Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9121 del 02/04/2019

Cassazione civile sez. lav., 02/04/2019, (ud. 16/01/2019, dep. 02/04/2019), n.9121

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

Dott. CIRIELLO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9127-2014 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO

172, presso lo studio dell’avvocato SERGIO NATALE EDOARDO GALLEANO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA RITA

PUGLIA;

– ricorrente –

contro

UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE DELLE MARCHE DIREZIONE GENERALE;

– intimato –

e contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, C.F.

(OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e

difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici

domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 297/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 03/04/2013 R.G.N. 148/2010.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’Appello di Ancona, riformando con sentenza n. 297/2013 la pronuncia del Tribunale di Ascoli Piceno, limitava ad Euro 6.545,70 il risarcimento del danno in favore di M.G. ed a carico del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, per comportamenti datoriali dannosi incorsi durante il rapporto di lavoro tra le parti, avente ad oggetto l’insegnamento di grafica pubblicitaria presso l’Istituto d’Arte (OMISSIS);

la Corte riteneva che potesse riconoscersi un nesso causale tra i disagi lamentati dalla M. e le condizioni di lavoro solo con riferimento all’ultimo periodo in cui la ricorrente aveva palesato uno stato di malattia, qualificato dal c.t.u. come invalidità temporanea e quindi ristorato nei termini pecuniari di cui si è detto;

la M. ha proposto ricorso per cassazione con un unico motivo, mentre il Miur ha depositato soltanto “atto di costituzione” al fine di eventualmente partecipare alla discussione orale, mai avutasi in quanto la causa è stata avviata al giudizio camerale.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con l’unico motivo la ricorrente afferma la violazione dell’art. 115 c.p.c., in combinato disposto con gli artt. 2043 e 2087 c.c.;

essa a tale fine richiama alcune deposizioni testimoniali raccolte in istruttoria, nonchè i rilievi, contenuti nella c.t.u, su comportamenti ostili verso la lavoratrice, affermando che la valutazione peritale aveva ravvisato un rapporto di causalità tra i fatti oggetto di giudizio ed i disturbi nella sfera psichica manifestatisi;

il medesimo motivo si chiude quindi con la conclusione secondo cui la Corte avrebbe, su tali presupposti, erroneamente disconosciuto la sussistenza del mobbing, in violazione non solo dell’art. 2087 c.c., ma anche più in generale dell’art. 2043 c.c.;

il ricorso è inammissibile;

la Corte territoriale, dopo avere esposto la propria posizione giuridica sul c.d. mobbing, ha comunque ritenuto di riconoscere un nesso causale tra i 9 mesi di inabilità temporanea parziale accertati dal c.t.u. e le condizioni lavorative in cui aveva, “nel periodo finale e conclusivo della vicenda”, operato la M., escludendo invece dal ristoro quanto (Euro 80.000,00) ulteriormente riconosciuto dal Tribunale in primo grado;

ciò è avvenuto sul presupposto – esplicitato dalla stessa Corte distrettuale – che il necessario rigore nella valutazione delle ricadute psichiche dei comportamenti altrui, impedisse nel resto di riconoscere il nesso di causalità tra le condotte datoriali e le condizioni della lavoratrice, che avevano la mera consistenza di un generale, protratto e progressivo disagio;

con il motivo di ricorso vengono, come detto, evidenziati elementi istruttori dai quali dovrebbe desumersi la sussistenza del mobbing ed una “causalità materiale tra i fatti e i disturbi”, trascurandosi però che la Corte non ha negato un nesso causale tra i danni, quali accertati dal c.t.u., e le condizioni del lavoro, ma ha solo negato la possibilità di riconnettere causalmente a tali condizioni altri stati pregiudizievoli oltre a quelli così risarciti, profilo differenziale su cui le censure della ricorrente finiscono in sostanza per non misurarsi con chiarezza, sicchè esse risultano eccentriche rispetto alla ratio decidendi nè precisano quale altro danno giuridicamente rilevante, oltre a quello risarcito nei termini di cui sopra, sia ancora perseguito;

inoltre, la rielaborazione dei complessivi dati istruttori operata nel motivo di ricorso porta ad individuare in esso un’inammissibile (Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148) pretesa di proporre in sede di legittimità una nuova valutazione dei fatti e del merito del contendere;

alla pronuncia di inammissibilità non segue decisione sulle spese, in quanto il Ministero non ha svolto attività difensiva, essendosi limitato a depositare procura finalizzata all’eventuale (e poi non avvenuta) discussione orale.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 16 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2019

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