Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9119 del 06/05/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 9119 Anno 2015
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: BLASUTTO DANIELA

SENTENZA
sul ricorso 21034-2008 proposto da:
SIVIERO

MASSIMO

C.P.

SVRMSM42A26H501W,

già

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUNGOTEVERE
FLAMINI° 46, presso il dott. GIAN MARCO GREZ,
rappresentato e difeso dall’avvocato EMILIO PAOLO
SALVIA, giusta delega in atti e da ultimo domiciliato
2015
854

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE;
– ricorrente contro

IL MATTINO S.P.A. C.F. 01136950639, in persona del

Data pubblicazione: 06/05/2015

legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA FARAVELLI N. 22, presso lo
studio dell’avvocato MARCELLO DE LUCA TAMAJO, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti e da
ultimo domiciliato presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE

controri corrente

avverso la sentenza n. 5233/2007 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 16/08/2007 R.G.N.
2127/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/02/2015 dal Consigliere Dott. DANIELA
BLASUTTO;
udito l’Avvocato SALVIA EMILIO PAOLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO che ha concluso
per l’inammissibilità in subordine rigetto.

SUPREMA DI CASSAZIONE;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello di Napoli, accogliendo il gravame di EDIME s.p.a., rigettava la
domanda proposta da Siviero Massimo, giornalista redattore del quotidiano II Mattino
di Napoli, diretta all’accertamento della nullità del mutamento di mansioni disposto
dalla società editrice con ordine di servizio del 24 gennaio 1995 con cui il ricorrente

“Politica e Cronache Italiane” a quello “Campania e Grande Napoli”.
Il ricorrente aveva sostenuto di essere stato privato delle mansioni di redattore
articolista cronista per essere assegnato all’attività di redattore adibito al desk e che
ciò aveva comportato, con il venir meno del rapporto diretto con le fonti informative ed
il pubblico dei lettori, un’incidenza sul prestigio e sulla notorietà della firma, ed aveva
chiesto che fosse accertato il suo diritto ad essere reintegrato nelle mansioni di
redattore articolista cronista nel settore “Politica” e che la società convenuta fosse
condannata a risarcirgli i danni derivati dalla subìta dequalificazione professionale.
La domanda, accolta in primo grado, è stata respinta dalla Corte di appello sulla
base dei seguenti argomenti:
– non vi è una figura di redattore articolista, ben potendo l’articolista, a norma
dell’art. 9 CNLG, rivestire diverse qualifiche; tale disposizione tende unicamente a
garantire che il giornalista non subisca modifiche arbitrarie ai suoi articoli (che non
devono recare la sua firma qualora non via sia ‘il suo assenso) e regola la cessione a
terzi degli articoli redatti dal giornalista; pertanto, la norma tutela la “firma” . del
giornalista quale “autore” e la possibile utilizzazione dei suoi articoli, ma non
costituisce titolo per affermare l’inamovibilità del redattore articolista;
– non esiste il diritto ad una inamovibilità del redattore, stante lo ius variandi
datoriale, da esercitare nei limiti di cui all’art. 2103 cod. civ., nell’ambito di quelle
mansioni che le parti collettive fanno rientrare nella qualifica di redattore e che
possano ritenersi equivalenti professionalmente a quelle di articolista;
– dalla prova testimoniale e in particolare dalla deposizione del teste Pellegrino, l’unico
in grado di descrivere le mansioni svolte dal ricorrente, era emerso che i compiti
assegnati al Siviero, come ad ogni altro redattore, consistevano nel “proporre i pezzi”
e nel “compilare pagine”, nel senso di “comporre titoli e didascalie”, “all’occorrenza
tagliare o riscrivere il servizio o comunque aggiustarlo” e ciò al fine di “rendere
migliore la qualità del servizio”; il teste aveva aggiunto che “per compiere tali compiti
ci vuole una grossa professionalità”; avvenuta la compilazione della pagina, questa
veniva proposta al responsabile del servizio, il quale ne autorizzava la stampa e
,

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era stato trasferito, nell’ambito della stessa redazione centrale di Napoli, dal settore

