Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9106 del 02/04/2019

Cassazione civile sez. I, 02/04/2019, (ud. 22/01/2019, dep. 02/04/2019), n.9106

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11877/2012 proposto da:

R.P., elettivamente domiciliato in Roma, Via della Scrofa n.

64, presso lo studio dell’avvocato Cellamare Vincenzo (Studio Legale

Zunarelli e Associati), rappresentato e difeso dall’avvocato Santi

Silvia, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Porto di Lavagna S.p.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Capranica n. 78,

presso lo studio dell’avvocato Mazzetti Federico, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato Bongiorno Gallegra Antonino,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

Cala dei Genovesi S.p.A. e Società Lavagna Sviluppo S.r.l. in

Liquidazione;

– intimate –

avverso la sentenza n. 334/2011 della Corte d’appello di Genova,

depositata il 29/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/01/2019 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Genova con la sentenza in epigrafe indicata ha confermato la condanna, intervenuta in primo grado, di R.P., appellante, a restituire alla Porto di Lavagna S.p.A., appellata, un posto barca, contraddistinto dal n. 54, allocato nel porto del Comune di Lavagna di cui la società aveva acquistato la gestione quale assuntrice del concordato fallimentare della Cala dei Genovesi S.p.A..

La Porto di Lavagna S.p.A. era subentrata, infatti, quale acquirente dell’attivo, e previa autorizzazione del Comune ai sensi dell’art. 46 c.n., nella concessione demaniale ottenuta dalla dante causa, poi fallita, fino al 2024 di una porzione di arenile e di uno specchio d’acqua in cui era stato realizzato il porticciolo turistico della città di Lavagna, con facoltà per la concessionaria di assegnare in uso a terzi, soci acquirenti di pacchetto azionario della Cala dei Genovesi, i singoli posti barca e gli immobili ivi realizzati.

Per l’indicata sentenza ha ricevuto altresì conferma la condanna dell’appellante R.P. al risarcimento dei danni per l’occupazione senza titolo del posto barca, fissato nella somma di Euro 44,00 al giorno dalla domanda giudiziale al saldo, ed al pagamento della somma di Euro 4.631,22, oltre interessi, a titolo di contributo alle spese di gestione a far data dal 13 ottobre 2000 e, ancora, il rigetto della riconvenzionale di accertamento della validità del contratto di ormeggio concluso con l’originaria concessionaria, Cala dei Genovesi S.p.A..

I giudici di merito hanno ritenuto la Porto di Lavagna S.p.A. legittimata in qualità di assuntrice a richiedere la restituzione dell’ormeggio ed il risarcimento dei danni per occupazione senza titolo, a fronte della intervenuta estinzione, per pronunciato fallimento, del rapporto in essere tra la dante causa, Cala dei Genovesi S.p.A., ed il privato.

2. Contro l’indicata sentenza ricorre in cassazione R.P. con dieci motivi di annullamento cui resiste con controricorso la Porto di Lavagna S.p.A..

Ricorrente e resistente hanno depositato memorie difensive.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Vanno partitamente scrutinati i motivi del ricorso proposto da R.P. nel preliminare rilievo che le ragioni di infondatezza dei primi, di cui appresso si dirà, sostengono una complessiva decisione di rigetto.

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1322 e 1362 c.c. e quindi violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte di appello ritenuto, per la scrutinata vicenda, l’intervenuta conclusione di due contratti preliminari, sostenuti dalle parole utilizzate, ad effetti anticipati, l’uno in essere tra il ricorrente ed il rappresentante degli azionisti della Cala dei Genovesi con cui quest’ultimo si impegnava a trasferire il pacchetto azionario e la qualità di socio al R., in esito al collaudo delle opere realizzate nell’area portuale ed al porzionamento del patrimonio sociale, e l’altro con il quale Cala dei Genovesi S.p.A., diverso soggetto, si impegnava ad attribuire, con anticipata autorizzazione ad occupare per uso personale, un diritto personale di godimento avente ad oggetto uno specifico posto barca dopo il collaudo e sempre che il promissario fosse divenuto azionista.

