Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9117 del 20/04/2011

Cassazione civile sez. VI, 20/04/2011, (ud. 14/04/2011, dep. 20/04/2011), n.9117

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 5590/2010 proposto da:

M.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE 22, presso lo studio dell’avvocato POTTINO

Guido Maria, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ZAULI CARLO, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ALLEANZA TORO SPA, in persona dei procuratori speciali della Generali

Buiness Solutions S.c.p.a. – mandataria e rappresentante della

Società Alleanza Toro Spa, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato VINCENTI Marco,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato RUGGERO

PIAZZOLLA giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

P.A., G.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 23/2010 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA del

9/11/09, depositata il 13/01/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/04/2011 dal Presidente Relatore Dott. MARIO FINOCCHIARO;

udito l’Avvocato Gian Marco Spani, (delega avvocato Marco Vincenti)

difensore della controricorrente che si riporta agli scritti;

è presente il P.G., in persona del Dott. IGNAZIO PATRONE che

condivide la relazione scritta.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

1. E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente comunicata al P.G. e notificata alle parti.

“Il relatore Cons. Dott. Giancarlo Urban, letti gli atti depositati, osserva:

Con sentenza pubblicata il 13 gennaio 2010, la Corte d’Appello di Bologna rigettava l’appello proposto da M.G. in relazione alla sentenza del Tribunale di Forlì pubblicata il 31 luglio 2003 che aveva ritenuto la congruità del risarcimento di L. 100 milioni già corrisposto dalla compagnia di assicurazioni per l’investimento subito sulle strisce pedonali ad opera dell’autovettura condotta da G.M., unico responsabile del fatto.

Propone ricorso per cassazione M.G. con 11 motivi, tutti riguardanti i criteri seguiti per la liquidazione del danno patrimoniale e non patrimoniale: nel criticare le motivazioni recepite dai giudici dell’appello, il ricorrente rileva la illogicità e la incoerenza delle valutazioni, limitandosi a proporre una lettura alternativa delle risultanze di causa senza individuare specifiche valutazioni erronee o incongrue applicazioni dei canoni della logica: la motivazione assunta nella sentenza impugnata supera quindi in modo limpido il vaglio di legittimità demandato a questa Corte: secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite il giudice di legittimità non ha il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione. (Cass. sez. un., 27 dicembre 1997 n. 13045). Nella specie, i giudici del merito hanno invece valutato in modo coerente e completo le risultanze agli atti, pervenendo al convincimento, adeguatamente e compiutamente motivato, della congruità del risarcimento già riconosciuto al ricorrente.

Il ricorso risulta quindi manifestamente infondato”.

2. Il collegio condivide i motivi in fatto e diritto esposti nella relazione, apparendo totalmente irrilevanti – al fine di un superamento degli argomenti ivi sviluppati – le considerazioni spiegate nella memoria.

Infatti:

– perchè venga, d’ufficio, disposto – da una delle sezioni semplici – il rinvio del ricorso al Primo Presidente per la eventuale rimessione dello stesso all’esame delle Sezioni Unite è indispensabile che il ricorso, alternativamente, presenti una questione di diritto già decisa in modo difforme dalle sezioni semplici o che il ricorso stesso presenti una questione di massima di particolare importanza: nella specie non ricorre nè l’una nè l’altra eventualità (salva la circostanza che, ex se, palesemente non giustifica la detta rimessione, che il relatore ha proposto – anzichè l’accoglimento del ricorso, come auspicato dalla difesa di parte ricorrente – il rigetto del ricorso perchè manifestamente infondato;

