Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9127 del 01/04/2021

Cassazione civile sez. III, 01/04/2021, (ud. 08/09/2020, dep. 01/04/2021), n.9127

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7252/2016 proposto da:

V.A., rappresentata e difesa dagli avvocati VINCENZA

MATACERA, ATTILIO MATACERA;

– ricorrenti –

e contro

VA.GE., F.G., B.M.;

– intimati –

nonchè da:

VA.GE., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA D. FONTANA, 12,

presso lo studio dell’avvocato GENNARO MARIA AMORUSO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SAVERIO DESTITO;

– ricorrenti incidentali –

e contro

F.G., B.M., V.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1134/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 15/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/09/2020 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

V.A., titolare della ditta individuale “Ippogrifo Sport One”, agiva in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni verificatisi nei propri locali commerciali a seguito dell’allagamento del soprastante appartamento, di proprietà del convenuto F.G.;

quest’ultimo si costituiva, eccependo che la domanda attorea doveva essere indirizzata nei confronti della ditta edile di Va.Ge., che aveva eseguito i lavori di ristrutturazione nell’immobile allagatosi. La V. veniva, dunque, autorizzata a convenire in giudizio anche il Va., del quale chiedeva la condanna al risarcimento dei danni in solido con il F.. Va.Ge., titolare dell’omonima impresa edile, si difendeva affermando che l’allagamento fosse invece da imputare a B.M., idraulico cui il F. aveva commissionato l’esecuzione di alcuni lavori. Anche il B. si costituiva in giudizio, contestando tutte le domande proposte nei suoi confronti;

il Tribunale di Catanzaro – sezione distaccata di Chiaravalle Centrale accoglieva la domanda della V. nei confronti del Va. e respingeva quella di garanzia spiegata dal F. nei confronti del B.;

la sentenza veniva appellata in via principale dal F.; si costituivano in giudizio il Va., che proponeva appello incidentale e il B.;

parallelamente, Va.Ge. impugnava in via principale la medesima sentenza di primo grado, svolgendo sostanzialmente le medesime censure già interposte in via incidentale nel giudizio d’appello promosso dal F.. Si costituivano in tale giudizio il F., il B. e anche la V., che chiedeva il rigetto dall’appello del Va. e, in subordine, la condanna al risarcimento del soggetto che sarebbe stato riconosciuto come responsabile all’esito del giudizio;

riuniti i giudizi, la Corte d’Appello di Catanzaro qualificava la comparsa di risposta in appello della V. come appello incidentale e lo dichiarava inammissibile perchè tardivo. Dichiarava, parimenti, inammissibile, perchè nuova, la domanda proposta dalla V. nei confronti del B.. Accoglieva l’appello proposto dal Va., ritenendo che l’attrice non avesse fornito la prova certa della responsabilità dell’appellante nella causazione dell’allagamento. Rigettava l’impugnazione proposta dal F., relativa alle sole spese processuali;

avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la V., per cinque motivi. Il Va. ha resistito con controricorso. Nessuna attività difensiva è stata svolta dagli altri intimati;

con una prima ordinanza interlocutoria del 31 ottobre 2018 questa Corte ha disposto l’acquisizione del fascicolo d’ufficio del giudizio svoltosi innanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro, al fine di verificare se la fissazione della prima udienza di trattazione in data 4 marzo 2008 fosse avvenuta in base all’art. 168-bis c.p.c., comma 4, a mente del quale “la comparizione delle parti è d’ufficio rimandata all’udienza immediatamente successiva tenuta dal giudice designato”, ovvero in forza di un provvedimento di differimento disposto ai sensi del comma 5 del medesimo articolo;

dall’esame del fascicolo d’ufficio non è emersa la presenza del provvedimento di differimento indicato dalla ricorrente. Tuttavia, il biglietto di cancelleria del 31 ottobre 2007 (all. n. 6) con il quale è stata comunicata la data della udienza di prima comparizione (4 marzo 2008) recava la dicitura “Comunicazione nuova udienza”;

pertanto, con nuova ordinanza interlocutoria (Cass. 10/08/2019, n. 21314) sono state richieste informazioni sul punto alla Cancelleria della Corte d’Appello di Catanzaro per conoscere se il biglietto di cancelleria del 31 ottobre 2007, recante come oggetto “Comunicazione nuova udienza “, si riferisse alla comunicazione della prima udienza di comparizione fissata ai sensi dell’art. 168-bis c.p.c., comma 4, ovvero presupponesse un provvedimento presidenziale di differimento ai sensi del comma 5 dello stesso articolo;