I giudici di appello avrebbero altresì erroneamente ritenuto i due negozi in reciproco funzionale collegamento, nell’apprezzata strumentale finalità dell’interesse immediato all’attribuzione del godimento di determinati beni societari – ovverosia i posti barca, esito dell’acquisizione di una partecipazione azionaria – ad attuare quello, più ampio, sotteso all’intera operazione, di garantire ai soci, in rapporto alle azioni possedute, il godimento dei beni per tutta la durata della concessione amministrativa.

La comune volontà delle parti da ricostruirsi, al di là del senso letterale delle parole, dal comportamento complessivo tenuto dopo la conclusione del negozio, sarebbe stata invece quella di concludere due contratti definitivi per una operazione finalizzata – insieme alla cessione del pacchetto azionario, che incorporava una definita porzione del patrimonio sociale e che avrebbe registrato un mero differimento della prestazione di consegna dei titoli -, in principalità, alla conclusione di un contratto definitivo di ormeggio, in ragione dell’intervenuto pagamento del prezzo e del conseguimento del godimento del bene.

Il motivo è inammissibile in quanto realizza una piena incursione nel merito proponendo della vicenda scrutinata dalla Corte territoriale una alternativa lettura in fatto; all’esame del primo si accompagna una ulteriore valutazione di inammissibilità per infondatezza della proposta interpretazione degli atti.

1.1. E’ consolidata nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione di principio per la quale, in tema di ricorso per cassazione la violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge a cui si accompagna necessariamente un problema interpretativo della stessa là dove invece l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (tra le altre: Cass. 13/10/2017 n. 24155; Cass. 12/10/2017 n. 24054; Cass. 11/01/2016 n. 195), fermo in ogni caso il divieto di realizzare, per un’apparente violazione di legge, una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 04/04/2017 n. 8758).

Il ricorso nel denunciare del negozio in scrutinio, in ragione dei sui contenuti e della condotta successivamente alla sua conclusione assunta dalle parti, una erronea ricognizione degli esiti di prova si pone in una prospettiva di contrasto della valutazione di merito, come tale non censurabile in cassazione per il dedotto vizio della violazione di legge anche ove inteso come violazione dei criteri legali di valutazione della prova, trattandosi in ogni caso di norme dirette a regolare non la decisione, ma la sua giustificazione.

1.2. Il motivo si espone ad un ulteriore apprezzamento di inammissibilità perchè è comunque portatore di una lettura delle norme in applicazione che non è capace di denunciare l’illegittimità della volontà negoziale come ricostruita dalla Corte di merito, per una valutazione rispondente ai criteri di letteralità e sistematicità, esito di una valorizzazione delle espressioni verbali utilizzate nell’atto e della finalità, nel suo complesso, dal primo perseguita.

2. Con il secondo articolato motivo, che qui si richiama nei termini necessari alla decisione, si denuncia l’illegittimità dell’impugnata sentenza per vizio di motivazione su di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione alla qualificazione del contratto di ormeggio, dedotto dalle parti in giudizio e che si vorrebbe frainteso dal giudice di appello per falsa ed inesatta interpretazione dei documenti negoziali acquisiti.

La Corte territoriale non avrebbe letto nell’operazione intervenuta tra le parti un contratto definitivo di ormeggio, erroneamente rigettando anche la domanda di manleva proposta dal ricorrente avverso Cala dei Genovesi, per quando questa fosse tornata in bonis, al fine di ottenere la restituzione del corrispettivo indebitamente percepito per il periodo di fruizione del posto barca.

L’impegno alla stipula di un contratto definitivo di assegnazione del posto barca si sarebbe consolidato per comportamenti concludenti delle parti, consistiti nell’utilizzo del bene e nella corresponsione del prezzo, da parte dell’utilizzatore, e nel riconoscimento e garanzia dell’uso del bene stesso dapprima da parte del gestore del porto e quindi, successivamente al fallimento, del curatore che aveva provveduto ad incassare le somme corrisposte per le spese collegate al godimento ed a rilasciarne regolare fattura.

Il sub-ingresso della Porto di Lavagna nelle posizioni della Cala dei Genovesi non avrebbe comportato il riconoscimento alla prima dei diritti di cui la concessionaria aveva definitivamente disposto cedendo il posto barca, evidenza che avrebbe reso opponibile al fallimento il contratto di ormeggio; la sentenza di omologazione del concordato fallimentare non avrebbe d’altra parte trasferito i rapporti di concessione della fallita, in difetto di un’autorizzazione dell’autorità concedente.

