel corso del (OMISSIS), molestia e disturbo a causa dei rumori, fastidi e dispetti derivanti dagli atteggiamenti invasivi della propria sfera privata, dalle provocazioni e aggressioni verbali nonchè dai comportamenti sgradevoli, incivili e irrispettosi ripetutamente posti in essere, a suo dire, dai predetti S. e B., residenti al primo piano dell’edificio in cui, al tempo, viveva anche la C..

In relazione a tali episodi, il Tribunale di Ancona emetteva decreto penale di condanna a carico della B. e dello S., provvedimento dai medesimi opposto con contestuale domanda di giudizio immediato. All’udienza fissata il difensore degli imputati presentava istanza di ammissione all’oblazione ex art. 162-bis c.p.. Il giudice, nonostante la costituita parte civile avesse eccepito la tardività della domanda di oblazione, accoglieva l’istanza e, effettuato il pagamento, pronunciava sentenza di non doversi procedere per intervenuta oblazione.

Avverso tale decisione ricorreva per cassazione la parte civile lamentando la violazione di legge nonchè l’abnormità del provvedimento con cui il giudice aveva ammesso l’imputata all’oblazione. Questa Corte, con sentenza n. 749/2014, annullava la sentenza impugnata ai soli effetti civili, rinviando per un nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

La C. riassumeva, ex art. 392 c.p.c. e art. 622 c.p.p., il giudizio agli effetti civili davanti alla Corte d’Appello civile di Ancona, chiedendo la condanna dei coniugi S. e B. al risarcimento dei danni subiti per effetto dell’illecito penale, nonchè al pagamento delle spese legali in relazione al giudizio di primo grado e a quello di legittimità.

La Corte territoriale ha rigettato la domanda risarcitoria proposta, ritenendo che dagli atti del procedimento penale non fosse emersa la prova della commissione da parte dei convenuti delle condotte loro ascritte in sede penale, individuate quale fonte dell’obbligazione risarcitoria fatta valere dall’attrice.

3. La B. e lo S. hanno resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità, ovvero il rigetto.

4. Entrambe le parti hanno depositato memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Impugna la sentenza della Corte marchigiana la C., come detto, sulla base di quattro motivi.

5.1. Con il primo motivo – proposto a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – deduce la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), in punto di vizio motivazionale assoluto (motivazione apparente) quanto al rigetto della domanda di risarcimento del danno da reato.

Censura la sentenza impugnata nella parte in cui si è limitata ad “affermare l’assenza di elementi atti a comprovare la condotta contravvenzionale addebitata all’imputata, senza nulla motivare sulle ragioni per cui abbia ritenuto di disattendere gli atti presenti all’interno del fascicolo penale”. Secondo la ricorrente, la Corte territoriale avrebbe omesso ogni apprezzamento critico delle risultanze istruttorie, sì da rendere incomprensibili te ragioni poste alla base della formazione del proprio convincimento.

5.2. Con il secondo motivo – proposto a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. e art. 116 c.p.c., avendo il giudice disatteso delle prove legali, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento.

Con riguardo alla violazione dell’art. 2729 c.c., censura la sentenza impugnata laddove ha disatteso “in nuce” gli elementi indiziari disponibili, non attribuendo loro il “giusto peso”, in termini di gravità, precisione e concordanza e omettendo di valutarli globalmente insieme agli altri documenti allegati all’atto di citazione in riassunzione.

Con riferimento alla violazione dell’art. 116 c.p.c., osserva che l’offerta di oblazione, avendo la stessa natura del rito speciale di cui all’art. 444 c.p.p., rappresenterebbe una sorta di atto di riconoscimento, da parte dell’imputato, della propria reità, con la conseguenza che il giudice di merito avrebbe dovuto riconoscere la sussistenza di tutti gli elementi costituivi dell’illecito contravvenzionale di cui all’art. 660 c.p..

5.3. Con il terzo motivo – proposto alternativamente a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) oppure art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – deduce la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), oppure omesso esame circa un fatto decisivo e discusso tra le parti, in punto di mancata motivazione sul rigetto implicito dell’istanza di ammissione della CTU medico-legale, ritualmente richiesta per la quantificazione del danno lamentato.

5.4. Con il quarto motivo – proposto a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – deduce la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., per vizio di infrapetizione, avendo il giudice omesso di pronunciare sul pagamento delle spese legali relative al giudizio di primo grado avanti al Tribunale penale di Ancona, sezione distaccata di Osimo, e a quello di legittimità.

