Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9114 del 02/04/2019

Cassazione civile sez. lav., 02/04/2019, (ud. 11/12/2018, dep. 02/04/2019), n.9114

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 791/2014 proposto da:

F.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA

334, presso lo studio dell’avvocato CARLO FERRUCCIO LA PORTA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FEDERICO MAVILLA;

– ricorrente –

contro

REGIONE AUTONOMA VALLE D’AOSTA, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, rappresentata e

difesa dall’avvocato PAOLO TOSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 560/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 27/06/2013 R.G.N. 676/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/12/2018 dal Consigliere Dott. ALFONSINA DE FELICE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per parziale accoglimento per

quanto di ragione;

udito l’Avvocato CARLO FERRUCCIO LA PORTA;

udito l’Avvocato FEDERICO MAVILLA;

udito l’Avvocato ELISA PUCCETTI per delega Avvocato PAOLO TOSI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. F.M., assunta con il profilo operatore di sostegno, categoria C, posizione economica C2, del CCRL del comparto unico della Valle d’Aosta, in forza di una pluralità di contratti a tempo determinato succedutisi nel tempo a decorrere dall’anno 2003 fino all’anno 2009, proponeva ricorso al Giudice del lavoro: a) per far dichiarare, previo accertamento della illegittimità dell’apposizione del termine, la trasformazione dei contratti in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze della Regione Valle d’Aosta a far data della prima stipulazione; b) per ottenere la corresponsione delle somme non percepite nei periodi di interruzione del rapporto di lavoro tra i singoli contratti; c) per il risarcimento dei danni derivatile dall’abusivo ricorso ai contratti a tempo determinato, da liquidarsi nella misura di venti mensilità della retribuzione globale di fatto o nella diversa misura ritenuta di giustizia; d) per la condanna della Regione Valle d’Aosta “in ogni caso….a rifondere alla ricorrente tutti i danni patiti in conseguenza del contegno illegittimo tenuto dal datore di lavoro nel caso per cui è giudizio da liquidarsi anche in via equitativa da parte del Giudice del Tribunale di Aosta, salva determinazione nei termini di legge”.

2. Il Giudice del lavoro del Tribunale di Aosta, ritenuta la fondatezza delle ragioni di illegittimità prospettate a fondamento del ricorso, ma negata la conversione del rapporto di lavoro, stante il divieto di cui all’art. 97 Cost., comma 3, e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 2, riconosceva il diritto della ricorrente al risarcimento del danno conseguente all’abusiva reiterazione e, in applicazione analogica del L. n. 300 del 1970, art. 18, liquidava il danno nella misura di venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto; rigettava la domanda di risarcitoria per il mancato pagamento della retribuzione nei periodi non lavorati intercorsi tra i diversi contratti, mentre riconosceva, in caso di continuità dei contratti a tempo determinato con la sola interruzione dell’attività scolastica coincidente con le vacanze estive, la retribuzione illegittimamente non pagata (pari a complessivi Euro 10.090,28).

3. Tale sentenza era impugnata da entrambe le parti, la Regione autonoma Valle d’Aosta con appello principale e la F. con ricorso incidentale.

4. La Corte di appello di Torino, accogliendo parzialmente l’appello della Regione Autonoma Valle d’Aosta e respingendo l’appello incidentale della lavoratrice, ha negato il diritto di quest’ultima al risarcimento del danno riconosciuto dal primo giudice ed ha conseguentemente riformato il capo della sentenza di primo grado che aveva condannato la Regione al pagamento, in applicazione analogica della L. n. 300 del 1970, art. 18, di venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre ad Euro 10.090,28 per i periodi feriali estivi illegittimamente non pagati.

4.1. La Corte d’appello di Torino, per quanto ancora interessa nella presente sede, ha osservato che: a) i contratti a tempo determinato erano stati stipulati in violazione della L.R. n. 68 del 1989, e della L.R. n. 22 del 2010, art. 42, che, con norme d’identico contenuto, stabiliscono che il ricorso ai contratti a termine da parte della Regione deve essere giustificato da esigenze straordinarie e temporanee, prevedendo il limite temporale di nove mesi;

b) va respinta la domanda volta ad ottenere la conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in quanto pretesa contrastante con l’art. 97 Cost., e con il D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 35 e 36; tali disposizioni hanno carattere speciale e prevalgono sulla disciplina del contratto a termine dettata dal D.Lgs. n. 368 del 2001, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 14350 del 2010, Cass. n. 392 del 2012); c) in conformità alla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 392 del 2012 cit.), il danno non può ritenersi in re ipsa, ma deve essere dimostrato in giudizio e la lavoratrice non aveva fornito alcuna deduzione o allegazione in merito al danno patito.

5. Per la cassazione di tale sentenza l’originaria ricorrente ha proposto ricorso affidato a tre motivi. Resiste, con controricorso, la Regione Autonoma Valle d’Aosta.