L’esatta individuazione degli oneri di spesa avrebbe rivelato il porzionamento del bene comune e la mancata conclusione del contratto di società con l’intestazione dei titoli azionari non avrebbe inciso sulla conclusione del diverso contratto di ormeggio, ritenuto valido ed efficace dalla procedura fallimentare e dalla stessa proseguito.

Il motivo si presta come il primo ad una valutazione di inammissibilità.

Il denunciato errore nella qualificazione del rapporto intercorso tra le parti, in cui la Corte territoriale avrebbe dovuto leggere un contratto definitivo di ormeggio, propone una critica che, deviando dalla figura tipica di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, integra una non consentita censura in sede di legittimità.

Nel fermo orientamento della giurisprudenza di questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo e quindi vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (ex multis: Cass. 29/10/2018 n. 27415; Cass. 14/06/2017 n. 14802).

Per la proposta censura si assiste invece ad una critica che investe atti istruttori ritenuti dalla Corte di appello di cui si propone un’alternativa lettura in fatto.

Il ricorrente in cassazione che, denunciando l’omessa considerazione da parte del giudice di appello di un fatto storico, principale o secondario, decisivo ai fini del giudizio nei termini di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, faccia valere in realtà una mera alternativa lettura del medesimo fatto, si espone a censura di inammissibilità del ricorso per utilizzo surrettizio del mezzo al di fuori dei suoi tipici contenuti.

3. Con il terzo motivo si fa valere l’illegittimità del capo della decisione relativo ai punti già oggetto di censura per i motivi che precedono, per avere la Corte territoriale rigettato la domanda di restituzione del prezzo per il posto barca e di risarcimento del danno dell’originaria concessionaria per inadempimento dell’obbligazione.

Si ripropone il tema della natura del contratto di ormeggio e della prestazione di godimento del posto barca quale operazione connotata dai caratteri della principalità all’interno del complessivo negozio giuridico concluso tra le parti e l’erronea qualificazione del primo, nell’impugnata sentenza, come negozio accessorio nel rilievo primario attribuito all’acquisto da parte del ricorrente della partecipazione azionaria.

Il negozio concluso tra il ricorrente e Cala dei Genovesi, dante causa di Porto di Lavagna S.p.A., nell’assolta finalità di trasferire il diritto di godimento derivante sul posto barca avrebbe realizzato un collegamento tra i beni del patrimonio sociale, in cui il primo rientrava, e l’oggetto del contratto di cessione delle azioni con conseguente responsabilità dell’alienante, Cala dei Genovesi, fallita, sulla consistenza del patrimonio sociale e sui beni ivi ricompresi.

Il corrispettivo del negozio sarebbe stato determinato in ragione di una determinata utilità oltre che della concessione ultraventennale e l’acquirente avrebbe fatto affidamento su quella consistenza.

I giudici di appello avrebbero quindi dovuto accogliere la domanda di risoluzione del contratto di ormeggio nell’intervenuto fallimento della società, originaria concessionaria, una volta individuato il godimento del posto barca quale scopo perseguito la cui mancata realizzazione avrebbe determinato la risoluzione del contratto, sostenendo la domanda di risarcimento del danno e quella di manleva avanzata nei confronti di Cala dei Genovesi.

Il motivo è infondato.

La questione dell’autonomia del contratto di ormeggio è stata esclusa dalla Corte di merito per motivazione non censurabile in questa sede sconfinando ogni altra esegesi proposta in ricorso in una alternativa e non consentita lettura del fatto, per una soluzione che è già stata data su fattispecie identica da questa stessa Corte di legittimità con sentenza n. 510 del 2016.