all’esito delle acquisizioni è stata fissata l’odierna udienza camerale. Va.Ge. deposita memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, la ricorrente denuncia la nullità della sentenza – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – per violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost. e degli artt. 101, 183 e 359 c.p.c., ravvisabile allorchè la Corte d’Appello ha deciso di porre a fondamento della decisione d’inammissibilità una questione rilevata d’ufficio (la tardività dell’appello incidentale), senza assegnare alle parti di termini per prendere posizione sul punto;

il motivo è infondato, dovendosi dare continuità all’orientamento di questa Corte che esclude l’applicabilità della norma invocata dalla ricorrente alle questioni in rito rilevabili d’ufficio o relative alla tardività del gravame. Infatti, “il divieto della decisione sulla base di argomenti non sottoposti al previo contraddittorio delle parti non si applica alle questioni di rito relative a requisiti di ammissibilità della domanda previsti da norme la cui violazione è rilevabile in ogni stato e grado del processo, senza che tale esito processuale integri una violazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, il quale – nell’interpretazione data dalla Corte Europea – ammette che il contraddittorio non venga previamente suscitato quando si tratti di questioni di rito che la parte, dotata di una minima diligenza processuale, avrebbe potuto e dovuto attendersi o prefigurarsi” (Cass. n. 15019 del 21/07/2016-Rv. 641276-01, ed altre successive, Cass. n. 11738 del 15/05/2018 e Cass. n. 26525 del 19/10/2018 – Rv. 650843-01);

con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 166,167,168-bis e 343 c.p.c.. In particolare, la V. lamenta che la mancata concessione del termine per contraddire di cui al precedente motivo le avrebbe impedito di dedurre che:

– nel giudizio di appello promosso dal F. (n. 1297/2007 R.G.), che lamentava la mancata condanna alle spese con riferimento al rapporto tra il Va. e il B., ella non era stata citata e non aveva alcun onere di costituirsi;

– nel giudizio di appello promosso dal Va. (n. 1325/2007 R.G.), riguardante specificatamente la sua posizione, l’udienza di comparizione era stata fissata al 4 marzo 2008, così come da rinvio disposto ex art. 168-bis c.p.c., comma 5, come attestato da biglietto di cancelleria del 31 ottobre 2007;

– pertanto, la costituzione in questo secondo giudizio, depositata in data 13 febbraio 2008 (anno bisestile) sarebbe stata tempestiva;

in particolare, la ricorrente deduce che l’errore in cui sarebbe caduta la Corte d’Appello, che essa non potè evidenziare, a causa dell’omessa assegnazione di un termine per dedurre sul punto, consisteva nell’aver ritenuto che il rinvio dell’udienza di prima comparizione sarebbe stato disposto ai sensi dell’art. 168-bis c.p.c., comma 4, anzichè del comma 5, come effettivamente è avvenuto;

rileva questa Corte che la Cancelleria della Corte d’Appello di Catanzaro, con nota del 2 settembre 2019, ha fatto presente che “allo stato non è possibile fornire detti chiarimenti, in quanto le informazioni richieste attengono ad atti contenuti esclusivamente l’incarto processuale cartaceo, trasmesso a questa Corte in data 20 dicembre 2018. Detti dati, inoltre, non è possibile ricavarli neppure dal fascicolo telematico, essendo cronologicamente precedente all’entrata in vigore del pct”. Permane, pertanto, l’incertezza segnalata da questa Corte nell’ordinanza interlocutoria riguardo alla circostanza se il biglietto di cancelleria del 31 ottobre 2007, recante la comunicazione di nuova udienza, si riferisse a quella della prima udienza di comparizione fissata ai sensi dell’art. 168 bis c.p.c., comma 4, ovvero all’ipotesi prevista dal comma successivo, che presuppone, necessariamente, uno specifico provvedimento di differimento dell’udienza del quale, però, non è stato possibile reperire riscontro documentale;

in difetto di tale provvedimento, deve trovare applicazione il principio secondo cui il differimento del termine, ai sensi dell’art. 168-bis c.p.c., comma 5, per la tempestiva proposizione del gravame, nel caso in cui nel giorno fissato con l’atto di citazione il giudice non tenga udienza, non si applica ove il rinvio della prima udienza sia stato disposto direttamente dal Presidente di sezione, avendo la richiamata disposizione natura eccezionale e non essendo, pertanto, suscettibile di applicazione analogica (Cass. n. 8638 del 07/05/2020 e Cass. n. 28571 del 2013 – Rv. 629294). Pertanto, come nel caso esaminato da questa Corte nella decisione n. 8638,”l’acquisizione del fascicolo però ha evidenziato l’assenza di un formale provvedimento di differimento dell’udienza emesso ai sensi dell’art. 168 bis c.p.c., comma 5, risultando quindi che lo slittamento della data della prima udienza sia dipeso dalle ragioni invece contemplate dal comma precedente, il che rende evidente la tardività dell’appello incidentale, tardività il cui rilievo doveva avvenire anche ex officio”;