-

poteva apportare, ove lo ritenesse necessario, modifiche ai titoli o ordinare al
redattore di rifare tutti o alcuni titoli;
– alla stregua di tali risultanze, doveva escludersi che il ricorrente avesse subito un
demansionamento, poiché la composizione di un titolo Øi un giornale, la scelta di una
foto da accompagnare ad un articolo, la revisione dei pezzi scritti da altri “sono,

rilevanti di quelli di ‘scrivere i pezzi”.
In altri termini – osservava la Corte di appello – “l’attività di cucina redazionale può
essere rilevante al pari o più dell’attività di semplice articolista. Anzi, secondo una
logica che superi il tema della ‘visibilità’ personale attraverso la ‘firma’ del giornalista e
guardi più alla oggettiva funzione informativa del giornale quotidiano, può essere
persino più rilevante di scrivere il pezzo, l’attività redazionale diretta a corredare un
articolo con una foto che esprima in modo immediatamente tangibile, il senso della
notizia per il pubblico dei lettori. Ancor più rilevante e destinato a rimanere fissato
nella memoria del lettore è il titolo del pezzo attraverso il quale si esprime anche la
linea politico-editoriale del giornale”.
A ciò poteva aggiungersi che, secondo le allegazioni della società, il ricorrente, nella
posizione assunta, ben poteva proporre articoli a sua firma e, se non lo aveva fatto,
ciò era dipeso dall’immediato deteriorarsi dei rapporti a seguito dell’ordine di servizio
del gennaio 1995, vissuto dal ricorrente con un sentimento di grande frustrazione
professionale. Era dunque “evidente che l’unica strada per identificare una
dequalificazione professionale” fosse quella seguita dal giudice di primo grado sulla
scorta del resto delle stesse modalità con cui era stato redatto il ricorso introduttivo,
ossia che “la ‘firma’ del giornalista sia in quale che modo un dato imprescindibile della
qualifica e della professionalità del redattore addetto alla redazione dei “pezzi”, tesi
che però non poteva essere accolta, per quanto sopra osservato.
Doveva, infine, escludersi qualsiasi intento persecutorio o punitivo posto in essere nei
confronti del Siviero, atteso che l’ordine di servizio del gennaio 1995 aveva riguardato
circa sessanta dipendenti del giornale.
La Corte di appello riteneva infondata anche l’ulteriore domanda proposta dal
ricorrente, intesa al riconoscimento della qualifica di capo servizio per l’attività svolta
presso la sede di Avellino dal 2.4.90 all’11.7.94. Osservava al riguardo che non era
stato provato che il giornalista avesse la responsabilità diretta del coordinamento di
due collaboratori fissi: il ricorrente non aveva dimostrato, con esattezza, la
composizione della redazione decentrata, i compiti e i ruoli dei due (o più) pubblicisti,
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all’evidenza, secondo una moderna visione del giornalismo, compiti altrettanto

le relazioni con il redattore capo e con colui che aveva la delega della direzione
aziendale presso la redazione, nonché la continuatività della responsabilità del
servizio. Soggiungeva la Corte di appello che integrazioni istruttorie erano superflue,
non essendovi dubbi sull’accertamento dei fatti, mentre le ulteriori domande proposte
dal ricorrente, relative all’accordo-sport per il periodo 1.10.91/marzo 1995,

