Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9124 del 06/05/2015


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 9124 Anno 2015
Presidente: DI AMATO SERGIO
Relatore: CRISTIANO MAGDA

SENTENZA

sul ricorso 26398-2009 proposto da:
SORGE

ALFREDO

(C. F.

SRGLRD45A01E372A),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ATTILIO
FRIGGERI 106, presso l’avvocato MICHELE TAMPONI,

Data pubblicazione: 06/05/2015

che lo rappresenta e difende, giusta procura a
margine del ricorso;
– ricorrente –

2015

contro

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GIANGIACOMO

GIUSEPPE

(c.f.

GNGGPP40C01G482F),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. DEPRETIS

1

86, presso l’avvocato PIETRO CAVASOLA, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUIDO
GIANGIACOMO, giusta procura a margine del
controricorso;
– controricorrente –

D’ONOFRIO ANTONIO;
– intimato –

avverso la sentenza n.

956/2008 della CORTE

D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 24/12/2008;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 05/02/2015 dal Consigliere
Dott. MAGDA CRISTIANO;
udito,

per il ricorrente,

l’Avvocato TAMPONI

MICHELE che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito,

per

il

controricorrente,

l’Avvocato

GIANGIACOMO VINCENZO, con delega, che ha chiesto il
rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

contro

Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’imprenditore Alfredo Sorge convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Vasto l’avv.
Giuseppe Giangiacomo, che lo aveva assistito in un contenzioso con l’INPS,
esponendo: che il convenuto lo aveva convinto ad acquistare da un’altra sua
cliente, al prezzo di 700 milioni di lire, un ampio appezzamento di terreno edificabile

e ad accordargli, a titolo di corrispettivo dell’attività professionale svolta in suo
favore, il 50% degli utili che sarebbero derivati dalla lottizzazione del suolo, una volta
che egli avesse recuperato le somme anticipate alla venditrice; che, a seguito
dell’accordo concluso, egli aveva stipulato con la proprietaria del terreno una
scrittura privata di vendita, che prevedeva il pagamento rateale del prezzo, nonché,
il 3.12.90, una separata scrittura privata col Giangiacomo, nella quale si dava atto
che l’acquisto era parzialmente simulato, in quanto doveva intendersi compiuto in
comunione pro-indiviso con questi, e si precisava che l’avvocato avrebbe rinunciato
alla somma di £ 50 milioni dovutagli per la mediazione nell’affare ed avrebbe
percepito il 50% degli utili che sarebbero derivati dalla cessione dei lotti o di porzioni
del terreno, previo rientro di esso attore dagli importi versati alla venditrice; che il 26
maggio del ’92 era stato stipulato il rogito notarile, nel quale figuravano formalmente
quali acquirenti del terreno, in comunione pro-indiviso ciascuno per la quota di un
terzo, egli, il Giangiacomo ed il sig. Antonio D’Onofrio; che il prezzo versato dal
D’onofrio per l’acquisto era stato ripartito in parti uguali fra lui e il Giangiacomo; che,
essendo nel frattempo stati venduti i primi lotti, il convenuto aveva incassato in totale
£ 121.000.000 ed era inoltre divenuto titolare della quota indivisa del suolo, del
valore di £ 200.000.000; che, ciò nonostante, il Giangiacomo gli aveva richiesto gli
onorari per il suo interessamento nella pratica INPS, che egli si era rifiutato di
versare; che, in sostanza, la proprietà della porzione di un terzo del suolo e le
somme incassate erano pervenute al Giangiacomo a fronte di una mera attività di
mediazione nella compravendita del bene, che avrebbe dovuto essere compensata
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in misura non superiore a £ 50 milioni; che tali circostanze erano state oggetto di un
esposto alla magistratura. Tanto premesso, l’attore chiese: la rescissione per lesione
dell’atto di compravendita rogato; l’accertamento della sua titolarità sulla quota
simulatamente acquistata dal Giangiacomo; la condanna del convenuto alla
restituzione della somma di £ 85 milioni, oltre accessori, pari alla differenza fra
quanto dallo stesso incassato e quanto dovutogli per la mediazione; in subordine,

