Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9116 del 01/04/2021
Cassazione civile sez. lav., 01/04/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 01/04/2021), n.9116
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 29441/2016 proposto da:
C.M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
DELLA GIULIANA 83/A, presso lo studio dell’avvocato WLADIMIRA
ZIPPARRO, rappresentata e difesa dall’avvocato PASQUALE REGINA;
– ricorrente –
contro
ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DELLA PUGLIA E DELLA
BASILICATA;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2082/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI,
depositata il 19/07/2016 R.G.N. 1740/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
19/01/2021 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
MUCCI Roberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato PASQUALE REGINA.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’Appello di Bari ha riformato parzialmente la sentenza del Tribunale di Foggia che aveva rigettato tutte le domande proposte nei confronti dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata da C.M.L., la quale aveva domandato l’accertamento del diritto alla stabilizzazione del rapporto di lavoro in ragione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa intercorsi con l’istituto nell’arco temporale 1 marzo 2002/31 dicembre 2006 e la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno da commisurare alle retribuzioni non percepite.
2. La Corte territoriale ha ritenuto fondata la prima domanda e, rilevata la specialità della normativa dettata per gli Istituti Zooprofilattici dalla L. n. 296 del 2006, ha evidenziato che il legislatore, nel consentire al comma 566 la stabilizzazione “del personale precario”, ha significativamente utilizzato termini diversi da quelli cui al comma 519, che limita la possibilità di stabilizzazione al “personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato”, e ciò ha fatto evidentemente al fine di ricomprendere nelle procedure anche coloro che avevano maturato nel settore un’esperienza significativa anche sulla base di contratti di lavoro autonomo.
3. Il giudice d’appello, peraltro, ha escluso che potesse trovare accoglimento la domanda risarcitoria ed ha evidenziato che il diritto alla stabilizzazione altro non è se non il diritto a partecipare alle procedure disciplinate dalla L. n. 296 del 2006, perchè l’assunzione richiede ulteriori condizioni ed in particolare il rispetto delle previsioni della dotazione organica e dei limiti di spesa, in assenza delle quali non si può “postulare la certezza dell’assunzione ai fini del risarcimento del danno”.
4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso C.M.L. sulla base di un unico motivo, al quale l’Istituto non ha opposto difese, rimanendo intimato.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso denuncia, ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, “nullità parziale della sentenza per mancato esame di atti decisivi e per difetto di pronuncia sulla specifica domanda ex art. 112 c.p.c.; omesso esame circa fatti e documenti decisivi della controversia” e addebita, in sintesi, alla Corte territoriale di non avere pronunciato sull’invocata disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi adottati dall’Istituto e di non avere correttamente interpretato la domanda, con la quale la ricorrente aveva sostanzialmente dedotto di essere stata esclusa dalla procedura attivata dall’ente e di avere diritto a partecipare alla procedura stessa. Aggiunge che una volta riconosciuto il diritto alla stabilizzazione non poteva il giudice d’appello respingere la domanda risarcitoria, perchè tutti coloro che erano stati ammessi alla procedura erano stati poi assunti con contratti a tempo indeterminato.
2. Deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, perchè formulato senza il necessario rispetto dell’onere di specifica indicazione imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6.
Occorre premettere che il principio secondo cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato o a quello del tantum devolutum quantum appellatum, trattandosi in tal caso della denuncia di un error in procedendo che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e deduzioni delle parti (cfr. fra le tante Cass. n. 11103/2020; Cass. n. 25259/2017; Cass. n. 21421/2014).
Si è, però, aggiunto e precisato che l’esercizio di detto potere è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (Cass. S.U. n. 8077/2012).
La parte, quindi, non è dispensata dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, non essendo consentito il rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito, perchè la Corte di Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale, deve essere posta in condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura e deve procedere solo ad una verifica degli atti stessi non già alla loro ricerca (cfr. fra le più recenti Cass. S.U. n. 20181/2019; Cass. n. 20924/2019).
Nel caso di specie la ricorrente si è limitata a trascrivere nel ricorso le conclusioni dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado che, da sole, non consentono di individuare la domanda proposta, perchè l’individuazione del petitum va compiuta attraverso l’esame complessivo dell’atto, avendo riguardo, quindi, anche alla parte espositiva che sorregge le conclusioni (Cass. n. 26470/2016; Cass. n. 11631/2018). Il principio a maggior ragione opera nella fattispecie, nella quale l’omessa pronuncia è dedotta in relazione alla richiesta di disapplicazione formulata nelle conclusioni, giacchè quest’ultima non può costituire oggetto di un’autonoma domanda, essendo solo lo strumento attraverso il quale viene assicurata tutela al diritto soggettivo dedotto in giudizio sul quale incide l’atto amministrativo asseritamente illegittimo.
Si aggiunga che manca nel ricorso qualsiasi indicazione della sede processuale nella quale l’atto è rintracciabile e tale mancata “localizzazione” basterebbe da sola a sorreggere la pronuncia di inammissibilità, anche a prescindere dalla completezza o meno della riproduzione (Cass. S.U. n. 20181/2019; Cass. n. 28184/2020).
2.1. Parimenti inammissibile è la censura con la quale, attraverso la denuncia del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, si addebita alla Corte territoriale di avere ritenuto non provato il danno sebbene dalla documentazione prodotta emergesse che tutti coloro ai quali era stata consentita la partecipazione alla procedura di stabilizzazione erano stati assunti dall’ente.
Con la recente sentenza n. 34476/2019 le Sezioni Unite di questa Corte hanno riassunto i principi, ormai consolidati, affermati a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ad opera del D.L. n. 83 del 2012 e, rinviando a Cass. S.U. n. 8053/2014, Cass. S.U. n. 9558/2018, Cass. S.U. n. 33679/2018, hanno evidenziato che: il novellato testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma.
La censura formulata nel ricorso esula dai limiti fissati dal riformulato art. 360 c.p.c., n. 5, perchè addebita alla Corte non l’omesso esame di un “fatto”, bensì la mancata valorizzazione di documenti che avrebbero consentito, ove esaminati, di ritenere provato il nesso causale fra l’inadempimento ed il pregiudizio del quale si chiedeva il ristoro.
Il motivo, quindi, finisce per sollecitare un giudizio di merito, non consentito al giudice di legittimità.
3. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile. Poichè l’Istituto Zooprofilattico della Puglia è rimasto intimato, non occorre provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2021