inammissibili in quanto formulate per la prima volta in appello.
Per la cassazione di tale sentenza Siviero Massimo propone ricorso affidato a dieci
motivi ed illustrato con memoria ex art. 378 cod. proc. civ.. Resiste con controricorso
la soc. Il Mattino.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione di legge e di contratti
collettivi, con specifico riferimento alla legge n. 69/63, art. 2 e al CNLG, art. 1,
comma 2, art. 9, comma 2, e art. 7, comma 4, anche in relazione all’art. 2103 cod.
civ. e all’art. 35 Cost., nonché difetto di motivazione, propone a questa Corte i quesiti
di seguito sintetizzati: a) se sia incorsa nella violazione di tali norme la Corte di
appello per avere ritenuto legittimo che un redattore articolista possa essere privato
delle mansioni di redazione in proprio degli articoli, precedentemente svolte in modo
esclusivo, per essere adibito esclusivamente al lavoro al “desk”; b) in particolare, se
l’art. 9 CNLG, che al comma 2 prevede la figura del redattore articolista, possa essere
interpretato come diretto ad escludere tale qualifica; c) se l’art. 7, comma 4, CNLG,
che fa obbligo all’editore di adibire almeno una volta alla settimana in modo esclusivo
alla redazione in proprio di articoli anche i redattori occupati nella “cucina” al “desk”
consenta di privare il cronista delle mansioni di articolista da sempre svolte in modo
esclusivo; d) se l’avere espropriato il redattore cronista delle mansioni di articolista
consistente nella redazione di articoli propri costituisca violazione dell’art. 35 Cost.,
2060 e 2087 cod. civ. sul dovere datoriale di tutelare il lavoro anche intellettuale,
l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore.
1.1. Il motivo involge l’interpretazione del CNLG, segnatamente dell’art. 7, punto 4, e
dell’art. 9 del contratto nazionale di lavoro giornalistico, dalla cui lettura sistematica
dovrebbe argomentarsi – ad avviso del ricorrente – l’esistenza della figura
professionale dei “redattore articolista” e l’obbligo datoriale di adibire, per un tempo
minimo determinato, alla stesura di articoli originali i redattori articolisti addetti all’uso
di videoterminali.

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all’indennità pari a quattro giorni di permesso e ai permessi retribuiti, erano

1.2. Con il secondo motivo il ricorrente, censurando la sentenza per violazione di legge
e vizio di motivazione, chiede se l’avere il datore di lavoro espropriato il redattore
articolista delle mansioni consistenti nella redazione in proprio di articoli costituisca
violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 21 e 41, secondo comma, Cost. per vulnus
del diritto del giornalista all’esplicazione della propria personalità e del diritto alla

ripercussioni sulla propria dignità e professionalità nonché violazione e falsa
applicazione dell’ad. 2103 cod. civ. e dell’ad. 2 legge n 69/63 e dell’ad. 9 CNLG.
1.3. Con il terzo motivo, strettamente collegato al primo, viene censurata la
motivazione della sentenza per non avere chiarito in quale modo le mansioni
assegnate successivamente allo spostamento di settore non avesse leso il diritto del
lavoratore ex art. 2103 cod. civ. a vedere salvaguardato e valorizzato il patrimonio
professionale acquisito nella fase pregressa del rapporto. Si addebita alla Corte di
appello di non aver chiarito in quale modo il ricorrente avrebbe arricchito la propria
professionalità quale redattore articolista adibito al desk e quindi in quale modo tale
assegnazione sarebbe confacente alle sue qualità nell’ottica di un costante loro
affinamento e di una progressiva evoluzione delle stesse.
1.4. Con il quarto motivo si censura la sentenza per violazione di legge in relazione
agli artt. 1453 cod. civ. e 2058 cod. civ. e per vizio di motivazione. Si chiede se, nel
caso di dequalificazione, il diniego di reintegro nelle mansioni in precedenza svolte
configuri violazione dell’ad. 1453 cod. civ. e se, nel caso di dequalificazione, il
mancato riconoscimento del risarcimento in forma specifica violi l’art. 2058 cod. civ..
1.5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia error in procedendo in relazione all’ad.
112 cod. proc. civ. per omesso esame, da parte della Corte di appello, della
descrizione delle mansioni svolte dalla parte nelle proprie difese e per omesso esame
di eccezioni formulate circa la insussistenza di esigenze tecnico – professionali allo
scopo di dimostrare la illegittimità di uno spostamento da un settore lavorativo ad un
altro.
1.6. Il sesto motivo vede su vizio di motivazione in relazione alla valutazione delle
risultanze del libero interrogatorio e della prova testimoniale
1.7. Il settimo lamenta violazione del principio di ultrapetizione e vizio di motivazione
per avere la sentenza prospettato la carenza di indicazioni nell’atto introduttivo circa la
descrizione delle modalità delle nuove mansioni, per poi rigettare il ricorso ritenuto
nullo. Si chiede quindi se l’esame del merito non fosse precluso ai giudici di appello e

