Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9100 del 15/04/2010

Cassazione civile sez. I, 15/04/2010, (ud. 23/03/2010, dep. 15/04/2010), n.9100

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

R.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANDREA DORIA

48, presso lo studio dell’avvocato ABBATE FERDINANDO EMILIO, che lo

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto R.G.A.D. 52152/06 della CORTE D’APPELLO di ROMA

del 12.3.07, depositato il 06/11/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/03/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che

si riporta alla memoria.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

p. 1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è del seguente tenore: ” R.O. adiva la Corte d’appello di Roma, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex Lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al T.a.r. del Lazio con ricorso dell’aprile 1993, avente ad oggetto il riconoscimento del diritto ad ottenere l’adeguamento triennale dell’indennità giudiziaria, definito con causa trattenuta in decisione il 10.12.2003. La Corte d’appello di Roma, con decreto del 6 novembre 2007, ritenuto che, “in considerazione della complessità della vicenda processuale, della necessità di sollevare questione di legittimità costituzionale e dei tempi tecnici all’uopo necessari, nonchè i rinvii resisi necessari”, la ragionevole durata del giudizio dovesse essere fissata in quattro anni, liquidava, a titolo di equa riparazione per il danno non patrimoniale, per il periodo eccedente, “alla stregua di ormai noti consolidati principi che sarebbe superfluo riportare”, nonchè del “valore della causa”, Euro 6.000,00, con il favore delle spese del giudizio.

Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso R. O., affidato a due motivi; non ha svolto attività difensiva la Presidenza del Consiglio dei ministri.

OSSERVA:

1.- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2; artt. 6, 13 e 41 CEDU), nonchè omessa, insufficiente, illogica e/o contraddittoria motivazione,nella parte in cui il decreto ha fissato la durata ragionevole del giudizio in anni quattro, discostandosi dal parametro stabilito dalla Corte EDU, tenendo conto che una particolare diligenza e rapidità si imporrebbe nelle cause di lavoro, senza motivare adeguatamente, affidando la conclusione ad affermazioni apodittiche, non argomentate avendo riguardo agli elementi della fattispecie, tenuto conto che occorreva soltanto decidere questioni di diritto, che non richiedevano istruttoria, mentre neppure si da conto della condotta delle parti che potrebbe avere ritardato la trattazione del giudizio.

Il mezzo si conclude con due quesiti concernenti la necessità di fissare il termine di ragionevole durata del giudizio: a) facendo riferimento al parametro stabilito dalla Corte EDU (tre anni per il giudizio di primo grado); a) avendo riguardo agli elementi ed alle circostanze del giudizio, senza che il tempo per la decisione di una questione di legittimità costituzionale possa ex se comportare il prolungamento del termine di ragionevole durata.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di legge (artt. 90 e 91 c.p.c., D.M. n. 127 del 2004, artt. 4 e 5) e delle tariffe professionali, nella parte in cui il decreto ha liquidato le spese del giudizio, senza distinguere gli importi ed in violazione dei minimi di tariffa (il ricorso riporta le singole voci asseritamente spettanti in riferimento all’attività svolta ed allo scaglione applicabile). Il mezzo si chiude con la formulazione di quesito avente ad oggetto l’obbligo del giudice del merito di liquidare gli importi previsti dalla Tab. A, punto 4^, e B della tariffa professionale.

2.- Il primo motivo è manifestamente fondato, entro i limiti di seguito precisati.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, alla quale va qui data continuità:

la nozione di ragionevole durata del processo ha carattere relativo ed è condizionata da circostanze strettamente legate alla singola fattispecie, che impediscono di fissarla facendo riferimento a cadenze temporali rigide, come è dato evincere dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, (tra le molte, Cass. n. 4572 del 2009; n. 8497 del 2008; n. 25008 del 2005) e in tal senso è orientata anche la Corte EDU, che pure privilegia una valutazione “caso per caso” (tra le tante, sentenza 1^ sezione del 23 ottobre 2003, sul ricorso n. 39758/98), benchè abbia stabilito un parametro tendenziale della durata ragionevole del giudizio di anni tre, due ed uno per il giudizio di primo, di secondo grado e di legittimità; dal parametro del giudice europeo è possibile discostarsi, ma soltanto in misura ragionevole, sempre che la relativa conclusione sia adeguatamente motivata, restando escluso che i criteri indicati nell’art. 2, comma 1, di detta legge permettano di sterilizzare del tutto la rilevanza del lungo protrarsi del processo (Cass., Sez. un., n. 1338 del 2004;

in seguito, tra le molte, Cass. n. 3928 del 2009; n. 8497 del 2008);

in riferimento al processo del lavoro, due recenti pronunce del giudice europeo hanno affermato la violazione del termine di ragionevole durata, senza valorizzare la natura del giudizio (sentenze 18 dicembre 2007, sul ricorso n. 20191/03, in riferimento ad un giudizio in materia di lavoro durato in primo grado più di quattro anni e cinque mesi; 5 luglio 2007, sul ricorso n. 64888/01, in relazione ad un giudizio della stessa natura, durato più di sette anni e due mesi); quindi, la natura del processo non comporta, da sola, la possibilità di stabilire un termine di durata rigido, così come la violazione del principio della ragionevole durata del processo non può discendere in modo automatico dalla accertata inosservanza dei termini processuali, dovendo in ogni caso il giudice della riparazione procedere a tale valutazione alla luce degli elementi previsti dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (Cass., 19352 del 2005; n. 6856 del 2 004); ai fini della determinazione della giusta durata del processo, il giudizio di legittimità costituzionale non rileva in via autonoma, atteso che la relativa decisione riguarda una questione pregiudiziale attinente al merito della controversia, quindi il superamento del termine di ragionevole durata deve essere riferito al processo nel quale sia sorta la questione di costituzionalità senza che possa detrarsi automaticamente l’intero periodo connesso alla sua risoluzione, benchè nell’ambito della valutazione del criterio della complessità del caso di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, va tenuto conto della circostanza che nel corso del processo sia sorta la necessità di sollevare la questione al fine di apprezzare la ragionevolezza in concreto della durata del processo (per tutte, Cass. n. 1575 del 2009; n. 23632 del 2007; n. 7899 del 2006).