6. La ricorrente ha depositato memoria, richiamando i principi espressi da Sez.Un. 5072 del 2016, in ordine alla risarcibilità del c.d. danno comunitario.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione di legge in relazione a direttive comunitarie, sostenendo che, secondo un’interpretazione conforme al diritto dell’Unione, le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, andrebbero interpretate quale deroga al divieto di conversione statuito dall’art. 36, per il caso di reiterazione illegittima di contratti a tempo determinato da parte della Pubblica Amministrazione.

2. Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, e della clausola n. 5 dell’Accordo quadro Europeo CES, UNICE e CEEP in tema di contratti a termine, recepito dalla direttiva Europea 1999/70/CE, parte ricorrente censura la sentenza là dove questa ha negato il diritto al risarcimento dei danno quale conseguenza immediata e diretta dell’accertato ricorso abusivo da parte del datore alla stipulazione di contratti a tempo determinato.

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge in relazione agli artt. 1218,1223,1226,1227,2056 e 2697 c.c., e alla clausola n. 5 dell’Accordo, nonchè vizio di motivazione, nella parte in cui la sentenza ha ritenuto che la ricorrente non avesse fornito alcuna allegazione nè deduzione probatoria in merito al danno patito e nella parte in cui ha riformato la sentenza di primo grado escludendo il diritto al risarcimento del danno pari alle retribuzioni non percepite nel periodo feriale.

Assume che, a norma degli artt. 1218 e 1223 c.c., devono essere risarciti i pregiudizi patiti dal creditore a titolo di perdita subita e/o mancato guadagno che siano conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento del debitore. La Corte territoriale aveva omesso di considerare sia il fatto costituito dallo stato di disoccupazione derivante dalla perdita del posto di lavoro, sia il fatto determinato dalla perdita della retribuzione per i periodi non lavorati, tutti imputabili all’abuso posto in essere dalla Pubblica Amministrazione.

4. Quanto ai primi due motivi, occorre premettere che vi è giudicato interno sulla statuizione con cui la Corte di appello, confermando la pronuncia di primo grado, ha accertato la reiterazione abusiva della stipulazione dei contratti a tempo determinato.

5. In ordine alla mancata conversione del rapporto di lavoro, giova innanzitutto richiamare il consolidato orientamento della Corte costituzionale, cui si è uniformata la costante giurisprudenza di questa Corte.

Il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 36, comma 8, (poi trasfuso nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 2), secondo il quale la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, si riferisce a tutte le assunzioni avvenute al di fuori di una procedura concorsuale, operando anche nei confronti dei soggetti che siano risultati solamente idonei in una procedura selettiva ed abbiano, successivamente, stipulato con la P.A. un contratto di lavoro a tempo determinato fuori dei casi consentiti dalla contrattazione collettiva, dovendosi ritenere che l’osservanza del principio sancito dall’art. 97 Cost., sia garantito solo dalla circostanza che l’aspirante abbia vinto il concorso. Nè tale disciplina viola – come affermato dalla sentenza n. 89 del 2003 della Corte costituzionale – alcun precetto costituzionale, in quanto il principio dell’accesso mediante concorso rende palese la non omogeneità del rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni rispetto al rapporto di lavoro alle dipendenze di datori privati e giustifica la scelta del legislatore di ricollegare, alla violazione delle norme imperative, conseguenze solo risarcitorie e patrimoniali (in luogo della conversione del rapporto a tempo indeterminato prevista peri lavoratori privati); nè contrasta, infine, con il canone di ragionevolezza, avendo la stessa norma costituzionale individuato nel concorso, quale strumento di selezione del personale, lo strumento più idoneo a garantire, in linea di principio, l’imparzialità e l’efficienza della pubblica amministrazione. (v. ex plurimis, tra le più risalenti, Cass. n. 11161 del 2008; conf., tra le più recenti, in fattispecie del tutto analoga a quella in esame, Cass. n. 7982 del 2018).

Difatti, il concorso pubblico costituisce la modalità generale ed ordinaria di accesso nei ruoli delle pubbliche amministrazioni, anche delle Regioni, pure se a statuto speciale (vedi, per tutte: Corte Cost. sentenze n. 211 e n. 134 del 2014; n. 227 del 2013; n. 62 del 2012; n. 310 e n. 299 del 2011; n. 267 del 2010; n. 189 del 2007).

L’eccezionale possibilità di derogare per legge al principio del concorso per il reclutamento del personale è prevista dall’art. 97 Cost., comma 3, deve rivelarsi a sua volta maggiormente funzionale al buon andamento dell’amministrazione e corrispondere a straordinarie esigenze d’interesse pubblico, individuate dal legislatore in base ad una valutazione discrezionale, effettuata nei limiti della non manifesta irragionevolezza (vedi, per tutte, Corte Cost. sentenze n. 134 del 2014; n. 217 del 2012; n. 89 del 2003; n. 320 del 1997; n. 205 del 1996).