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libertà di manifestare il proprio pensiero e il diritto-dovere di cronaca, con

?

se con tale esame essi non abbiano violato gli artt. 156, 413, 414 cod. proc. civ. e art.
24 Cost..
1.8. Con l’ottavo motivo, vedente sul mancato riconoscimento della qualifica di capo
servizio, si denuncia violazione di legge in relazione all’art. 2103 cod. civ. e CNLG. Si
chiede se possa essere ritenuta inattendibile una deposizione testimoniale perché non
precisa su alcuni particolari rispetto ad un’altra deposizione, considerata attendibile,

quando quest’ultima risulti comunque imprecisa su particolari analoghi. Si chiede
inoltre se possa essere dimostrata l’attribuzione della superiore qualifica di capo
servizio sulla base di una dichiarazione testimoniale ritenuta attendibile dalla Corte di
appello al giornalista redattore che opera in piena autonomia secondo le direttive
generali del suo diretto superiore. Se il mancato riconoscimento della superiore
qualifica a causa del riconoscimento informale della responsabilità di un servizio da
parte del redattore capo della redazione decentrata configuri violazione dell’ad. 2103
cod. civ. e dell’art. 11, lett. d) e f) CNLG sulla qualifica di capo servizio.
1.9.

Con il nono motivo, concernente il capo della sentenza avente ad oggetto il

rigetto delle rivendicazioni retributive, si denuncia violazione di legge in relazione agli
artt. 414 e 434 cod. proc. civ. e difetto di motivazione. Si chiede se la mancata
riproposizione nelle conclusioni del ricorso introduttivo di primo grado di alcuni capi
della domanda, già illustrati nel ricorso medesimo, possa legittimare un loro mancato
esame.
1.10. Con il decimo motivo si censura la sentenza per violazione di legge in relazione
agli artt. 112, 329, 414 e 434 cod. proc. civ, e vizio di motivazione. Si chiede se
configuri acquiescenza parziale alla sentenza di primo grado il non avere la società
specificamente impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui questa aveva
disposto la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro.
2. Prima di procedere all’esame del ricorso, deve rilevarsi che parte resistente ha
:

eccepito l’inammissibilità della questione vertente sull’interpretazione dell’artt. 7 CNLG
per essere il relativo thema decidendum stato introdotto solo in appello, e quindi
tardivamente in giudizio.
2.1. Sull’eccezione preliminare di inammissibilità, pur dovendo darsi atto che il ricorso
non riporta il preciso tenore della domanda originaria (art. 366 n. 3 cod. proc. civ.) e
dunque non consente di ritenere che la questione oggetto dell’eccezione fosse stata
introdotta sin dal primo grado (Cass. n. 23675 del 2013), deve tuttavia considerarsi
che il ricorrente non ha agito per ottenere il riconoscimento del diritto che assume

t

contemplato dall’art.7 CNLG, ma per trarre da tale previsione una conferma della

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propria tesi interpretativa. Pertanto, la questione, benché tardivamente introdotta, non
comporta un’alterazione del thema decidendum; essa tende a prospettare soltanto un
ulteriore argomento interpretativo, che si assume rafforzativo della tesi già svolta in
primo grado, senza alcuna alterazione dell’oggetto sostanziale e dei termini della
controversia (cfr. Cass. n. 2641 del 2013, n. 13253 del 2004; cfr. pure Cass. n.

3. I primi tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per involgere

questioni di diritto tra loro connesse, sono infondati.
3.1. L’art. 7 CNLG reca la disciplina dell’orario di lavoro e regola le relative tutele, tra

cui l’organizzazione dei turni degli addetti ai videoterminali; esso prevede, al quarto
comma, che “il direttore programma il lavoro dei giornalisti che svolgono
esclusivamente attività di rielaborazione, adattamento e coordinamento dei testi con
l’uso del videoterminali (compresi i p.c. redazionali collegati o meno al sistema), sulla
base di periodi di turnazione che tengano conto delle esigenze specifiche delle
redazioni. Tale turnazione deve consentire, in armonia con le richiamate esigenze
specifiche delle redazioni, l’adibizione dei giornalisti per un giorno alla settimana
(escluse le ferie) ad altre mansioni per servizi che comportino l’uso dei videoterminali
(compresi i p.c. redazionali collegati o meno al sistema) esclusivamente per la stesura
di articoli o altro materiale giornalistico di propria elaborazione. In relazione alle
esigenze organizzative redazionali i suddetti giorni di turnazione potranno essere
cumulati fino ad un massimo di otto giorni”.
3.2. La norma disciplina i turni dei giornalisti addetti all’uso dei videoterminali per la

