Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9123 del 02/04/2019

Cassazione civile sez. lav., 02/04/2019, (ud. 17/01/2019, dep. 02/04/2019), n.9123

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14813-2015 proposto da:

F.C., nella qualità dell’omonima ditta individuale,

elettivamente domiciliata in VIA ANTONIO LOCATELLI 1, VALENTINO

ROBERTO, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO VALENTINO,

rappresentata e difesa dall’avvocato ARTURO BARBATO;

– ricorrente –

contro

I.L., I.M.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 6815/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 01/12/2014 R.G.N. 2978/2010.

Fatto

RILEVATO

1. Che la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado di condanna di F.C. al pagamento in favore di I.L. e I.M. di somme a titolo di differenze retributive connesse al pregresso rapporto di lavoro subordinato intercorso tra le I. e la F.;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso F.C. sulla base di due motivi; le intimate non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. censurando l’omesso esame del motivo di gravame con il quale era impugnato il rigetto della eccezione di difetto di legittimazione passiva avanzata in prime cure da essa F. e motivata sul rilievo di essere stata evocata in giudizio solo in qualità di titolare della ditta individuale e non quale persona fisica; il primo giudice aveva respinto la eccezione in questione in considerazione del fatto che la domanda proposta nei confronti di una ditta individuale deve ritenersi intentata, ai fini della legittimazione passiva, nei confronti della persona fisica del titolare non avendo la ditta soggettività giuridica distinta ed identificandosi sotto il profilo sostanziale e processuale con il titolare;

2. che con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., dell’art. 2094c.c., dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 per omessa, insufficiente e illogica motivazione. Premette di avere espressamente contestato la titolarità passiva dei dedotti rapporti di lavoro negando la identificabilità nella propria persona del soggetto obbligato e di avere, a tal fine, prodotto documentazione a riguardo; deduce che a fronte di tale contestazione costituiva onere di controparte offrire la dimostrazione del contrario. Deduce insufficienza e illogicità di motivazione con riguardo alla questione della corretta individuazione del datore di lavoro;

3. che il primo motivo di ricorso è infondato in quanto la sentenza impugnata ha espressamente affrontato la questione del difetto di legittimazione passiva connesso alla cessazione dell’attività dell’impresa operante nei locali di (OMISSIS) (ove si erano svolte le dedotte prestazioni di lavoro) questione che ha ritenuto superata dal difetto di riscontro probatorio della eccepita cessazione di attività; ha, infatti, osservato che la documentazione allo scopo prodotta si riferiva ad altra ditta e precisamente a quella avente sede in (OMISSIS) dedita al commercio al dettaglio di accessori di abbigliamento, attività diversa dalla produzione di tipo artigianale svolta in via Strettoia, che la ulteriore documentazione prodotta (costituita da dichiarazioni inviate dalla F. al Comune di Napoli ed al Ministero delle Finanze) era priva di valenza probatoria in quanto formata dalla F. medesima e che la prova orale aveva confermato la prosecuzione dell’attività artigianale anche oltre le date indicate come di cessazione;

4. che il secondo motivo è inammissibile. Si premette che parte ricorrente, pur formalmente denunziando violazione di norme di diritto incentra le proprie doglianze sull’accertamento operato dal giudice di secondo grado che assume in contrasto con la documentazione prodotta ed in relazione al quale assume illogicità e carenza di motivazione. Tale modalità di articolazione della doglianza risulta già in astratto inidonea alla valida censura della decisione in quanto non coerente con l’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel testo attualmente vigente, applicabile ratione temporis, alla stregua del quale l’accertamento di fatto del giudice di merito può essere incrinato solo dalla deduzione di omesso esame di un fatto storico di rilevanza decisiva oggetto di discussione tra le parti dedotto nei rigorosi termini richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. Un. 07/04/2014 n. 8053), laddove parte ricorrente si limita a proporre una diversa lettura delle risultanze di causa sollecitando direttamente un diverso apprezzamento delle stesse, apprezzamento che esula dal sindacato di legittimità (Cass. 4/11/2013 n. 24679, Cass. 16/12/2011 n. 2197, Cass. 21/9/2006 n. 20455, Cass. 4/4/2006 n. 7846, Cass. 7/2/2004 n. 2357);

5. che a tanto consegue il rigetto del ricorso;

6. che sussistono i presupposti per l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2019

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