In applicazione di siffatti principi – da enunciare in riferimento ai quesiti posti con il primo motivo – le censure sono manifestamente fondate nella parte in cui il decreto ha fissato la ragionevole durata in anni quattro, con la motivazione riportata nella narrativa, palesemente insufficiente, stante il difetto di indicazione degli elementi che hanno fondato la conclusione (concernenti la modalità di svolgimento del giudizio e la condotta delle parti) e l’erroneità dell’automatica valorizzazione del tempo occorso per la risoluzione della questione di legittimità costituzionale (in fattispecie analoga a quella in esame, Cass. n. 1575 del 2009), che ha comportato un discostamento dal parametro CEDU (anni tre) in misura non ragionevole. L’accoglimento di detto motivo comporterà la cassazione del decreto – assorbito il secondo motivo – e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, sulla scorta dei seguenti principi, consolidati nella giurisprudenza di questa Corte: la precettività della giurisprudenza della Corte EDU, per il giudice nazionale, non concerne il profilo relativo al moltiplicatore della base di calcolo per l’equa riparazione, in quanto rileva solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole, non incidendo questa diversità di calcolo sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo (Cass. n. 11566 del 2008; n. 1354 del 2008; n. 23844 del 2007).

i criteri di determinazione del quantum della riparazione del danno non patrimoniale applicati dalla Corte europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, quindi occorre osservare il parametro oscillante da Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno di ritardo, con la facoltà di apportare a questo le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della “posta in gioco”, il “numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento” ed il comportamento della parte istante), purchè motivate e non irragionevoli (per tutte, Cass. n. 30565, n. 30564 e n. 6898 del 2008, n. 1630 e n. 1631 del 2006);

la circostanza che la controversia ha ad oggetto la materia del lavoro non implica alcun automatismo, al fine del riconoscimento di un indennizzo più elevato, dovendo la stessa costituire oggetto di valutazione unitamente agli altri elementi sopra indicati (Cass. n. 18012 del 2008). Pertanto, in applicazione dello standard minimo CEDU – che nessun argomento del ricorso impone e consente di derogare in melius, sia in ordine al termine triennale di durata ragionevole del giudizio di primo grado, sia in riferimento alla quantificazione dell’indennizzo per il danno non patrimoniale – individuato nella somma di Euro 1.000,00 per ciascun anno di ritardo il parametro di indennizzo del danno non patrimoniale, potrebbe essere riconosciuta all’istante la somma di Euro 7.750,00, in relazione agli anni eccedenti il triennio (anni 7 e mesi otto, essendo rimasta incensurata l’identificazione del termine finale del giudizio presupposto, indicato dal decreto nel 10.12.2003), oltre interessi legali dalla domanda al saldo.

Le spese, liquidate come in dispositivo, potrebbero essere poste a carico della soccombente – distratte in favore del difensore, per dichiarazione di anticipo – quanto al giudizio di merito e per la metà quanto alla presente fase, dichiarando compensata la residua parte, sussistendo giusti motivi, in considerazione del parziale accoglimento del ricorso”.

Il P.G. ha depositato requisitorie scritte ex art. 380 bis c.p.c., comma 3, con la quale chiede di accogliere il ricorso nella parte in cui denuncia la difformità della L. n. 89 del 2001, rispetto alla CEDU, che impone di ragguagliare l’equa riparazione all’intera durata del processo, sollevando, in subordine, eccezione di legittimità costituzionale.

p. 2.- Il Collegio condivide e fa proprie le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono all’accoglimento del ricorso, con le seguenti precisazioni.

Quanto alle richieste del P.G., esse non possono essere accolte perchè – pur prescindendo dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte sul punto (Cass. n. 4572 del 2009; Cass. N. 21840 del 2009) – la questione della computabilità dell’intera durata del processo presupposto non risulta specificamente attinta con il ricorso e dallo stesso quesito ex art. 366 bis c.p.c.. Talchè è irrilevante la questione di legittimità costituzionale sollevata dal P.G. Relativamente alla misura dell’equa riparazione per il danno non patrimoniale, va osservato che, secondo la più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano elementi concreti in grado di farne apprezzare la peculiare rilevanza, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce di quelle operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, impone di stabilirla, di regola, nell’importo non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo, in virtù degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00, per anno di ritardo, dato che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno. In relazione alle censure accolte, cassato il decreto, ben può procedersi alla decisione nel merito del ricorso, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. Pertanto, per le ragioni indicate nella relazione l’Amministrazione resistente deve essere condannata al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 6.916,00, oltre interessi legali dalla domanda nonchè al rimborso delle spese processuali, liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente la somma di Euro 6.916,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio:

che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti e Euro 490,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario;

e per il giudizio di legittimità, in Euro 525,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2010

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