Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 912 del 17/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 912 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA

sul ricorso 21234-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

3358

SPEZZA DOMENICO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 900/2007 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 17/01/2014

di

L’AQUILA,

depositata

il

12/09/2007

R.G.N.

1612/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/11/2013 dal Consigliere Dott. VITTORIO
NOBILE;

ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, cheha concluso per
l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega PESSI

R.G. 21234/2008
FATTO E DIRITTO

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Con sentenza del 17-12-2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di
L’Aquila respingeva la domanda proposta da Domenico Spezza nei confronti

termine apposto al contratto di lavoro concluso tra le parti, per il periodo 1-22001/31-5-20001, con le pronunce conseguenziali.
Lo Spezza proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la
riforma con l’accoglimento della domanda.
La società si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza depositata il 12-9-2007, in
accoglimento dell’appello, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto
de quo, con la conseguente sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato
dal 1-2-2001, e condannava la società a riammettere in servizio la lavoratrice e
a corrisponderle la retribuzione maturata con decorrenza dalla messa in mora
del 24-6-2003, con la rivalutazione e gli interessi, detratto “quanto percepito
dall’appellante, nel periodo in questione, come compenso per attività lavorativa
sostitutiva prestata, secondo quanto risultante dagli atti di causa”.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con quattro
motivi.
Lo Spezza è rimasto intimato
La società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Infine il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.
Ciò posto, va rilevato che con il primo motivo la ricorrente censura
l’impugnata sentenza nella parte in cui ha affermato la sussistenza del limite
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della s.p.a. Poste Italiane, diretta ad ottenere la declaratoria di nullità del

temporale del 30-4-1998 per le assunzioni a termine per esigenze eccezionali e
deduce la natura meramente ricognitiva degli accordi attuativi dell’accordo 25-

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9-97 che ha integrato l’art. 8 del ccnl 1994.
Il motivo è inammissibile in quanto del tutto inconferente con il decisum,

nella premessa relativa alla “evoluzione normativa” riguardante i contratti a
termine, considerando, nel contempo che (con riferimento al contratto in
esame) “dall’11-1-2001” è intervenuta una nuova regolamentazione collettiva
(art. 25 del cm’ 2001) che tra l’altro ha previsto uno specifico requisito
percentuale, sulla cui mancata prova la Corte di merito ha fondato la
declaratoria di nullità del termine.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, poi, violazione ed erronea
applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 421 e 437 c.p.c., nonché vizio di
motivazione. Critica la sentenza impugnata perché nell’affermare l’illegittimità
del contratto a termine per violazione della quota numerica prevista dal ccnl, ha
ritenuto che l’onere di fornire la prova in proposito incombesse sulla società
anziché sulla lavoratrice, la quale aveva dedotto l’illegittimità del contratto.
Sostiene inoltre che la Corte di merito, considerata insufficiente la
documentazione prodotta dall’azienda a sostegno della dedotta insussistenza
della violazione della clausola di contingentamento,
avrebbe dovuto esercitare i suoi poteri istruttori officiosi, ordinando una
consulenza contabile d’ufficio al riguardo, prima di concludere per la
violazione del limite numerico.
Tale motivo è infondato.

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giacché la sentenza impugnata ha parlato del detto limite temporale soltanto

Come è stato più volte affermato da questa Corte e va qui ribadito, “nel
regime di cui alla legge 28 febbraio 1987, n. 56, la facoltà delle organizzazioni

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sindacali di individuare ulteriori ipotesi di legittima apposizione del termine al
contratto di lavoro è subordinata dall’art. 23 alla determinazione delle

totale dei dipendenti; pertanto, non è sufficiente l’indicazione del numero
massimo di contratti a termine, occorrendo altresì, a garanzia di trasparenza ed
a pena di invalidità dell’apposizione del termine nei contratti stipulati in base
all’ipotesi individuata ex art. 23 citato, l’indicazione del numero dei lavoratori
assunti a tempo indeterminato, sì da potersi verificare il rapporto percentuale
tra lavoratori stabili e a termine. L’onere della prova dell’osservanza di detto
rapporto è a carico del datore di lavoro, in base alle regole di cui all’art. 3 della
legge 18 aprile 1962, n. 230, secondo cui incombe al datore di lavoro
dimostrare l’obiettiva esistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione
di un termine al contratto di lavoro.” (v. Cass. 19-1-2010 n. 839 e numerose
successive).
Inammissibile risulta, poi, la censura relativa al mancato esercizio di poteri
istruttori d’ufficio ed in specie al mancato espletamento di una CTU contabile,
da parte dei giudici di merito.
Come più volte è stato precisato da questa Corte “il mancato esercizio da
parte del giudice dei poteri ufficiosi ex art. 421 c.p.c., preordinato al
superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata
sull’onere della prova, non è censurabile con ricorso per cassazione ove la
parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso,
indicando anche i relativi mezzi istruttori” (v. Cass. 12-3-2009 n. 6023, Cass.
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percentuali di lavoratori che possono essere assunti con contratto a termine sul