Ciò posto, ferma la centralità nell’operazione voluta dalle parti del negozio di cessione della partecipazione azionaria, la situazione di crisi sofferta dalla società ed il rischio di insolvenza, con il conseguente travolgimento dei contratti in corso, è evenienza propria di chi partecipa ad una società di capitali e come tale non è destinata ad integrare la diversa vicenda – pure evocata in ricorso, per richiamo ad un precedente di questa Corte di legittimità relativo a disallineata fattispecie (Cass. 20/02/2004 n. 3370) – dell’inadempimento della cessione sub specie della mancanza di qualità essenziali dei beni ricompresi nel patrimonio sociale per alterazione della consistenza quantitativa di quest’ultimo rispetto a quella indicata nel contratto, come tale legittimante l’azione di risoluzione per la vendita di aliud pro alio.

Su detta premessa, fermo il giudizio di accessorietà, per quanto più sopra rilevato, ritenuto nell’impugnata sentenza tra contratto di cessione azionaria e contratto di ormeggio, la dichiarazione di fallimento di Cala dei Genovesi S.p.A. ha fisiologicamente determinato l’estinzione dei diritti connessi alla partecipazione azionaria.

L’utilizzazione del posto barca resta correlata, per il collegamento ritenuto dell’indagata operazione dai giudici di merito, non sindacabile in questa sede per i sopra cennati canoni di giudizio, al possesso di titoli azionari emessi dalla società concessionaria che ha assunto la gestione del porto turistico.

Il contratto di ormeggio non ha autonoma consistenza ed il titolo in forza del quale il socio fruisce del posto barca assegnatogli non è un negozio contrassegnato dalla causa di scambio bensì è lo stesso contratto di società per uno schema analogo a quello che si realizza nella cosiddetta multiproprietà azionaria, in cui si attribuisce ai singoli soci il diritto di utilizzare, per una determinata frazione temporale beni di cui resta proprietaria a tutti gli effetti la società.

Là dove si abbiano titoli rappresentativi del capitale di società concessionarie di porti o approdi turistici, il socio non partecipa soltanto allo svolgimento dell’attività sociale, ma assume anche il ruolo di destinatario dei beni e dei servizi alla cui offerta è finalizzato l’esercizio dell’attività sociale e la sua posizione si arricchisce, ricomprendendo il diritto di poter utilizzare beni appartenenti al patrimonio sociale, con obbligo di provvedere al versamento di somme di denaro ulteriori in aggiunta a quelle oggetto di conferimento che restano come tali estranei alla disciplina delle società commerciali, in cui il ruolo del socio è quello di partecipante all’impresa sociale.

Le azioni emesse attribuiscono pertanto il diritto all’utilizzo di posti di ormeggio presso le strutture beneficiate da concessione e non costituiscono strumento finanziario.

Le motivazioni della Corte di appello, allineate agli indicati esiti per contenuto e qualificazione dell’indagato fenomeno, sfuggono per ciò stesso al sindacato di questa Corte di legittimità.

4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, quanto alla qualificazione del contratto intercorso tra le parti ed ai reclamati strumenti della risoluzione e del risarcimento dei danni, in relazione alla L. Fall., art. 72.

La norma sarebbe stata applicata dalla Corte territoriale in modo manifestamente errato non nella dizione ratione temporis vigente e quindi ante D.Lgs. n. 5 del 2006 e del D.Lgs.n. 169 del 2007.

Poichè con il contratto di ormeggio, anche nelle ritenute forme di un preliminare ad esecuzione anticipata, le parti avevano integralmente realizzato l’operazione negoziale voluta, quanto meno per il ricorrente, non vi sarebbero stati rapporti pendenti in sede fallimentare ed il contratto sarebbe stato opponibile alla massa nè vi sarebbe stata per il curatore la possibilità di sciogliersi dallo stesso o di disconoscerne gli effetti.

La norma nei contenuti ratione temporis applicabili sarebbe riferibile alle sole vendite non eseguite dai contraenti e nella intervenuta conclusione di un contratto definitivo consistente, all’interno della complessa operazione, nell’acquisizione del godimento del posto barca, gli effetti voluti dalle parti erano già stati raggiunti ed eseguiti.

Il contratto, anche se inteso come preliminare ad effetti anticipati, sarebbe stato opponibile al fallimento ed il curatore non aveva possibilità di sciogliersi dallo stesso o di disconoscerne gli effetti.

Avendo il contratto di ormeggio data certa anteriore al fallimento anche sotto tale profilo sarebbe stato allo stesso opponibile.