rielaborazione di testi altrui e per la redazione di articoli propri, stabilendo che nella
programmazione dei turni il direttore debba consentire al giornalista articolista di
disporre di uno spazio per l’uso del videoterminale funzionale alla stesura di articoli di
propria elaborazione, ma tale previsione non obbliga il datore di lavoro ad adibire il
giornalista a mansioni di articolista per un giorno alla settimana.
3.3. L’art. 9 CNLG, riguardante “modifiche, cessione e pubblicazione di articoli”, detta

una serie di prescrizioni tese a tutelare l’opera del giornalista, in quanto rientrante tra
quelli protetti dalle norme sul diritto d’autore (L. 22 aprile 1941, n. 633) stabilendo,
tra l’altro, che le modifiche o integrazioni sostanziali ad un articolo o pezzo firmato
devono essere apportate con il consenso dell’autore; che l’articolo non dovrà
comparire firmato nel caso in cui le modifiche siano apportate senza l’assenso del
giornalista; che “i redattori articolisti” non possono cedere prima di sei mesi ad altri
giornali o periodici gli articoli non pubblicati dal giornale o periodico al quale sono
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Ud 19 febbraio2015
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26906 del 2014, 17957 del 2013).

addetti senza il previo consenso dell’editore, sentito il parere del direttore; che
“l’articolista, sia esso redattore, corrispondente, inviato speciale o collaboratore, può
pubblicare in volume gli articoli inviati, siano o non siano retribuiti, tre mesi dopo la
consegna dell’ultimo della serie, anche se non pubblicati dal giornale al quale sono
destinati”; seguono ulteriori previsioni che si tralasciano, in quanto non rilevanti ai fini

3.4.. La norma riconosce, innanzitutto, la tutelabilità dell’opera del giornalista e reca i

criteri e i limiti entro i quali può essere modificato, ceduto a terzi o pubblicato in altro
giornale o periodico, un determinato articolo. La norma non contempla una
definizione del giornalista “articolista”, prevedendo invece che tale possa essere il
“redattore”, il “corrispondente”, l'”inviato speciale” o il “collaboratore”.
3.5. L’articolista non è una figura professionale autonoma; la previsione contrattuale

esprime soltanto la definizione di un genere di mansioni svolte dal giornalista (sia esso
un redattore o un’altra delle figure previste contrattualmente) cui si correlano alcune
determinate tutele, specificamente previste dall’art. 9 CNLG.
3.6. Le richiamate disposizioni (artt. 7 e 9 CNLG) non si prestano ad una lettura

sistematica, poiché dirette a disciplinare aspetti diversi dell’attività del giornalista
dipendente; comunque, da esse non si trae la conferma dell’esistenza della qualifica di
“redattore articolista” quale figura professionale autonoma.
4. Quanto alla prospettata violazione dell’art. 2103 cod. civ., occorre premettere che,

secondo la definizione che del redattore è stata fornita dalla giurisprudenza della Corte
(cfr. Cass. n. 1073 del 1985; v. pure Cass. n. 7055/87), ai sensi della norma dell’art.
5 del contratto collettivo per i giornalisti (contratto avente efficacia erga omnes ai
sensi del d.P.R. 16 gennaio 1961 n. 153), la qualifica di redattore compete ai
corrispondenti ed agli inviati, i quali compilano articoli d’informazione e commenti di
carattere politico oppure servizi riguardanti particolari avvenimenti, nonché ai
giornalisti professionisti che prestano la loro attività quotidiana, con l’osservanza
dell’orario di lavoro, nelle redazioni, anche succursali o distaccate, e nella direzione e
che non sempre sono addetti alla compilazione di articoli di elaborazione delle notizie,
provvedendo spesso alla scelta, revisione ed eventuale rielaborazione degli articoli
pervenuti.
4.1. L’effettuazione dei c.d. compiti di cucina redazionale, ovvero di tutte quelle

mansioni necessarie perché si possa giungere alla realizzazione del giornale quale
prodotto finale dell’opera collettiva redazionale, è posta – nella lettura interpretativa
che della figura del redattore è stata fornita dalla giurisprudenza di legittimità – sullo
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interpretativi che qui interessano.