l’accertamento dell’indebito arricchimento del Giangiacomo e la sua condanna alla
restituzione di £ 283.500.000 oltre accessori.
Con successivo atto di citazione il Sorge, sulla scorta delle medesime circostanze di
fatto, convenne in giudizio il Giangiacomo per sentir accertare la nullità, per illiceità
della causa e dei motivi, della scrittura del 3.12.90 od, in via gradata, per ottenerne
l’annullamento per vizio del consenso o la rescissione per lesione e per sentir
conseguentemente condannare il convenuto alla restituzione delle somme incassate
per la vendita dei lotti e di un terzo del terreno ed alla retrocessione della proprietà
della quota trasferitagli col rogito notarile.
Le due cause, nelle quali il Giangiacomo si costituì eccependo la prescrizione
dell’azione di rescissione e contestando nel merito ogni assunto awersario, vennero
poi riunite e furono definite in primo grado con sentenza di rigetto di tutte le domande
dell’attore.
L’appello proposto dal Sorge contro la decisione, notificato anche ad Antonio
D’Onofrio (convenuto insieme al Sorge nel giudizio, dapprima riunito e poi separato
dagli altri due, promosso dal Giangiacomo per ottenere la divisione del terreno), è
stato a sua volta rigettato dalla Corte d’appello dell’Aquila, con sentenza del
24.12.08.
La corte territoriale, rilevato che la proprietaria del suolo non aveva partecipato
all’accordo simulatorio di cui si dava atto nella scrittura del 3.12.90 e che pertanto la
dichiarazione dei pretesi acquirenti del terreno era inidonea a dar vita ad un negozio
dissimulato immediatamente produttivo dell’effetto traslativo della proprietà del 50%
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del terreno al Giangiacomo, ha ritenuto che la scrittura integrasse un mandato
fiduciario, conferito da quest’ultimo al Sorge per l’acquisto del bene, e fosse
contestualmente costitutiva di una società di fatto occasionale, avente ad oggetto
l’attività economica di lottizzazione e di rivendita a terzi dei singoli lotti al fine della
ripartizione degli utili. Ciò premesso, ha in primo luogo escluso che potesse
ipotizzarsi una sproporzione fra le prestazioni dei due soci, rilevando come, a fronte

dell’impegno finanziario richiesto al Sorge, anche il Giangiacomo avesse fornito il
proprio necessario apporto all’attività, in quanto (come emergeva dalle deposizioni
testimoniali e dall’immediata conclusione dei contratti di rivendita) aveva individuato i
terzi acquirenti sin dal momento della stipula della scrittura, nell’ambito di un
progetto di impresa per il cui successo era indispensabile la celerità.
La corte del merito ha inoltre rilevato che il maggior rischio inizialmente sopportato
dal Sorge risultava bilanciato dalla previsione che la partecipazione agli utili del
Giangiacomo era subordinata al previo rientro del primo dalle somme anticipate.
Ciò premesso, ha affermato che poiché dalle circostanze evidenziate emergeva che
il convenuto/appellato non aveva profittato dello stato di bisogno
dell’attore/appellante, e che non appariva astrattamente configurabile a suo carico
un’imputazione per usura, l’azione di rescissione, prima ancora che infondata,
andava dichiarata prescritta, in quanto proposta con citazione notificata a distanza di
oltre un anno dalla stipula sia della scrittura del 3.12.90 sia dell’atto di compravendita
del 26.5.92, e che andava in conseguenza dichiarata inammissibile, attesa la sua
natura sussidiaria, l’azione di indebito arricchimento avanzata in subordine dal
Sorge.
Il giudice d’appello ha inoltre escluso sia che la ridetta scrittura fosse stata conclusa
in violazione del divieto di patto leonino, il cui presupposto è l’esclusione totale del
socio dalla partecipazione al rischio di impresa o agli utili, sia che il Sorge avesse
provato di aver sottoscritto il patto per essere stato ingannato dal Giangiacomo o per
essere incorso in errore.

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La sentenza è stata impugnata da Alfredo Sorge con ricorso per cassazione affidato
a sei motivi e illustrato da memoria, cui Giuseppe Giangiacomo ha resistito con
controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo ed il quinto motivo di ricorso Alfredo Sorge, denunciando,
rispettivamente, violazione degli artt. 2247 e 2253 c.c., contesta che nella scrittura

del 3.12.90 potessero ravvisarsi gli estremi di un contratto costitutivo di società.
Esclude, sotto il primo profilo, che l’attività del Giangiacomo fosse qualificabile come
conferimento, sia perché gli accordi trasfusi nel documento erano stati sottoscritti
dopo che egli aveva stipulato il contratto di vendita con la proprietaria del terreno, sia
perché in tali accordi non si faceva accenno ai servizi che la controparte avrebbe
dovuto fornire; sostiene, sotto il secondo, che il giudice del merito avrebbe omesso
di valutare se le informazioni fornite dal Giangiacomo, quand’anche integranti un
conferimento, potessero essere ritenute paritarie rispetto al conferimento del suolo
da lui eseguito, e puntualizza, a tale riguardo, che la corte territoriale, dopo aver
riconosciuto come difficilmente quantificabile il valore di dette informazioni, avrebbe
poi contraddittoriamente ritenuto sostanzialmente bilanciato l’assetto degli interessi
fra i soci.
I motivi vanno dichiarati inammissibili.
1.1)Innanzitutto, le prospettate ragioni di censura muovono entrambe da un
presupposto di fatto (l’avvenuto acquisto del terreno da parte del Sorge in data
anteriore alla conclusione della scrittura) che non ha formato oggetto di
accertamento nei precedenti gradi di merito, nei quali, al contrario, l’odierno
ricorrente aveva chiesto di provare di essersi accordato col Giangiacomo prima di
sottoscrivere l’atto privato di vendita (cfr. pag. 10, u. rigo della sentenza impugnata).
1.2)11 quinto motivo, inoltre, nell’imputare al giudice a quo di aver omesso di valutare
se, nella specie, potesse ritenersi operante la presunzione di cui all’art. 2253 11
comma c.c. ed, anzi, di averla ritenuta operante nonostante l’affermata difficoltà di
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quantificare in termini monetari il valore dell’apporto del Giangiacomo all’attività di
impresa, illustra un vizio riconducibile al n. 5, e non al n. 3, dell’art. 360 I comma
c.p.c. e, non essendo corredato da un momento di sintesi, contenente la chiara
indicazione del fatto controverso rispetto al quale la motivazione risulterebbe
omessa o contraddittoria, viola il disposto dall’art. 366 bis c.p.c. (cui il ricorso,
proposto contro una sentenza emessa il 24.12.08, è soggetto ratione temporis).