6. I motivi di ricorso, da scrutinarsi congiuntamente dato la loro connessione, sono fondati, per quanto di ragione.

6.1. La Corte territoriale si è effettivamente limitata a dare atto, come dedotto dalla ricorrente, dello svolgimento del processo penale senza effettuare alcuna valutazione autonoma ed analitica degli elementi probatori disponibili, dal momento che della stessa non si dà conto nell’impianto motivazionale della sentenza impugnata, se non con un’espressione estremamente concisa (“senza che dagli atti del procedimento penale risulti la prova della commissione da parte della convenuta stessa delle condotte a lei ascritte in sede penale, individuate quale fonte dell’obbligazione risarcitoria fatta valere dalla C.”, p. 3 sentenza).

6.2. Ciò detto, occorre ribadire quanto da questa Corte ancora recentemente osservato, ovvero che “il giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., costituisce solo formalmente una mera prosecuzione del processo penale, trattandosi, viceversa, di una sostanziale transiatio iudicii dinanzi al giudice civile, con la conseguenza che rimane del tutto estranea all’assetto del giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., la possibilità di applicazione di criteri e regole probatorie, processuali e sostanziali, tipiche della fase penale esauritasi a seguito della pronuncia emessa dalla Corte di cassazione penale ai sensi dell’art. 622 c.p.p., mentre deve ritenersi imposta l’applicazione dei criteri e delle regole probatorie, processuali e sostanziali, proprie del giudizio civile”. (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 25 giugno 2019, n. 16916, Rv. 654433-01).

Con la regola posta all’art. 622 c.p.p. (ai sensi del quale, “fermi gli effetti penali della sentenza, la Corte di cassazione, se ne annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l’azione civile ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell’imputato, rinvia quando occorre al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche se l’annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile”), il legislatore processuale ha delineato un sistema in cui, venuta meno ogni possibilità di contestazione in ordine ai capi penali, non ricorrono più quelle ragioni che avevano originariamente giustificato, a seguito della costituzione di parte civile, il “sacrificio” dell’azione civile alle ragioni dell’accertamento penale.

Così il legislatore ha significativamente optato per il ritorno dell’azione civile alla sede sua propria, disponendo una forma di “rinvio” – quello di cui all’art. 622 c.p.p. – la cui natura, tuttavia, evoca solo formalmente (attesane l’infungibilità lessicale) i principi propri di quel giudizio, ma che non può in alcun modo configurarsi alla stregua di una “prosecuzione” del processo penale, visto che ogni interesse penalistico deve ritenersi ormai definitivamente dissolto. Si è, per contro, in presenza di giudizio autonomo (sebbene “sui generis”), sia in senso strutturale che funzionale, essendosi realizzata la definitiva scissione tra le materie sottoposte al vaglio dell’autorità giudiziaria, mediante la restituzione dell’azione civile, con il giudizio di “rinvio” che più opportunamente andrebbe definito di rimessione – all’organo giudiziario cui essa appartiene naturalmente.

Il giudizio “de quo”, pertanto, solo formalmente costituisce una prosecuzione di quello penale, attesa la sopravvenuta impossibilità di rinvenire – una volta esauritasi definitivamente ogni questione riguardante il preliminare accertamento in concreto di un reato (in quanto tale) – alcuna giustificazione a fondamento delle deroghe alle modalità di istruzione e di accertamento proprie dell’azione civile.

Trattandosi, dunque, di una sostanziale, definitiva ed integrale “translatio iudicii” dinanzi al giudice civile, la funzione della pronuncia resa dalla Cassazione penale ex art. 622 c.p.p., al di là della restituzione dell’azione civile all’organo giudiziario a cui essa “naturaliter” appartiene, è limitata al trasferimento della competenza funzionale dal giudice penale a quello civile, essendo propriamente rimessa in discussione la “res in iudicium deducta”, nella specie costituita da una situazione soggettiva ed oggettiva del tutto autonoma (il fatto illecito) rispetto a quella posta a fondamento della doverosa comminatoria della sanzione penale (il reato), attesa la limitata condivisione, tra l’interesse civilistico e quello penalistico, del solo punto in comune del “fatto” (e non della sua qualificazione), quale presupposto del diritto al risarcimento, da un lato, e del dovere di punire, dall’altro.