stesso piano della redazione di articoli di informazione, commenti e servizi riguardanti
particolari avvenimenti; anzi, tale partecipazione, con apporto di originalità creativa al
prodotto collettivo redazionale, è il connotato indefettibile della qualifica di redattore.
Questa Corte ha, difatti, escluso (cfr. Cass. n. 13945 del 2000) che potesse dare luogo
all’attribuzione della qualifica di redattore il rapporto di lavoro di un giornalista che,

di vario genere, non aveva tuttavia effettuato la suddetta attività, non essendo
risultato che egli avesse collaborato con i redattori alla formazione della pagina
giornalistica, interagendo con il corpo redazionale nei tempi e nei modi imposti dalle
esigenze della produzione.
4.2.

Dunque, deve escludersi che possa essere attribuita la qualifica di redattore a

colui che si limiti a trasmettere notizie, sia pure di importanza e frutto di un’autonoma
elaborazione, senza però prendere parte alla vita della redazione centrale o distaccata.
Tratto peculiare del giornalista redattore è l’inserimento nei quadri organici che si
realizza attraverso un collegamento con la redazione e che può assumere varie
modalità, con la partecipazione effettiva ai diversi e più significativi momenti
dell’attività di redazione.
4.3.

Quanto all’apporto di originalità creativa, deve osservarsi che è sufficiente ad

integrare tale requisito che il giornalista elabori dei dati di fatto trasformandoli, grazie
alle proprie competenze e capacità, in informazioni fruibili dal pubblico dei lettori. Nel
concetto di creatività giornalistica, sono comprese, accanto all’attività che si realizza
con la stesura di pezzi ed articoli, tutte le altre attività che, afferendo alla elaborazione
od al completamento delle notizie, anche in ragione del modo e del tempo per fornirle
al pubblico, comporta creatività giornalistica, tra queste l’elaborazione di titoli, la
scelta del materiale fotografico che accompagna la notizia, come pure l’attività di
regolazione del flusso di notizie (cfr., riguardo a tale ultimo aspetto, Cass. n. 5009 del
1989).
5. Secondo la ricostruzione di fatto compiuta dai giudici di merito, alla stregua delle
risultanze istruttorie (in particolare, la deposizione del teste Pellegrino, ritenuto il solo,
fra i testi escussi, in grado di fornire dettagli sulle mansioni svolte dal ricorrente), deve
escludersi che la partecipazione del Siviero alla vita della redazione si concretasse in
attività prive del tratto distintivo della creatività giornalistica. Egli, come pure gli altri
redattori addetti al medesimo servizio, proponeva i pezzi; compilava le pagine, cioè
componeva titoli e didascalie; all’occorrenza, tagliava o riscriveva il servizio o lo

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Sivieroc/11 Mattino

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pur avendo collaborato con una impresa giornalistica con numerosi articoli e rubriche

aggiustava; poteva proporre prezzi propri (facoltà della quale ritenne di non
avvalersi.).
5.1. In relazione agli esiti dell’accertamento istruttorio compiuto dal giudice di merito,
è logicamente coerente la soluzione di ritenere che le mansioni svolte dal ricorrente
nel periodo di assegnazione presso il settore della redazione centrale “Campania e