Il motivo si espone ad una plurima valutazione di inammissibilità.

La Corte di appello ha qualificato il rapporto come pendente e, per l’effetto, ha escluso, con la definitività del contratto, dedotta dal ricorrente, l’opponibilità dello stesso alla massa fallimentare, dopo aver valorizzato del contratto di godimento del posto barca stipulato tra le parti la previsione che con il porzionamento della collegata partecipazione azionaria si sarebbero precisati anche i diritti al godimento dell’ormeggio.

La Corte territoriale ha escluso l’applicabilità della art. 72 L. cit., per un ulteriore ratio decidendi che è quella per la quale la norma non trova applicazione ove per effetto del fallimento la prestazione non possa essere eseguita, ritenendo la prima integrata da una siffatta ipotesi rispetto al contratto di ormeggio e tanto nel carattere accessorio dallo stesso goduto rispetto alla partecipazione azionaria, diritto quest’ultimo travolto dal fallimento e dalla conseguente liquidazione del patrimonio sociale a soddisfazione dei creditori.

Si tratta di ratio decidendi che, non attinta da critica, rende non specifico il proposto motivo.

D’altro canto il ricorrente nel dedurre del contratto l’intervenuta esecuzione con affermazione di aver acquistato un diritto opponibile alla massa fallimentare, là dove l’opzione prevista dall’art. 72 cit. è applicabile al contratto ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti, torna a porre in discussione l’autonomia del contratto di ormeggio rispetto alla cessione del pacchetto azionario, punto risolto e sostenuto dai giudici di appello con motivazione che resiste allo scrutinio portato in questa sede per le ragioni più sopra indicate.

La pure dedotta anteriorità della scrittura incorporante il diritto all’utilizzo del posto barca alla declaratoria di fallimento, come ricostruibile dalle produzioni istruttorie curate dalla parte nel giudizio di primo grado, pone all’attenzione di questa Corte di legittimità questioni di fatto non direttamente riesaminabili, in tal modo evidenziando un ulteriore profilo di inammissibilità del motivo.

5. Con il quinto motivo si denuncia l’illegittimità della decisione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per il capo indicato alla lett. C) per violazione di legge in relazione all’art. 81 c.p.c. ed all’art. 100 c.p.c..

La Porto di Lavagna S.p.A. era stata autorizzata al subingresso ex art. 46 c.n., nella concessione demaniale dal Comune di Lavagna con atto del 7 agosto 2003 e sino a quella data non avrebbe potuto avanzare pretesa per la gestione del porto turistico e non comunque per il periodo precedente alla omologazione del concordato fallimentare con cessione dei beni, intervenuto il 6 aprile 2000 per sentenza del Tribunale di Milano.

Il motivo è infondato e presenta, anche, profili di inammissibilità.

La motivazione resa dalla Corte di appello sulla legittimazione della resistente muove dapprima da una situazione di gestione di fatto, e quindi da un titolo diverso da quello formale, per poi affermare dell’indicato presupposto la sussistenza per subingresso della resistente nella concessione attribuita alla dante causa, con relativa autorizzazione ex art. 46 c.n..

L’indicata duplice legittimazione non è raggiunta da critica in ricorso che argomenta solo dalle vicende del titolo formale e che a fronte della distinzione operata nella sentenza impugnata tra spese di gestione ed indennità di occupazione contrappone, senza distinzione, il dato, inconcludente, del mero difetto di subingresso nella concessione.

6. Con il sesto motivo si sostiene la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere il giudice di secondo grado disatteso l’eccezione di prescrizione formulata in appello delle somme richieste dall’appellata, dichiarando nullo il motivo per non avere la parte fornito elementi che avrebbero consentito al giudicante di ricondurre l’eccezione al regime applicabile, e tanto pur avendo la prima allegato e provato gli elementi posti a fondamento dell’eccezione.

Il motivo è infondato per le ragioni di seguito indicate.

