Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9115 del 01/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 01/04/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 01/04/2021), n.9115

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17064/2016 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA P.

FALCONIERI 55, presso lo studio dell’avvocato AUGUSTA MASSIMA

CUCINA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO

FRANCESCO BRUNELLO;

– ricorrente –

contro

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI PADOVA, in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI

n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 639/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 26/01/2016 R.G.N. 197/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2021 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MUCCI Roberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato AUGUSTA MASSIMA CUCINA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’ Appello di Venezia ha respinto l’appello proposto da C.G. avverso la sentenza del Tribunale di Padova che aveva rigettato la domanda, formulata nei confronti dell’Università degli Studi di Padova, volta ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità del Decreto del Direttore Amministrativo n. 1466 del 1999, con il quale era stato annullato il precedente Decreto del 26 giugno 1998, che aveva quantificato in Lire 40.000.000 annui la retribuzione di posizione.

Il ricorrente aveva altresì domandato, quale conseguenza della pronuncia sul tema principale, la condanna dell’Università ad assumere “ogni conseguente provvedimento amministrativo…..per il ripristino dell’erogazione pensionistica antecedente al provvedimento oggetto di ricorso” ed a corrispondere gli interessi e la rivalutazione monetaria sulle minor somme erogate dall’ente previdenziale a titolo pensionistico.

2. Il giudice d’appello, richiamata la vicenda processuale che aveva determinato il 24 gennaio 2006 la sospensione del giudizio riassunto solo il 13 maggio 2015, per quel che ancora rileva in questa sede, ha evidenziato che la retribuzione di posizione del C. e degli altri dirigenti dell’Università era stata quantificata, nel rispetto della procedura prevista dal c.c.n.l. vigente ratione temporis, con deliberazione del 13 maggio 1997, adottata dal Consiglio di Amministrazione previa graduazione delle funzioni e individuazione di tre distinte fasce nelle quali gli incarichi andavano collocati.

All’appellante era stato riconosciuto l’importo di Lire 36.000.000, poi aumentato a Lire 40.000.000 dal Direttore Amministrativo con il decreto del 26 giugno 1998, revocato dall’Università sul presupposto che lo stesso fosse in contrasto con le previsioni della contrattazione collettiva.

3. La Corte territoriale ha ritenuto, a prescindere da ogni considerazione sulla competenza del Direttore Amministrativo, che anche la deliberazione di aumento dell’importo annuale richiedesse il rispetto dell’iter deliberativo previsto dal c.c.n.l. e, pertanto, richiamata giurisprudenza di questa Corte, ha ritenuto la nullità dell’atto poi revocato ed ha escluso che l’appellante potesse invocare i principi di correttezza e buona fede e fare leva sulla non riconoscibilità dell’errore per pretendere una retribuzione di posizione non dovuta.

4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso C.G. sulla base di tre motivi ai quali l’Università di Padova ha opposto difese con tempestivo controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e sostiene, in sintesi, di avere rappresentato alla Corte territoriale che la sua posizione non poteva essere accomunata a quella degli altri dirigenti perchè solo per questi ultimi l’aumento deliberato dal Direttore Amministrativo aveva superato i limiti della fascia di riferimento, risolvendosi in una diversa graduazione della funzione dirigenziale. Per il ricorrente, invece, la retribuzione di posizione riconosciuta era rimasta contenuta nei limiti previsti dal c.c.n.l. e, pertanto, non sussisteva alcun profilo di illegittimità, posto che l’amministrazione annualmente ridetermina il trattamento accessorio, in relazione alla consistenza del relativo fondo, senza necessità di ripetere l’intero iter.

2. La seconda censura, ricondotta al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, addebita alla sentenza impugnata la violazione di norme di legge (D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 4,16,24,27 e 70) e di contratto (artt. 37, 38, 40 e 41 del c.c.n.l. per il quadriennio 1994/1997; art. 5 del CCNL per il biennio economico 1996/1997). Il ricorrente premette che l’atto, poi revocato, era stato legittimamente adottato dal Direttore Amministrativo perchè a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 80 del 1998, tutti gli atti di gestione dei rapporti di lavoro erano stati riservati ai dirigenti e sottratti alla competenza degli organi di governo degli enti. Ribadisce, poi, le considerazioni già anticipate nel primo motivo e sostiene che sulla base della disciplina contrattuale non è necessario ripetere annualmente la procedura, con la conseguenza che la retribuzione di posizione può essere rideterminata purchè vengano rispettati i limiti annuali del fondo ed i massimi previsti dalla contrattazione collettiva, entrambi non violati quanto alla posizione del ricorrente.