in esso rientrando le attività di elaborazione, trattazione e sistemazione (c.d. compiti
del desk) del materiale proveniente dalle redazioni decentrate, come pure il taglio, la
revisione del testo, la scelta e la collocazione in pagina dell’articolo, la titolazione dei
pezzi e dei servizi, restando irrilevante che in tale periodo il ricorrente non avesse
redatto articoli propri.
6. Né può ritenersi che esista un diritto alla firma nel senso prospettato dall’odierno
ricorrente, ossia un diritto alla visibilità del redattore, tale per cui l’avere espropriato
delle mansioni consistenti nella redazione in proprio di articoli il redattore articolista
(ossia colui che ha maturato la propria professionalità essenzialmente attraverso la
redazione di articoli) costituisca, in difetto di ulteriori elementi, un comportamento
datoriale idoneo ad integrare di per sé un vulnus alla professionalità del redattore, il
quale avrebbe pertanto diritto a vedere conservate dette mansioni in caso esercizio
dello ius variandi datoriale. Il fattore “visibilità” può essere fonte di mere aspettative,
ma non costituisce alcun diritto in capo al redattore e non condiziona il datore di
lavoro nelle sue scelte organizzative, salvo il rispetto dei limiti di cui all’art. 2103 cod.
civ., la cui disciplina, dettata a tutela della equivalenza professionale delle mansioni,
nella specie non risulta essere stata violata (v. precedenti punti 4 e 5).
7. Il ricorrente si duole anche del fatto di essere stato assegnato ad un settore
(cronaca locale) diverso da quello (politica e cronaca italiana) in cui si era svolta la
pregressa fase del rapporto; a suo avviso, ciò si rifletterebbe sul diritto inderogabile
del lavoratore a vedere conservata l’equivalenza non solo rispetto alle mansioni
proprie della qualifica posseduta, ma anche rispetto alle “ultime effettivamente
svolte”, come letteralmente si esprime l’art. 2103 cod. civ..
7.1. Il principio or ora menzionato non può essere letto nel senso preteso dal
ricorrente. Il riferimento alla equivalenza delle mansioni “ultime effettivamente svolte”
contenuto nell’art. 2103 cod. civ. costituisce una parametro per valutare quali siano
stati i compiti svolti con sufficiente stabilità e consentire un più agevole confronto con
gli spostamenti adottati dal datore di lavoro, ma non costituisce titolo per una

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Sivierocill Mattino

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Grande Napoli” integrassero il contenuto tipico dell’attività giornalistica del redattore,

sostanziale inamovibilità di settore, ove le mansioni di nuova assegnazione siano
coerenti con il bagaglio professionale già acquisito dal lavoratore.
7.2. Non è dunque il settore di precedente assegnazione a costituire il termine di
raffronto, ma è il patrimonio professionale acquisito dal giornalista con tali esperienze
a dovere essere tutelato, in una prospettiva dinamica di valorizzazione delle capacità e

del 2005, n. 14666 del 2004).
7.3. Il protrarsi nel tempo dell’assegnazione ad un determinato settore non
costituisce, di per sé, titolo per il permanere futuro nella medesima posizione
organizzativa, essendo la tutela apprestata dall’art. 2103 cod. civ. rivolta a garantire
non già l’inamovibilità del dipendente o l’assegnazione al settore maggiormente
gradito, ma la concreta possibilità che al lavoratore sia consentito di valorizzare, e
possibilmente di affinare o arricchire, il livello di conoscenze culturali e di
professionalità raggiunto in precedenza.
8. Nel caso in esame, in base alla ricostruzione della vicenda desumibile dalla
sentenza impugnata, non risulta che l’attività redazionale svolta presso il settore di
nuova assegnazione non fosse coerente, in senso oggettivo (e non secondo il
soggettivo apprezzamento che di tale nesso possa avere avuto il Siviero), con il
bagaglio professionale posseduto dal ricorrente, quale redattore, sì da integrare una
dequalificazione suscettibile di risarcimento. Invero, l’intera costruzione sottesa alla
domanda appare incentrarsi sulla rilevanza determinante che il ricorrente attribuisce
alla visibilità all’esterno del suo prodotto intellettuale, circostanza che resta estranea per tutto quanto già esposto – al contenuto intrinseco del diritto tutelato dall’art. 2103
cod. civ..
9. Il quarto motivo resta assorbito nel rigetto dei primi tre.
10.

Le questioni di cui si lamenta l’omesso esame con il quinto motivo risultano

essere state trattate nella sentenza impugnata.
11.

