Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9102 del 01/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 01/04/2021, (ud. 23/09/2020, dep. 01/04/2021), n.9102

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18891/2017 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12,

ope legis;

– ricorrente –

contro

M.R., C.M., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE 1, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

VOLANTI, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

V.M., S.F., MINISTERO DELL’ISTRUZIONE,

DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2250/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/04/2017 R.G.N. 2781/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/09/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 2250/2017, emessa in sede di rinvio a seguito della sentenza rescindente di questa Corte n. 3442/2014, per quanto rileva in questa sede, rigettava l’eccezione di prescrizione e accoglieva le domande proposte dai nominati in epigrafe, che avevano agito nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri per ottenere il pagamento dell’adeguata remunerazione per l’attività espletata durante il corso di specializzazione medica, per ciascuno di essi iniziato nel periodo compreso tra il 1 gennaio 1983 e l’anno accademico 1990/1991 e rientrante nell’elenco delle specializzazioni di cui all’art. 5 della direttiva comunitaria 75/363. La Corte di appello riconosceva, in favore di ciascuno degli attuali resistenti, un importo commisurato al parametro di Lire 13.000.000 annue, pari ad Euro 6.713,94, per i rispettivi periodi a ciascuno riferibili (cinque anni di frequentazione del corso di specializzazione per C.M. e M.R., quattro anni per S.F. e tre anni per V.M.).

2. Per la cassazione di tale sentenza la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha proposto ricorso con unico motivo.

3. Resistono con controricorso C.M. e M.R., che hanno pure depositato memoria ex art. 30-bis.1 c.p.c.. S.F. e V.M. sono rimaste intimate.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

4. Con unico motivo di ricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri denuncia violazione dell’art. 2909 c.c., artt. 39,324 e 329 c.p.c., violazione della L. n. 370 del 1999, art. 11 (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4). Deduce che nei confronti di M.R. e di V.M. si è formato medio tempore il giudicato esterno sulle stesse domande riproposte nel giudizio di rinvio, per cui, stante l’identità di petitum e della causa petendi i due medici nulla possono pretendere dall’Amministrazione ricorrente. Deduce poi che i medici C.M. e S.F. risultano parti attrici in due procedimenti, pendenti in Corte di appello già in epoca anteriore alla riassunzione del giudizio, per l’impugnazione di sentenza a loro sfavorevoli vertenti sulla medesima domanda.

5. Precisa:

a) quanto al C., che lo stesso era stato destinatario di una sentenza a lui sfavorevole emessa dal Tribunale di Roma n. 1955/2013, da lui impugnata davanti alla Corte di appello di Roma con citazione notificata in data 31.7.2013 e iscritta al R.G. 1780/2014 (doc. all. II);

b) quanto al M., che lo stesso era stato colpito dall’accertamento della prescrizione del proprio diritto avvenuto con sentenza n. 2018/2010 del Tribunale di Roma, nei suoi confronti passata in giudicato (doc. all. III);

c) quanto alla V., che la stessa era stata già destinataria di una precedente pronuncia a lei favorevole notificata con formula esecutiva, ovvero la sentenza del Tribunale di Roma n. 16842/2013, e altresì destinataria del pagamento di quanto a lei riconosciuto, disposto con ordine di pagamento n. 1109/2014 – capitolo 173 – D.P.C.M. 27 novembre 2014, n. 386 (doc. all. IV e V);

d) quanto alla S., che la stessa era stata già destinataria di una pronuncia a lei sfavorevole del Tribunale di Roma n. 2255/2016, che aveva provveduto ad impugnare in Corte di appello con atto notificato all’Avvocatura dello Stato in data 30.8.2016, rendendosi parte attrice nella controversia iscritta al R.G. n. 5318/2016 (doc. all. VI).

6. Alla stregua di tali allegazioni, rappresenta che l’esistenza di un giudicato esterno è, al pari del giudicato interno, situazione rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità (Cass. n. 11365 del 2015, n. 6102 del 2014 e n. 26041 del 2010), onde evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del ne bis in idem, che corrisponde ad un preciso ineludibile interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo e consistente nella eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche attraverso la stabilità della decisione.