2.6-6-2006 n. 14731). In ogni caso, poi, i detti poteri, ” – pur diretti alla ricerca
della verità, in considerazione della particolare natura dei diritti controversi –

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non possono sopperire alle carenze probatorie delle parti, né tradursi in poteri
d’indagine e di acquisizione del tipo di quelli propri del procedimento penale”

17102, Cass. 15-3-2010 n. 6205).
Orbene la ricorrente neppure indica se, quando ed in quali termini abbia
sollecitato la nomina di un CTU.
Peraltro non va trascurato che la consulenza tecnica d’ufficio “è mezzo
istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratta alla disponibilità delle parti
ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo
potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario
giudiziario e la motivazione dell’eventuale diniego può anche essere
implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e
dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal
suddetto giudice” (v. fra le altre Cass. 5-7-2007 n. 15219, Cass. 21-4-2010 n.
9461).
Nella fattispecie la Corte di merito, in sostanza, ha chiaramente
evidenziato che la società si è limitata a riportare genericamente “dati privi di
riscontro”, senza neppure dedurre di aver “monitorato l’attività e l’organico”,
così legittimamente valutando unitariamente il quadro probatorio.
Con il terzo motivo la ricorrente censura l’impugnata sentenza nella parte
in cui ha respinto l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso
tacito, nonostante la mancanza di una qualsiasi manifestazione di interesse alla
funzionalità di fatto del rapporto, per un apprezzabile lasso di tempo anteriore
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(cfr. Cass. 8-8-2002 n. 12002, Cass. 21-5-2009 n. 11847, Cass. 22-7-2009 n.

alla proposizione della domanda e la conseguente presunzione di estinzione del
rapporto stesso.

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Anche tale motivo non merita accoglimento.
Come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini

indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un
termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del
rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata — sulla base del
lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine,
nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze
significative — una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v. Cass. 10-11-2008 n.
26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonché da
ultimo Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n.
16932). La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a
termine, quindi, “è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione
del rapporto per mutuo consenso” (v. da ultimo Cass. 15-11-2010 n. 23057,
Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca
tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la
volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni
rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre da ultimo Cass.
1-2-2010 n. 2279).
Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli art. 1372 e 1321
c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo prevalente
ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei
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del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo

comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara
manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del

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rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e
neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto.

legittimità in materia, ha rilevato che nel caso di specie non è emerso alcun
elemento significativo, al di là del mero decorso del tempo, aggiungendo che la
circostanza della stipula del contratto a tempo determinato con lavoratore
iscritto volontariamente in apposita lista, “implica evidentemente la volontà di
rendere prestazioni lavorative e, quindi, una volontà antitetica rispetto alla
rinuncia a lavorare alle dipendenze della controparte”.
Tale accertamento di fatto, conforme ai principi sopra richiamati, risulta
altresì congruamente motivato e resiste alla censura della ricorrente.
Con il quarto motivo la società ricorrente, in ordine alle richieste
economiche, deduce che nella fattispecie la lavoratrice non avrebbe fornito la
prova dell’effettivo danno subito, che comunque andrebbe ridotto in ragione
dell’aliunde perceptum, e che neppure vi sarebbe stata una effettiva offerta
della prestazione con conseguente mora accipiendi del datore di lavoro.
Tale motivo risulta del tutto generico e astratto (così come, peraltro, il
relativo quesito conclusivo formulato ex art. 366 bis applicabile ratione
temporis, cfr. fra le altre Cass. 21-2-2012 n. 2499, 2615/2012, 12954/2012,
15461/2012, 1211/2013, 3819/2013).
Posto, infatti, che la impugnata sentenza ha confermato la condanna della
società al pagamento delle retribuzioni maturate dalla messa in mora ravvisata
nella comunicazione del 24-6-2003, detratto l’ aliunde perceptum “secondo
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Orbene nella fattispecie la Corte di merito richiamata la giurisprudenza di

quanto risultante dagli atti di causa”, la ricorrente censura tale decisione in
modo assolutamente generico, senza riportare il testo dell’atto che, secondo il
suo assunto, non avrebbe integrato la offerta della prestazione e la messa in
mora (contrariamente a quanto affermato dalla Corte di merito) e senza
neppure considerare che i giudici di merito hanno già espressamente limitato la
condanna con la detrazione dell’aliunde perceptum, di guisa che la censura
risulta altresì inconferente con il decisum.
Così risultato inammissibile il quarto motivo, riguardante le conseguenze
economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche
modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dall’art. 32,
commi 5 0 , 6° e 7 0 della legge 4 novembre 2010 n. 183.
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di
principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di
legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva,
una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in
qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso,
in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato
dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 272-2004 n. 4070).
In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe,
anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad
essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (v.
fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80 cit.).
Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.
Il ricorso va pertanto respinto.
7

I.

Infine non deve provvedersi sulle spese, non avendo l’intimato svolto
alcuna attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese.

Roma 21 novembre 2013

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