Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9117 del 02/04/2019

Cassazione civile sez. lav., 02/04/2019, (ud. 13/12/2018, dep. 02/04/2019), n.9117

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13478/2015 proposto da:

S.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANARO 25,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO VISCO, rappresentato e

difeso dall’avvocato VINCENZO DE MICHELE;

– ricorrente –

contro

CTP S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CESARE BARONIO 54/A, presso

lo studio dell’avvocato ROBERTO BARBERIO, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 159/2014 della CORTE D’APPELLO LECCE – SEZ.

DIST. DI TARANTO, depositata il 15/05/2014 R.G.N. 161/2010.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in accoglimento dell’appello proposto dalla CTP s.p.a., ha riformato la sentenza del Tribunale della stessa città che, in parziale accoglimento della domanda proposta da S.C., ne aveva accertato l’intervenuta e perdurante dequalificazione condannando la società a reintegrare il lavoratore nelle mansioni di bigliettaio o in altre equivalenti e l’aveva condannata al risarcimento del danno biologico, temporaneo e permanente per il periodo febbraio 1999 – novembre 2001 rigettando le altre domande.

2. Il giudice di appello, pur dando atto che in un precedente procedimento instaurato dal S. e da altri dipendenti della CTP s.p.a. era stato accertato il loro diritto ad essere adibiti a mansioni di bigliettaio o ad altre equivalenti, ha tuttavia rigettato l’appello incidentale proposto dal lavoratore escludendo, al pari del giudice di primo grado, che il S. avesse subito, per effetto dell’assegnazione alle mansioni di pulizia a secco dei mezzi e di controllo delle obliteratrici automatiche, un danno alla professionalità (patrimoniale ed esistenziale). Con riguardo al danno patrimoniale ha osservato in particolare che il lavoratore aveva conservato nel tempo la medesima retribuzione già percepita nelle precedenti mansioni e che nessuna specifica allegazione era stata formulata dal lavoratore a sostegno della sua domanda. Quanto alla perdita di professionalità specifica la Corte territoriale ha osservato che i compiti di bigliettaio in precedenza svolti, stante la loro assoluta semplicità, non erano suscettibili di subire una riduzione o un arricchimento ed ha rammentato che al S. era stata invano offerta l’opportunità di riqualificarsi in mansioni di conducente di linea. Con riguardo al danno alla salute, liquidato dal primo giudice in Euro 23.000,00 oltre accessori, oggetto dell’appello principale della CTP s.p.a., ha poi accertato che la diagnosi di disturbo post traumatico da stress era stata fondata sulla sola relazione di un consulente di parte, poi sentito come teste, e non aveva tenuto conto di fattori familiari e della reattività manifestata coi colleghi di lavoro ed in ambito sindacale, trascurando altresì che le menomazioni funzionali descritte (perdita di fiducia in sè e nelle relazioni prossime e incapacità di vivere serenamente le relazioni sociali) sarebbero incompatibili con l’attività svolta di Consigliere del Comune di San Vito dei Normanni.

3. Per la cassazione della sentenza propone ricorso S.C. affidato a tre motivi. Resiste con controricorso la CTP s.p.a.. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4.1. Sostiene il ricorrente che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che il provvedimento disciplinare di retrocessione del lavoratore alle mansioni di ausiliario generico fosse intervenuto nel corso del giudizio, sebbene fosse stato documentalmente provato che era stato adottato prima del suo inizio. Tale circostanza era stata allegata al ricorso introduttivo e ne era contestata la legittimità, evidenziandosi che si era trattato di una reazione datoriale alla lettera con la quale era stata contestata alla datrice di lavoro la perdurante adibizione a mansioni inferiori e dequalificanti. Conseguentemente il giudice di appello avrebbe dovuto pronunciarsi sul denunciato demansionamento e non avendolo fatto sarebbe incorso nella denunciata violazione.

5. La censura è infondata.

5.1. La sentenza della Corte territoriale assume come fatto presupposto ed accertato l’intervenuto demansionamento del lavoratore e dà atto anche del provvedimento di retrocessione. Nega tuttavia il risarcimento sul presupposto che non era stata allegata alcuna specifica circostanza dalla quale desumere anche in via presuntiva il danno neppure in termini di perdita di chance.

5.2. La circostanza che il provvedimento di retrocessione non sia intervenuto nel corso del giudizio ma prima del suo inizio non incide sulla persistente necessità di provare il danno nella sua esistenza e consistenza. Nessuna violazione dell’art. 112 c.p.c., è ravvisabile pertanto nel caso concreto e neppure sussiste l’omesso esame di fatto decisivo denunciato dal ricorrente poichè il fatto, demansionamento, è stato compiutamente preso in esame dalla Corte territoriale nelle sue varie sfaccettature ed è stato ritenuto positivamente accertato addirittura, per una parte consistente, con sentenza passata in giudicato.