Il sesto motivo, che censura la sentenza per presunto vizio di motivazione sulla

valutazione delle risultanze istruttorie, è privo della enucleazione di un momento di
sintesi e tende ad un riesame del merito. Le censure mosse al percorso argomentativo
si risolvono, difetti, non nella individuazione di vizi logici, ma nella ricerca di un
diverso apprezzamento degli elementi acquisiti al giudizio, inammissibile in questa
sede. La valutazione delle risultanze probatorie è apprezzabile, in sede di ricorso per
cessazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, primo comma, numero
5, cod. proc. civ., e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già
R.G. n. 21034/08
Ud. 19 febbraio2015
Sivieroal Mattino

di arricchimento del proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze (cfr. Cass. n. 7351

dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (cfr., ex plurimis,
Cass. n. 14267 del 2006; cfr. pure Cass. n. 2707 e n. 12912 del 2004).
12.

Il settimo motivo è infondato. Nel rito del lavoro, la valutazione di nullità del

ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, per mancata determinazione
dell’oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle

introduttivo della lite riservata – salva la censurabilità in sede di legittimità per vizi
della motivazione – al giudice del merito, il quale, in sede di appello, può trarre
elementi di conforto del proprio convincimento positivo circa la sufficienza degli
elementi contenuti nel ricorso dal rilievo che essi consentirono al giudice di primo
grado di impostare e svolgere l’istruttoria ritenuta necessaria per la decisione della
controversia (Cass. n. 7097 del 2012; v. pure Cass. n. 7843 del 2003, S.U. n. 6140
del 1993).
13.

L’ottavo motivo è inconferente rispetto al decisum e comunque in tutte le sue

articolazioni tende ad ottenere un riesame del merito sub specie violazione di legge,
ma in realtà censurando la disamina e la valutazione delle prove, senza enucleazione
di specifici vizi e senza individuazione di un momento di sintesi.
14. Il nono motivo è infondato, atteso che la mancata riproposizione della domanda
(o eccezione) nella precisazione delle conclusioni comporta l’abbandono della stessa,
assumendo rilievo solo la volontà espressa della parte, in ossequio al principio
dispositivo che informa il processo civile, con conseguente irrilevanza della volontà
rimasta inespressa (cfr. Cass. nn. 2093, 16840 e 20727 del 2013).
15.

E’ altresì infondato il decimo motivo, con il quale si assume che la mancata

specifica impugnazione, da parte della società appellante, della disposta reintegrazione
del ricorrente nel posto di lavoro configurerebbe acquiescenza parziale alla sentenza di
primo grado. Deve osservarsi che trova applicazione il principio, desumibile dall’art.
336 cod. proc. civ., comma 1, secondo cui la riforma o la cassazione, anche parziale,
della sentenza ha effetto sulle parti dipendenti dalla parte riformata o cassata (cd.
“effetto espansivo interno”) e determina, pertanto, la caducazione di tale capo della
pronuncia, seppure non espressamente impugnato. Così nel caso di impugnazione
parziale, l’acquiescenza alle parti della sentenza non impugnata si verifica solo quando
le parti della sentenza siano del tutto autonome l’una rispetto all’altra e non anche
quando la parte non impugnata si ponga in nesso consequenziale con l’altra e trovi in
essa il suo presupposto, perché in tal caso gli effetti dell’accoglimento
dell’impugnazione si estendono ai capi dipendenti o che ne costituiscano un
R.G. n. 21034/08
Ltd 19 febbraio2015
Sivieroc/11 Mattino

ragioni di diritto sulle quali questa si fonda, implica una interpretazione dell’atto

consequenziale sviluppo, pur se non espressamente e direttamente investiti
dall’impugnazione e dalla pronuncia (Cass. n. 6494 del 1988, n. 438 del 1996, n. 2747
del 1998, n. 2062 del 2001, n. 9141 del 2007; v. pure Cass. n. 6101 del 2014).

16.

In conclusione, il ricorso va respinto con compensazione delle spese, stante la

;

complessità e parziale novità delle questioni sottoposte all’esame di questa Cotte.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2015
Il Consigliere est.

Il Presid nte

P.Q.M.

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