Come questa Corte di legittimità ha affermato, chiamando il debitore che del diritto azionato eccepisca la prescrizione all’osservanza del relativo onere di allegazione, l’eccezione di prescrizione, in quanto eccezione in senso stretto, deve sempre fondarsi su fatti allegati dalla parte ed il debitore che la solleva ha l’onere di allegare e provare il fatto che, permettendo l’esercizio del diritto, determina l’inizio della decorrenza del termine, ai sensi dell’art. 2935 c.c., restando escluso che il giudice possa accogliere l’eccezione sulla base di un fatto diverso (Cass. 18/06/2018 n. 15991; Cass. 13/07/2009 n. 16326).

Ciò posto il motivo si rivela anche inammissibile per l’improprietà del mezzo addotto.

Avendo la Corte di appello dichiarato l’inammissibilità del motivo per la sua genericità, il ricorrente, lamentando di quella inammissibilità l’infondatezza, avrebbe dovuto denunciare l’erroneità dell’impugnata sentenza a fronte della intervenuta applicazione dell’art. 342 c.p.c., ai sensi e nei termini di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e non invece la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Alla ritenuta inammissibilità del motivo in appello non sarebbe sorta invero alcuna necessità della Corte di merito di argomentare ulteriormente con conseguente non configurabilità in questa sede del dedotto vizio processuale di omessa pronuncia.

7. Con il settimo motivo si deduce il vizio di motivazione su un punto decisivo per il giudizio, nei termini di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ordine all’entità del risarcimento del danno.

La Corte di merito aveva ritenuto la detenzione del posto barca da parte del ricorrente in buona fede sino all’intervenuta notifica dell’atto di citazione, non apprezzando, diversamente, ai fini dell’individuazione di un più favorevole dies ad quem della pretesa, l’incertezza giuridica connessa alla qualificazione dei sottostanti rapporti e la specificità della posizione del ricorrente.

Il motivo è inammissibile perchè, non specifico, esso introduce censura che ha ad oggetto una non precisata violazione di legge ed è comunque destinata a tradursi in un inammissibile riesame del merito della vicenda.

8. Con l’ottavo motivo si fa valere vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, per l’errore di calcolo in cui sarebbe incorsa la Corte di appello nell’applicare il tariffario prodotto dalla Porto di Lavagna S.p.A., e pari ad Euro 44,00 al giorno, non provvedendo frazionare il periodo in valutazione in cui era maturato il debito risarcitorio per occupazione senza titolo e per mancata contribuzione alle spese di gestione, in anni, semestri, mensilità e giorni, così da conformare più puntualmente il richiesto tantundem.

Il motivo è inammissibile avendo la Corte di appello ineccepibilmente reso sul punto motivata decisione richiamando quella del Tribunale e perchè la critica portata contiene elementi di novità non deducibili in cassazione.

In appello la ricorrente faceva invero valere l’applicazione della tariffa semestrale senza diverse ed ulteriori parcellizzazioni del periodo.

9. Con il nono motivo si denuncia l’omessa motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, integrato dalla prova dell’intervenuta stipulazione di un contratto definitivo di ormeggio.

Si tratta di motivo inammissibile per le ragioni che sostengono le valutazioni più sopra spese nel trattare il primo ed il secondo motivo e comunque per il principio per il quale in tema di ricorso per cassazione, l’omesso esame di una questione riguardante l’interpretazione del contratto, non costituendo “fatto decisivo” del giudizio, non è riconducibile al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, atteso che rientrano in tale nozione gli elementi fattuali e non quelli meramente interpretativi (Cass. 13/08/2018 n. 20718).

10. Con il decimo motivo si fa valere la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al principio del giusto processo di derivazione costituzionale e convenzionale (artt. 3 e 111 Cost.; art. 6 C.e.d.u.) in ordine alla entità dell’importo liquidato a titolo di occupazione senza titolo ed alla decorrenza degli interessi per elusione delle censure del ricorrente.

Il motivo è inammissibile in quanto reiterativo dei contenuti del motivo di appello già dichiarato tale per una sua non specificità e, comunque, perchè non dedotto dinanzi a questa Corte di legittimità nei corretti termini di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 342 c.p.c..

10. Il ricorso è conclusivamente infondato e come tale va rigettato con condanna del ricorrente, secondo la regola della soccombenza, alle spese di questa fase del giudizio come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in favore di Porto di Lavagna S.p.A. in Euro 5.200,00, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2019

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