6.3. Tanto chiarito, appare, inoltre, opportuno ribadire quali siano i limiti processuali imposti, anche in questo caso, dalla natura c.d. “chiusa” del giudizio di rinvio ex art. 394 c.p.c., comma 3.

La morfologia di tale giudizio, ricostruita in termini di autonomia strutturale e funzionale rispetto al processo penale ormai conclusosi, consente di ritenere legittima, oltre alla possibilità di formulazione di nuove conclusioni sorte in conseguenza di quanto rilevato dalla sentenza di cassazione penale, anche la “emendatio” della domanda ai fini della prospettazione degli elementi costitutivi dell’illecito civile, sia pur nei limiti del sistema generale delle preclusioni fissato dall’art. 183 c.p.c., alla luce dell’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. Un, sent. 15 giugno 2015 n. 12310). La sola “emendatio” della domanda è, infatti, oggetto di legittima formulazione dalla parte, e di altrettanto legittimo esame da parte del giudice, stante la disciplina del codice di rito penale che, con riferimento alle formalità della costituzione di parte civile, impone modalità contenutistiche e formali sostanzialmente omologhe a quelle previste dal codice di rito civile per il contenuto della citazione. Difatti, analogamente a quanto si legge all’art. 163 c.p.c., comma 3, n. 4), nel codice di rito penale viene previsto sia che la dichiarazione di costituzione contenga, tra l’altro, “l’esposizione delle ragioni che giustificano la domanda” (art. 78 c.p.p., comma 1, lett. d)), sia che la citazione del responsabile civile contenga la specifica “indicazione delle domande che si fanno valere” nei suoi confronti (art. 83, comma 3, lett. b). Pertanto, da un verso, si prevede la precisazione della “causa petendi” al momento della costituzione di parte civile, dall’altro si sancisce l’obbligo per la parte civile di precisare il “petitum” depositando conclusioni scritte comprendenti, se è richiesto il risarcimento, anche la determinazione del suo ammontare (art. 523 c.p.p., comma 2).

6.4. In conclusione, pur nella sostanziale consonanza delle regole di enunciazione del “principio di diritto” (nel sistema processuale penale e civile) indirizzate al giudice del rinvio perchè ad esse si uniformi (art. 173 disp. att. c.p.p., comma 2 e art. 384 c.p.c.), esse, tuttavia, presuppongono che di vero e proprio giudizio di rinvio si tratti, e non risultano applicabili allorquando, come nella specie, l’azione civile si sia ormai affrancata dal giudizio penale in ragione della scissione determinatasi a seguito della valutazione compiuta dal giudice penale che, chiusa la fase penale e “fermi gli effetti penali della sentenza”, rimette ai soli effetti civili la cognizione del giudice civile competente in grado di appello.

Sul piano dell’accertamento del nesso causale, ad esempio, ciò fa sì che, riassunto il processo nella sede civile, il giudice di rinvio non sia affatto vincolato, nella ricostruzione del fatto, a quanto accertato dal giudice penale: se, tecnicamente, il giudizio di rinvio è regolato dagli artt. 392-394 c.p.c., è del tutto evidente che non è per questo in alcun modo ipotizzabile un vincolo come quello che consegue all’enunciazione di un principio di diritto ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, da parte di questa Corte: con conseguente dovere del giudice civile, nella (libera) ricostruzione dei fatti e nella loro (libera) valutazione, di applicare del criterio civilistico del “più probabile che non” nella valutazione del nesso causale, in luogo di quello tipico del processo penale dell’alta probabilità logica, e con conseguente irrilevanza, sul piano processuale, dell’eventuale, contraria indicazione contenuta nella sentenza penale di rinvio ex art. 622 c.p.p..