– assolutamente irrilevanti – e non pertinenti, al fine del decidere – sono i richiami ai principi enunciati da Cass. 12 giugno 2007, n. 13748 nonchè da Cass. 10 ottobre 2006, n. 21707, atteso, da un lato, che trattasi di pronunce rese in margine a un diverso quadro normativo (in particolare sull’art. 375 c.p.c., come sostituito dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 1, e senza alcun riferimento al testo di tale disposizione come risultante per effetto delle modifiche introdotte prima dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, poi dalla L. 18 giugno 2009, n. 69) e, comunque, prima dell’introduzione – nell’ordinamento – dell’art. 380 bis c.p.c., dall’altro che le stesse non hanno in alcun modo affermato quanto invocato dalla difesa di parte ricorrente, essendosi limitate a precisare che tema di giudizio di cassazione, l’inammissibilità della pronunzia in camera di consiglio è ravvisabile solo ove la Suprema Corte ritenga che non ricorrano le ipotesi di cui all’art. 375 c.p.c., comma 1, ovvero che emergano condizioni incompatibili con una trattazione abbreviata, nel qual caso la causa deve essere rinviata alla pubblica udienza, mentre ove, per contro, la Corte ritenga che la decisione de, ricorso presenti aspetti d’evidenza compatibili con l’immediata decisione, ben può pronunziarsi per la manifesta fondatezza dell’impugnazione, anche nel caso in cui le conclusioni del P.G. siano state all’opposto, per la manifesta infondatezza, e viceversa mentre nella specie la Corte non ritiene ancorchè andando di diverso avviso rispetto a quanto auspicato dalla difesa di parte ricorrente la decisione del ricorso sia incompatibile con l’immediata decisione;

– in generale, il principio che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, deve ritenersi, in particolare, inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, non essendo al riguardo sufficiente un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi tra le argomentazioni in base alle quali si ritiene di censurare la sentenza impugnata e di assolvere, così, il compito istituzionale di verificare il fondamento della suddetta violazione.

Qualora, peraltro, venga allegata (come prospettato nella specie dal ricorrente) l’erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze della causa di merito, tale deduzione è da ritenersi esterna alla esatta interpretazione delle norme di legge impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è ammissibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione ma non sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di legge (Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 5 giugno 2007, n. 13066);

– in altri, termini il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di cassazione). Viceversa, la allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo questa ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa. (Cass. 6 agosto 2010, n. 18375; Cass. 26 aprile 2010, n. 9908; Cass. 5 giugno 2007, n. 13066);

– pacifico quanto sopra è agevole osservare che in tutti i motivi in cui si articola il ricorso stesso parte ricorrente pur assumendo – nella rubrica – la violazione o falsa applicazione di molteplici norme di diritto, in realtà ben lungi dal denunziare la interpretazione o la applicazione fatta dai giudici del merito delle indicate disposizioni, si limita a censurare la interpretazione, da parte dei giudici di merito, delle risultanze di causa e a sollecitare, centra legem e cercando di superare quelli che sono i limiti del giudizio di cassazione, una nuova lettura delle stesse risultanze, conforme a quella prospettata da essa ricorrente;

– il motivo di ricorso per cassazione con il quale alle sentenza impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione, ancora, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deve essere inteso a far valere carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nella attribuzione agli elementi di giudizio di un significato fuori dal senso comune, o ancora, mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi, mentre non può,invece, essere inteso a far valere – come ora pretende la difesa del ricorrente – la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti (cfr., da ultimo, Cass. 10 marzo 2011, n. 5700, specie in motivazione);

– la giurisprudenza di questa Corte regolatrice – in termini opposti a quanto del tutto apoditticamente invoca la difesa di parte ricorrente – è fermissima, da lustri, nell’affermare che rientra nel potere discrezionale del giudice di merito accogliere o rigettare l’istanza di rinnovo della consulenza tecnica d’ufficio, senza che l’eventuale provvedimento negativo possa essere censurato in sede di legittimità, quando risulti che gli elementi di convincimento per disattendere la richiesta della parte siano stati tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e ritenute esaurienti dal giudice, con valutazione immune da vizi logici e giuridici (Cass. 11 maggio 2007, n. 10849; Cass. 3 aprile 2007, n. 8355; Cass. 2 marzo 2006, n. 4660; Cass. 24 gennaio 2001, n. 846; Cass. 6 luglio 1999, n. 6880; Cass. 4 agosto 19945, n. 8622);

– certo quanto precede, non controverso che i giudici del merito hanno espressamente, e adeguatamente, motivato le ragioni per le quali non è stata disposta la rinnovazione della consulenza tecnica, è palese la inammissibilità del ricorso anche sotto il profilo in questione.

Il proposto ricorso, pertanto, deve essere rigettato con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00, oltre e Euro 4.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, della Corte di Cassazione, il 14 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2011

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