6. Il secondo motivo di ricorso, con il quale è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2103,2697,2727 e 2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.c., è anch’esso infondato.

Va premesso che la Corte territoriale non ha negato il risarcimento perchè le mansioni erano semplici e la retribuzione era rimasta inalterata ma piuttosto sul rilievo che il lavoratore, che ne era onerato, non aveva neppure allegato in cosa sarebbe consistita la perdita di professionalità lamentata osservando che solo a fronte di tale allegazione e prova il danno avrebbe potuto essere riconosciuto e liquidato anche solo in via equitativa.

Si tratta di affermazione che non viola le norme denunciate e, peraltro, non è neppure specificatamente censurata nel ricorso.

7. Il terzo motivo di ricorso, con il quale si deduce, in ordine alla richiesta di condanna al risarcimento del danno biologico rigettata dalla Corte territoriale in riforma della sentenza di primo grado, la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 Cost. e degli artt. 2043 e 2087 c.c., degli artt. 61,112,115,116 e 191 c.p.c., del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e dell’Accordo Quadro Europeo sullo stress lavoro correlato dell’8 ottobre 2004 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, è invece fondato nei termini di seguito esposti.

7.1. Va infatti rammentato che secondo un risalente e consolidato orientamento di questa Corte, affermatosi anteriormente alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (operata con D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134), in caso di richiesta di una consulenza tecnica di ufficio, laddove questa risulti l’unico possibile mezzo di accertamento e/o di valutazione sul piano tecnico dei fatti allegati dalla parte, la sentenza che si limiti a rigettare la richiesta con l’affermazione che i fatti in questione devono essere provati dalla parte che li allega è viziata sul piano della motivazione (cfr. Cass. 23/02/1985 n. 1618, 15/05/1987 n. 4472, 09/12/1996 n. 10938, 10/03/2004 n. 4927, 01/03/2007 n. 4853, 16/04/2008 n. 10007, 03/01/2011 n. 72, 10/09/2013 n. 20695, 22/01/2015 n. 1190, 01/09/2015n. 17399). Dopo la modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si è affermato che in siffatta situazione sussisterebbe comunque il vizio indicato nella nuova formulazione della disposizione, se il rigetto dell’istanza probatoria si risolva nell’omesso esame di uno specifico fatto storico, decisivo e controverso, ovvero laddove esso sia fondato su motivazione apparente o perplessa, di modo che resti preclusa alla parte la possibilità di assolvere l’onere probatorio su lei gravante (cfr. Cass. 21/11/2017 n. 27574 23/03/2017 n. 7472 e 22/06/2016n. 12884).

7.2. E’ esattamente quello che si è verificato nel caso in esame atteso che il ricorrente aveva allegato l’esistenza di una sindrome ansioso depressiva reattiva, disturbo distimico, disturbo dell’adattamento con ansia e disturbo post traumatico da stress ed aveva prodotto a supporto delle sue allegazioni documentazione medica proveniente da strutture pubbliche ed una relazione medica di parte che era stata confermata sotto giuramento dal perito sentito come teste. Ne consegue che la Corte per ribaltare l’esito del giudizio di primo grado sul punto avrebbe dovuto specificamente e motivatamente chiarire le ragioni per le quali le questioni medico legali che le erano sottoposte e che risultavano documentate dovevano essere disattese e, nella specie, non vi è dubbio che la consulenza tecnica di ufficio era l’unico mezzo possibile per accertare e valutare il danno che era stato specificamente allegato dal ricorrente e da questi documentato con la relazione medica prodotta. Al contrario la sentenza con motivazione tautologica, rigetta la domanda sulla base di considerazioni che non tengono affatto conto del quadro clinico rappresentato e della documentazione medica prodotta sicchè deve ritenersi verificata la violazione denunciata.

7.3. Va invece dichiarata inammissibile la censura nella parte in cui sottopone all’attenzione della Corte una valutazione della condotta datoriale anche sotto il profilo delle regole dettate dall’Accordo Quadro Europeo sullo stress lavoro correlato atteso che si tratta di questione del tutto nuova che non è stata trattata dalla Corte di appello e che non risulta esserle stata tempestivamente sottoposta.

8. In conclusione il terzo motivo di ricorso deve essere accolto nei termini sopra indicati, mentre il primo ed il secondo motivo devono essere rigettati. All’accoglimento parziale consegue la cassazione della sentenza con rinvio alla Corte di appello di Lecce in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il terzo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione e rigetta il primo ed il secondo motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 13 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2019

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