3. Con il terzo motivo si denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175,1324,1428 c.c., nonchè la violazione del “principio generale dell’ordinamento sull’intangibilità dei diritti quesiti” perchè, una volta esclusa la nullità dell’atto, anche la pubblica amministrazione, al pari di ogni altro datore di lavoro privato non può unilateralmente ridurre la retribuzione riconosciuta in favore del dipendente. Aggiunge il ricorrente che nessun rilievo poteva essere attribuito al parere della Ragioneria Provinciale dello Stato che non ha competenza in tema di interpretazione ed applicazione di norme di diritto. Infine ribadisce che anche qualora l’atto revocato fosse stato illegittimo, l’Università avrebbe potuto esercitare il potere di annullamento solo dimostrando la riconoscibilità dell’errore commesso.

4. Il ricorso è inammissibile in tutte le sue articolazioni perchè incentrato su atti deliberativi e documenti rispetto ai quali non risulta assolto l’onere di specifica indicazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6.

Nel giudizio di cassazione, a critica vincolata ed essenzialmente basato su atti scritti, essendo ormai solo eventuale la possibilità di illustrazione orale delle difese, i requisiti di completezza e di specificità imposti dall’art. 366 c.p.c., perseguono la finalità di consentire al giudice di legittimità di avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, e, pertanto, qualora la censura si fondi su atti o documenti è necessario che di quegli atti il ricorrente riporti il contenuto, mediante la trascrizione delle parti rilevanti, precisando, inoltre, in quale sede e con quali modalità gli stessi siano stati acquisiti al processo.

La specificazione, da intendere nei termini sopra precisati, è funzionale, infatti, non solo alla comprensione del motivo di doglianza, ma anche alla individuazione degli indispensabili presupposti fattuali sui quali esso si basa e, soprattutto, a consentire alla Corte la valutazione della sua decisività.

Occorre poi che la parte assolva al distinto onere previsto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., n. 4, perchè l’art. 366 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 5, riguarda le condizioni di ammissibilità del ricorso mentre la produzione è finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento, sempre che lo stesso sia stato specificamente indicato nell’impugnazione (Cass. n. 19048/2016).

I richiamati principi sono stati ribaditi dalle Sezioni Unite in recente decisione con la quale si è affermato che “in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità” (Cass. S.U. n. 34469/2019).

Nel caso di specie il ricorrente, pur avendo assolto all’onere imposto dall’art. 369 c.p.c., n. 4, nelle premesse in fatto si è limitato ad indicare l’oggetto delle deliberazioni ed un minimo stralcio del contestato D.Diret. 27 luglio 1999, ma non ha riportato, neppure nelle parti essenziali, nè i rilievi mossi dalla Ragioneria provinciale, nè la parte motiva del decreto del 26 giugno 1998, quest’ultimo neppure inserito fra gli atti prodotti in questa sede, sebbene il ricorso si incentri proprio sulla legittimità del deliberato aumento della retribuzione di posizione, del quale, però, si ignorano le ragioni, così come si ignora se lo stesso fosse stato accompagnato dal necessario corrispondente aumento del fondo disciplinato dall’art. 27 del CCNL 5.3.1998.

5. Alle considerazioni che precedono, assorbenti perchè comuni a tutte le censure, si deve aggiungere che la diversità della posizione del C. rispetto a quella degli altri dirigenti non costituisce un fatto storico il cui mancato apprezzamento possa essere denunciato ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno in più occasioni affermato che il novellato testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo. Hanno aggiunto che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie, e neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma (Cass. S.U. n. 34476/2019 che richiama Cass. S.U. n. 8053/2014, Cass. S.U. n. 9558/2018, Cass. S.U. n. 33679/2018).

E’ evidente che la diversità delle posizioni proprie dei vari dirigenti rimasti coinvolti nella vicenda non costituisce un “fatto” nei termini sopra indicati, perchè frutto di giudizio comparativo, la cui omissione, seppure incidente sulla completezza della motivazione, non può più essere denunciata in sede di legittimità, atteso che, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, assume rilievo solo l’anomalia motivazionale che sia tale da determinare il difetto del requisito richiesto dall’art. 132 c.p.c., n. 4.

6. Quanto al regolamento delle spese, occorre innanzitutto evidenziare che il controricorso, spedito a mezzo posta l’8 agosto 2016, nel rispetto del termine perentorio di cui al combinato disposto degli artt. 370 e 369 c.p.c., è pervenuto all’indirizzo del procuratore domiciliatario il 10 agosto 2016 e della ricezione dell’atto da parte del portiere dello stabile è stata data notizia al destinatario dall’agente postale (cfr. avviso di ricevimento in atti).

Il ricorrente, pertanto deve essere condannato al pagamento delle spese in favore dell’Università controricorrente, liquidate come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2021

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