1.3) Va infine considerato che, poiché non è stato impugnato il capo della sentenza
che ha dichiarato prescritta l’azione di rescissione e, conseguentemente,
inammissibile l’azione di indebito arricchimento, né il capo che ha respinto, per
difetto di prova dei vizi del consenso, l’azione ex art. 1427 c.c., l’unica questione
devoluta a questa corte di legittimità è quella che concerne la nullità dell’accordo
contenuto nella scrittura. Il ricorrente, che non ha neppure ipotizzato che l’ accordo
integrasse gli estremi di un contratto diverso da quello societario, né ha mai dedotto
l’esistenza di vizi di nullità inerenti l’eventuale, diverso negozio stipulato col
Giangiacomo, difetta pertanto di interesse a veder annullata la decisione nella parte
in cui ha ravvisato nella scrittura un atto costitutivo di una società di fatto.
2)Con gli altri quattro motivi il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 2247,
2251, 2265 e 1418 c.c., lamenta che la corte del merito non abbia dichiarato la nullità
del ravvisato contratto societario.
2.1) Rileva, in primo luogo, che una volta escluso che la scrittura potesse produrre
l’effetto di trasferire la proprietà del 50% del suolo al Giangiacomo, la nullità del
negozio traslativo avrebbe dovuto condurre alla declaratoria di nullità anche del
negozio costitutivo della società occasionale, che, in mancanza del primo, non
sarebbe stato concluso.
2.2) Deduce, inoltre, che il preteso contratto societario avrebbe dovuto essere
dichiarato nullo per difetto della forma richiesta

ad substantiam, in quanto,

contrariamente a quanto affermato dal giudice del merito, egli aveva conferito in

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società non già le proprie risorse finanziarie, ma il suolo precedentemente
acquistato.
2.3) Sostiene, ancora, che il contratto sarebbe stato stipulato in violazione del divieto
di patto leonino, in quanto il Giangiacomo, non avendo eseguito alcun conferimento,
non avrebbe mai potuto partecipare alle perdite.
2.4) Assume, infine, che la corte del merito avrebbe elevato a rango di conferimento

l’uso da parte del Giangiacomo di informazioni e notizie costituenti null’altro che
l’infedele esecuzione del mandato conferitogli dalla proprietaria del terreno, senza
considerare che ciò costituiva un’attività frodatoria, posta in essere in conflitto di
interessi con la mandante ed integrante gli estremi di un reato, tale da determinare
l’illiceità del contratto societario.
3)Anche queste ragioni di censura vanno dichiarate inammissibili.
3.1) La prima solleva una questione del tutto nuova che, comportando la necessità di
un accertamento di merito in ordine alla volontà delle parti di considerare inscindibili
le clausole negoziali, non può trovare ingresso per la prima volta nella presente sede
di legittimità.
3.2.) La seconda (al pari di quella esaminata sub. 1), si fonda sull’indimostrato
assunto che il negozio sia stato concluso allorché il ricorrente aveva già acquistato il
suolo.
3.3) La terza, oltre ad essere fondata sul medesimo presupposto, non contiene
alcuna critica alla motivazione in base alla quale la corte territoriale ha escluso la
ricorrenza dell’ipotesi di nullità contemplata dall’art. 2263 c.c.
3.4) Maggiore approfondimento merita l’ultima censura, nella quale si individua
un’effettiva ragione di nullità del contratto societario — concluso per un motivo illecito
comune ad entrambi i contraenti – che, in quanto desumibile da circostanze di fatto
compiutamente allegate nei precedenti gradi di merito, risulterebbe astrattamente
rilevabile per la prima volta anche nella presente sede di legittimità (Cass. S.U. n.
26242/014).
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Sennonché il ricorrente difetta di interesse ad ottenere siffatto accertamento, dal
quale non potrebbe derivargli alcun risultato utile, posto che la declaratoria di nullità
del contratto costitutivo di una società di persone è equiparabile, “quoad effectum”,
allo scioglimento della stessa, con la conseguenza che la ripartizione, fra coloro che
hanno agito come soci, delle rispettive spettanze sul patrimonio comune (una volta

della quota (Cass. nn. 3166/99, 565/95).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali, che liquida in € 10,200, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso
forfetario ed accessori di legge.
Roma, 5 febbraio 2015.
Il c ns. est.

Il Presidente
\P 14;

adempiute le obbligazioni verso i terzi) si configura alla stregua della liquidazione

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