7. Il ricorso è inammissibile.

8. Occorre premettere che, alla stregua della rappresentazione delle vicende processuali contenuta nel ricorso per cassazione, risulta prospettata, per le posizioni relative al C. e alla S., una situazione di litispendenza rispetto a giudizi pendenti in grado di appello e, per le posizioni relative al M. e alla V., di una situazione di giudicato esterno.

9. Secondo costante giurisprudenza di questa Corte (sin da Cass. S.U. n. 13916 del 2006; cfr. tra le più recenti Cass. n. 11754 del 2018), nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. In tal caso, infatti, la produzione del documento che lo attesta non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 c.p.c., che è limitato ai documenti formatisi nel corso del giudizio di merito, ed è, invece, operante ove la parte invochi l’efficacia di giudicato di una pronuncia anteriore a quella impugnata, che non sia stata prodotta nei precedenti gradi del processo (Cass. n. 1534 del 2018). Dunque, nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno intervenuto nelle more del giudizio di merito, senza tempestiva deduzione in quella sede, non è rilevabile d’ufficio (Cass. n. 21170 del 2016, v. pure Cass. 25401 del 2015). Nel giudizio di legittimità è opponibile il giudicato esterno solo con riferimento alla decisione divenuta definitiva dopo la scadenza del termine ultimo per ogni allegazione difensiva in grado d’appello (Cass. n. 14883 del 2019).

10.Inoltre, la parte che eccepisce il giudicato esterno ha l’onere di provare il passaggio in giudicato della sentenza resa in altro giudizio, non soltanto producendola, ma anche corredandola della idonea certificazione ex art. 124 disp. att. c.p.c., dalla quale risulti che la pronuncia non è soggetta ad impugnazione, non potendosi ritenere che la mancata contestazione di controparte sull’affermato passaggio in giudicato significhi ammissione della circostanza, nè che sia onere della controparte medesima dimostrare l’impugnabilità della sentenza (Cass. n. 9746 del 2017, n. 19883 del 2013; v. pure Cass. n. 4803 del 2018). Affinchè il giudicato esterno possa fare stato nel processo è necessaria la certezza della sua formazione, che deve essere provata, pur in assenza di contestazioni, attraverso la produzione della sentenza munita del relativo attestato di cancelleria (Cass. n. 20974 del 2019, n. 6024 del 2017).

11. Il ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri non si conforma a tali regole processuali quanto all’eccezione di giudicato esterno riguardante le posizioni di M.R. e di V.M..

12. Quanto al primo, il ricorso si limita ad affermare che era già intervenuta una pronuncia di accertamento della maturata prescrizione del diritto “con la sentenza n. 2018/2010 del Tribunale di Roma, passata in giudicato”. Non solo non vi è prova del passaggio in giudicato di tale sentenza, non risultando prodotta alcuna certificazione di cancelleria riguardo alla sua mancata impugnazione, ma il giudicato, per come dedotto nel ricorso, si sarebbe formato in un periodo (2010/2011) ben anteriore al giudizio di rinvio di cui alla sentenza ora impugnata (2016) e non risulta che la questione fosse stata sottoposta al giudice di merito successivamente alla sua formazione, per cui la stessa non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di cassazione. Neppure dall’esame degli atti, operato da questa Corte, stante la natura della questione – ed in particolare dal fascicolo di merito dell’Amministrazione ricorrente – emerge ex actis che un giudicato fosse comunque evincibile per il giudice di merito.