con la terza censura, la V. eccepisce che, anche nell’ipotesi in cui la stessa si fosse costituita tardivamente, non avrebbe avuto l’onere di proporre (tempestivamente) appello incidentale, potendosi limitare a riproporre le domande del primo grado con la semplice comparsa di risposta;

pertanto, avrebbe errato la Corte territoriale nel qualificare la comparsa in appello della V. come appello incidentale. Piuttosto, una volta accolto l’appello principale del Va., la Corte di merito avrebbe dovuto procedere all’accertamento della responsabilità del F. e del B.;

sarebbe, altresì, errato il rilievo d’inammissibilità della domanda proposta nei confronti di B., qualificata come nuova, giacchè in realtà doveva intendersi ricompresa nell’unicità dell’azione risarcitoria e dunque non presentava alcun elemento di novità;

il motivo è infondato. Deve darsi continuità al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sentenza n. 11799 del 12/05/2017 – Rv. 644305-01) secondo cui in caso di rigetto esplicito o implicito inequivoco (come nel caso di specie), il convenuto vittorioso e tenuto a proporre appello incidentale, mentre nel caso di eccezione che venga ignorata direttamente o implicitamente dal giudice, per il convenuto vittorioso è sufficiente la riproposizione esplicita. In questa seconda ipotesi, se non si provvede alla riproposizione è insufficiente la mera eccezione in appello, con l’unica deroga (per cui si ritiene idonea anche la mera eccezione, senza la riproposizione) se si tratta di eccezione rilevabile d’ufficio con il 345 c.p.c., comma 2. Pertanto, in tema di impugnazioni, qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345 c.p.c., comma 2 (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2), nè sufficiente la mera riproposizione;

nel caso in esame, non ricorre la diversa ipotesi di eccezione che sia stata ignorata direttamente o implicitamente, che legittimerebbe il convenuto vittorioso alla mera riproposizione esplicita:

neppure è ritualmente dedotta l’ipotesi di sufficienza della mera riproposizione sul presupposto della esistenza di domande alternative. Infatti, la V. in sede di appello, aveva contrastato l’impugnazione proposta da Va. e, in subordine, aveva richiesto la condanna del soggetto che sarebbe stato riconosciuto come responsabile all’esito del giudizio al risarcimento dei danni. La Corte d’Appello dichiarava inammissibile, perchè tardivo, l’appello incidentale dell’odierna ricorrente e la domanda proposta dalla V. nei confronti del B. perchè ritenuta nuova. Accoglieva l’appello proposto dal Va., affermando che mancava la prova della responsabilità dell’appellante Va. nella causazione dell’allagamento. Non esaminava i profili di responsabilità degli altri convenuti e chiamati, dando per scontato che sarebbe stato necessario l’appello incidentale rituale nei confronti di questi e, quindi, ritenendo insufficiente qualsiasi altra richiesta della V., genericamente rivolta nei confronti di chi risulterà responsabile;

a pagina 6 della sentenza impugnata la Corte d’Appello qualifica l’atto della V. come appello incidentale avverso la decisione del Tribunale che ha riconosciuto la responsabilità esclusiva di Va. e, quindi, ha implicitamente escluso quella di F.. In secondo luogo, secondo la Corte, si trattava di parte parzialmente vittoriosa, che aveva l’onere di proporre appello incidentale per non incorrere nella rinunzia sulle domande non accolte, con conseguente formazione del giudicato; quindi, la questione ritenuta centrale dalla Corte territoriale, verte sul fatto che non si trattava di parte vittoriosa, ma solo di parte parzialmente vittoriosa o parzialmente soccombente per la quale era necessario l’appello incidentale. Questa questione non è contrastata in ricorso;

infatti, la specifica questione non è dedotta in ricorso e parte ricorrente non si fa carico, in alcun modo, delle problematiche giuridiche oggetto di Cass. n. 8674 del 2017, riguardo al tema della valutazione della compatibilità o meno tra domande alternative;

il passaggio più significativo del ricorso per cassazione sul tema della alternativa e quello riportato a pagina 14: “la chiamata in causa, quindi, aveva come presupposto il riconoscimento di una responsabilità alternativa nella causazione del danno, con la individuazione del vero responsabile; e ciò nel quadro di un rapporto oggettivamente unitario”. Ma la alternativa è riferita alla chiamata e non è pertinente;