6.5. Dalle argomentazioni che precedono deriva, conclusivamente, che:

a) il diritto al risarcimento del danno è un diritto etero-determinato, sicchè l’identificazione della domanda è conseguenza esclusiva dell’individuazione del relativo “petitum” e della relativa “causa petendi”, così come rappresentata dal danneggiato in sede di costituzione di parte civile;

b) i fatti costitutivi del diritto al risarcimento del danno prescindono dall’identificazione del fatto come reato;

c) all’esito della trasmigrazione del procedimento dalla sede penale, è diverso l’ambito entro il quale l’attività difensiva delle parti viene a svolgersi, dovendo le relative questioni essere trattate in base alla prospettazione del fatto sotto il profilo (non del reato, ma) dell’illecito civile ex art. 2043 c.c.;

d) all’esito del rinvio al giudice civile, il fatto perde la sua originaria connessione con il reato per riacquistare i caratteri dell’illecito civile, seguendo i canoni probatori propri di quel processo;

e) il giudice civile in sede di rinvio dovrà applicare, in tema di nesso causale, il canone probatorio del “più probabile che non” e non quello dell’alto grado di probabilità logica e di credenza razionale;

f) rispetto alla fattispecie di reato a condotta vincolata, nel giudizio civile possono essere fatte valere modalità di condotta diverse da quelle tipizzate dalla norma penale, e diversi titoli di responsabilità, che viceversa rilevino ai sensi degli artt. 2043 c.c. e segg.;

g) deve ritenersi legittima una diversa valutazione dell’elemento soggettivo dell’illecito ove nel processo penale si sia proceduto per un reato doloso per il quale la legge penale non preveda una speculare punibilità a titolo di colpa, e che la valutazione dell’elemento soggettivo colposo (ove, nel giudizio penale, si sia proceduto a tale titolo) è autonoma dalla nozione di colpa penale;

h) l’esistenza di una causa di non punibilità prevista dalla legge penale e riconosciuta in quel giudizio non ne preclude un’autonoma valutazione in sede civilistica;

i) nel giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., non è consentita l’utilizzazione, alla stregua di una testimonianza, delle dichiarazioni rese dalla parte civile sentita quale testimone nel corso del processo penale, dovendo viceversa trovare applicazione il principio di cui di cui all’art. 246 c.p.c., ai sensi del quale non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio.

6.6. Dall’autonomia strutturale e funzionale del giudizio di rinvio rispetto all’ormai concluso processo penale si ricava, dunque, la conseguenza che, fuori dei casi in cui il giudicato penale di piena assoluzione abbia una forte valenza e predominanza, il giudizio civile che segue ad un annullamento disposto dal giudice di legittimità in sede penale per accoglimento del ricorso della parte civile contro una sentenza di proscioglimento o di assoluzione non patisce alcun tipo di condizionamento, e pertanto si estende all’intera pretesa risarcitoria, sia per l’aspetto inerente al fondamento della stessa che per quello dell’eventuale determinazione dell’ammontare risarcitorio (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 15 ottobre 2019, n. 25917, Rv. 65537602; Cass. Sez. 3, sent. 12 giugno 2019, n. 15859, Rv. 654290-01; Cass. Sez. 1 Pen., sent. dep. 14 marzo 2013, n. 11994, Rv. 255447; Cass. Sez. 1 Pen. 19 settembre 2012, n. 35922, non massimata sul punto).

6.7. Ora, nel caso che qui occupa, alla luce dei principi appena illustrati, la Corte territoriale avrebbe effettivamente dovuto compiere una valutazione concreta, autonoma ed analitica degli elementi probatori disponibili; al contrario, essa si è limitata a constatare che dagli atti del procedimento penale non risulta la prova della commissione da parte della convenuta stessa delle condotte a lei ascritte in sede penale, individuate quale fonte dell’obbligazione risarcitoria fatta valere dalla C., senza chiarire quali atti siano stati oggetto di valutazione, secondo quali criteri e regole, se propri del processo penale o, al contrario, del processo civile, e per quali ragioni è giunta a tale conclusione, risolvendosi la parte motiva della decisione impugnata in espressioni assolutamente generiche e non univoche.

Le Sezioni Unite (Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01) hanno letto la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione, con conseguente denunciabilità in cassazione della sola “anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”.

Successivamente le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01) hanno ribadito che “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture”.

Nella stessa prospettiva si è affermato che “ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza”, sempre, evidentemente, “sotto il profilo del difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero quando indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 5 aprile 2016, n. 6539, non massimata; nonchè Cass. Sez. 6-5, ord. 7 aprile 2017, n. 9105, Rv. 643793-01).

Le caratteristiche appena descritte rendono la sentenza impugnata affetta da nullità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), in quanto corredata da motivazione solo apparente, non espressione di un autonomo processo deliberativo.

7. All’accoglimento del ricorso segue la cassazione, in relazione, della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, per quanto di ragione. Cassa, in relazione, la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione, perchè decida nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2021

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