13. Quanto alla posizione della seconda, si assume che tale parte era stata già “destinataria di una precedente pronuncia a lei favorevole, notificata con formula esecutiva, ovvero la sentenza del Tribunale di Roma n. 16842 del 2013″, nonchè destinataria dell’ordine di pagamento n. 1109/2014 cap. 173 – D.P.C.M. 27 novembre 2014, n. 386”. Anche in questo caso, come nel precedente, non risulta documentato il passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale, provvisoriamente esecutiva, il cui pagamento risulta peraltro anche testualmente autorizzato, “salvo ripetizione all’esito del giudizio”, a conferma che la sentenza posta in esecuzione non era definitiva. Inoltre, pur essendo il giudizio di rinvio di epoca ben posteriore (2016) sia al formarsi del presunto giudicato (2013) sia al dedotto avvenuto pagamento (2014), non risulta in alcun modo dedotto, nè risulta dagli atti che la questione della formazione di un giudicato esterno fosse stata introdotta in giudizio. La sentenza ora impugnata non riferisce di tali allegazioni prospettate in giudizio dall’Avvocatura dello Stato; nè invero l’Amministrazione odierna ricorrente ha denunciato un’omessa pronuncia su questione dedotta in giudizio o comunque rilevabile d’ufficio sulla base degli atti prodotti dalla parte medesima.

14. Venendo ad esaminare le due posizioni per le quali è stata eccepita la litispendenza, occorre premettere che l’eccezione di litispendenza può essere proposta, nel giudizio di cassazione, a condizione che nei precedenti gradi del processo sia stato almeno allegato il fatto della pendenza della stessa causa davanti a diverso giudice e l’interessato dimostri la persistenza, fino all’udienza di discussione, delle condizioni per l’applicabilità dell’art. 39 c.p.c., con conseguente onere di deposito della relativa documentazione, non soggetto alla preclusione di cui all’art. 372 c.p.c. (Cass. n. 27920 del 2017, n. 16634 del 2013). L’eccezione di litispendenza sollevata per la prima volta davanti la Corte di cassazione, senza che sia stata nei precedenti gradi del giudizio almeno allegata la pendenza dell’altro processo, è inammissibile (Cass. n. 22900 del 2007).

15. Il ricorso per cassazione non si conforma a tali regole processuali.

16. Quanto alla posizione di C.M., l’Amministrazione ricorrente si è limitata ad affermare che il medico sarebbe stato già destinatario di una sentenza del Tribunale di Roma (n. 1955/2013), a lui sfavorevole e da lui “impugnata davanti alla Corte di appello di Roma, con citazione notificata il 31.7.2013 e iscritta al r.g.n. 1780/2014”. Non è stato neppure dedotto che nel corso del giudizio di rinvio conclusosi con la sentenza impugnata in questa sede fosse stata allegata la pendenza dell’altra causa dinanzi alla stessa Corte di appello di Roma (si assume che l’atto di appello risaliva al 2014, come pure quello oggetto della sentenza ora impugnata). Ne consegue che è radicalmente preclusa la possibilità di dedurre la circostanza per la prima volta in questa sede.

17. Analoghe considerazioni vanno svolte per la posizione di S.F.. L’Amministrazione ricorrente assume che la stessa sarebbe stata “destinataria di una pronuncia a lei sfavorevole del Tribunale di Roma n. 2255/2016, che ha provveduto ad impugnare in Corte di appello…ad oggi pendente controversia iscritta al r.g.n. 5318/2016”.

Neppure in questo caso risulta che dinanzi al giudice di rinvio fosse stata dedotta la litispendenza. L’Amministrazione ricorrente non ha fatto neppure conoscere lo stato o l’esito del giudizio di appello, ove nelle more definito, non avendo depositato memorie in vista dell’udienza odierna.

18. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna dell’Amministrazione ricorrente al pagamento, in favore dei due controricorrenti C. e M., delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

19. Nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass. n. 1778 del 2016, n. 23514 del 2014, n. 5955 del 2014). Il contributo unificato, come precisato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 9840 del 5 maggio 2011 sulla scia di quanto già stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 73 del 2005, ha natura tributaria e tale natura conserva anche relativamente al raddoppio, previsto della L. n. 228 del 2012, citato art. 1, comma 17, che ha introdotto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, atteso che la finalità deflattiva e sanzionatoria della nuova norma non vale a certamente modificarne la sostanziale natura di tributo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2021

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