per il resto, l’argomentazione è riferita al profilo della unitarietà del rapporto giuridico, ruota intorno alla vicenda risarcitoria e non riguarda il tema della compatibilità o meno delle domande alternative, oggetto della citata Cass. n. 8674 del 2017;

in sostanza, la difesa non centra il tema della alternatività o non compatibilità, ma si riferisce a quello, irrilevante, del fatto che si tratterebbe della medesima vicenda senza allargamento del tema di indagine;

quanto, infine, alla questione della novità della domanda verso B. la censura è dedotta in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, per mancata trascrizione, allegazione e localizzazione della difesa nella quale la tematica sarebbe stata tempestivamente sottoposta al giudice di merito di primo grado;

con il quarto motivo si deduce la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, per violazione degli artt. 2049,2697 c.c. e art. 115 c.p.c.. Contrariamente a quanto argomentato dalla Corte territoriale, le risultanze istruttorie avrebbero confermato la responsabilità della ditta Va. in ordine alla causazione del danno, come emergerebbe dal contenuto della prova testimoniale. Conseguentemente la decisione impugnata risulterebbe illogica riguardo alla circostanza che i lavori idraulici erano terminati da oltre una settimana dal verificarsi dell’allagamento e, pertanto, soltanto un operaio riferibile alla ditta Va. avrebbe potuto aprire il rubinetto per prelevare l’acqua necessaria ad effettuare i lavori edili;

il motivo è inammissibile. Parte ricorrente, nella specie, pur denunciando, formalmente, ipotetiche violazioni di legge che vizierebbero la sentenza di secondo grado, uniche non in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova inammissibile valutazione di risultanze di fatto (ormai definitivamente cristallizzate sul piano processuale) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così strutturando il giudizio di cassazione in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai consolidatosi, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione probatoria, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata – quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità. L’unica disposizione concretamente menzionata in termini di violazione è l’art. 2049 c.c., riferita al profilo dell’imputabilità, espressamente esclusa dalla Corte territoriale con valutazione fattuale fondata sui mezzi di prova, non sindacabile in sede di legittimità;

con il quinto motivo si lamenta la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., con riferimento all’art. 360, nn. 3 e 4. Nello statuire sulle spese, la Corte territoriale non avrebbe considerato i gravi motivi che avrebbero consentito di compensarle nei rapporti tra la V. e il Va., atteso che la chiamata in giudizio del secondo si è resa necessaria dalla difesa del convenuto principale, F., che aveva indicato come unico responsabile il Va.. Inoltre, l’attrice si era limitata a chiedere la condanna del soggetto che “sarebbe risultato responsabile” tra i chiamati e il convenuto, per cui la decisione di condannare soltanto Va. sarebbe stata adottata dal primo giudice e non richiesta dalla parte. Infine, dopo avere negato alla ricorrente la possibilità di ottenere il risarcimento subito nei confronti di tutte le altre parti, il giudice a quo avrebbe “cinicamente” condannato la stessa alle spese di lite;

il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. Inammissibile, riguardo alla mancata compensazione delle spese, atteso che la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Sez. U., Sentenza n. 14989 del 15/07/2005, Rv. 582306-01);

la seconda questione dedotta è infondata in quanto, in forza del principio di causalità – che, unitamente a quello di soccombenza, regola il riparto delle spese di lite – il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell’attore qualora la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda; il rimborso rimane, invece, a carico della parte che ha chiamato o fatto chiamare in causa il terzo qualora l’iniziativa del chiamante, rivelatasi manifestamente infondata o palesemente arbitraria, concreti un esercizio abusivo del diritto di difesa (Cass. n. 31889 del 06/12/2019 (Rv. 655979-02). Tale pretestuosità della chiamata non è dedotta nel caso di specie, e, comunque, non sussiste;

Va.Ge. nel caso di accoglimento del ricorso principale richiede al giudice del rinvio di riesaminare i profili di responsabilità dedotti escludendo quella del ricorrente incidentale atteso che il “proprietario dell’immobile aveva la custodia la disponibilità del medesimo”;

il ricorso incidentale, sebbene condizionato, è oltremodo irrituale. In ogni caso è assorbito nel caso (di specie) di rigetto di quello principale; ne consegue che il ricorso principale deve essere rigettato e quello incidentale assorbito; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

PQM

Rigetta il ricorso principale e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidandole in Euro 900,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2021

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