Nessun vincolo al riguardo può ravvisarsi in una pretesa esigenza di uniformità di trattamento rispetto alla disciplina dell’impiego privato, visto che ad esso il principio del concorso è del tutto estraneo (Corte Cost. sentenza n. 89 del 2003, cit.).

6. Quanto alla giurisprudenza della CGUE, la clausola 5, punto 2, dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, non istituisce un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato, nè prescrive a quali precise condizioni si possa far ricorso a questi ultimi: essa lascia, infatti, un certo potere discrezionale in materia agli Stati membri (sentenza del 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino, C-53/04, EU:C:2006:517, punto 47). Da ciò discende che la clausola 5 dell’Accordo quadro non osta, in quanto tale, a che uno Stato membro riservi un destino differente ai ricorso abusivo a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione, a seconda che tali contratti o rapporti siano stati conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato o con un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico (sentenza del 7 settembre 2006, Marrosu e Sardina, C-53/04, EU:C:2006:517, punto 48). Tuttavia, affinchè una normativa nazionale che vieta, nel solo settore pubblico, la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato di una successione di contratti a tempo determinato, possa essere considerata conforme all’Accordo quadro, l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato deve prevedere, in tale settore, un’altra misura effettiva destinata a evitare e, se del caso, a sanzionare l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato (sentenza del 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino, C-53/04, EU:C:2006:517, punto 49).

7. Tali principi sono stati di recente ribaditi dalla Corte di Giustizia, con la sentenza del 7 marzo 2018, C-494/16 (Giuseppa Santoro contro Comune di Valderice e Presidenza del Consiglio dei Ministri), adita in sede di rinvio pregiudiziale dal Tribunale civile di Trapani. In tale occasione, la CGUE ha affermato che, in tema di contratti conclusi con un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico e di misure dirette a sanzionare il ricorso abusivo ai contratti a tempo determinato, la clausola 5 dell’Accordo quadro, dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che, da un lato, non sanziona il ricorso abusivo, da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, a una successione di contratti a tempo determinato mediante il versamento, al lavoratore interessato, di un’indennità volta a compensare la mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, bensì, dall’altro, prevede la concessione di un’indennità compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione di detto lavoratore, accompagnata dalla possibilità, per quest’ultimo, di ottenere il risarcimento integrale del danno dimostrando, mediante presunzioni, la perdita di opportunità di trovare un impiego o il fatto che, qualora un concorso fosse stato organizzato in modo regolare, egli lo avrebbe superato, purchè una siffatta normativa sia accompagnata da un meccanismo sanzionatorio effettivo e dissuasivo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

8. Tale pronuncia consente di ritenere validato l’orientamento interpretativo espresso dalle S.U. di questa Corte con la sentenza n. 5072/2016, che ha enunciato i seguenti principi di diritto:

a) “In materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), L. n. 183 del 2010, art. 32,comma 5, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito” (Il principio è stato ribadito da Cass. nn. 4911, 4912, 4913, 16095, 23691 del 2016 e da nn. 8927 e 8885 del 2017 e da molte altre successive).

b) “In materia di pubblico impiego privatizzato, il danno risarcibile di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, non deriva dalla mancata conversione del rapporto, legittimamente esclusa sia secondo i parametri costituzionali che per quelli Europei, bensì dalla prestazione in violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte della P.A., ed è configurabile come perdita di “chance” di un’occupazione alternativa migliore, con onere della prova a carico del lavoratore, ai sensi dell’art. 1223 c.c.”.

9. La sentenza impugnata, risalente ad epoca anteriore al citato orientamento interpretativo, va dunque cassata, dovendo il giudice di rinvio riesaminare il merito della domanda risarcitoria applicando le regole di giudizio sopra enunciate.

10. Quanto al terzo motivo, deve rilevarsene l’infondatezza nella parte relativa alla pretesa concernente le retribuzioni per gli intervalli non lavorati. L’esclusione de iure della conversione dei contratti di lavoro a termine in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato rende i singoli contratti del tutto autonomi. La possibilità di riconoscere la retribuzione per gli intervalli non lavorati (nel caso in esame, con statuizione accolta dal primo giudice, ma riformata dalla Corte di appello, erano stati riconosciuti gli emolumenti per il periodo di mancata prestazione lavorativa coincidente con il periodo feriale) presuppone l’unicità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato e dunque una conversione che non è configurabile nella specie. Nel resto, l’esame del motivo resta assorbito dalla cassazione con rinvio statuita al punto 9.

11. In conclusione, il ricorso va accolto nei sensi di cui in motivazione e la sentenza impugnata va cassata in ordine alle statuizioni relative al risarcimento del danno, con rinvio alla Corte di appello di Torino, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

12. Stante l’accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17 (legge di stabilità 2013).

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione, rigetta il primo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2019

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