Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9100 del 01/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 01/04/2021, (ud. 23/09/2020, dep. 01/04/2021), n.9100

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22493/2017 proposto da:

M.S., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIOVANNI MERCADANTE;

– ricorrente –

contro

AUCHAN S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OVIDIO, 20, presso lo studio

dell’avvocato LUCA DI PAOLO, rappresentata e difesa dall’avvocato

FRANCESCO SAVERIO FRASCA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 359/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 27/04/2017 r.g.n. 242/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/09/2020 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che con sentenza n. 359/2017, depositata il 20 giugno 2017, la Corte di appello di Palermo ha respinto il gravame di M.S. e confermato la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale della medesima sede ne aveva rigettato la domanda volta a ottenere la condanna della datrice di lavoro Auchan S.p.A. al pagamento della indennità di cassa e maneggio denaro per il periodo dall’aprile 2004 al 10 marzo 2012;

– che a sostegno della propria decisione la Corte territoriale ha osservato, per quanto di rilievo ai fini del presente ricorso, come i testimoni assunti avessero semplicemente dato conferma dell’assegnazione del lavoratore alle mansioni di cassiere, ma nulla avessero riferito circa eventuali profili di responsabilità correlati all’esercizio di tali mansioni, sul punto rilevando che l’art. 198 c.c.n.l. di settore subordinava il diritto all’indennità di cassa e maneggio denaro all’obbligo negozialmente assunto dal lavoratore di rispondere della gestione della cassa e di accollarsi le eventuali differenze;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il M. con due motivi, cui ha resistito la società con controricorso;

rilevato:

che con il primo motivo viene dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 198 c.c.n.l. Terziario 2 luglio 2004 e dell’art. 2697 c.c., per non avere la Corte di appello considerato che, con la dimostrazione dello svolgimento in via normale di mansioni di cassiere, nel periodo dedotto in giudizio, il ricorrente aveva pienamente assolto il proprio onere probatorio, senza necessità di dare prova anche di una responsabilità per eventuali ammanchi che era da ritenersi implicita nell’esercizio di tale attività;

– che con il secondo motivo viene dedotto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per non avere la Corte di appello tenuto in alcuna considerazione la circostanza che il primo giudice aveva formulato una proposta conciliativa, rifiutata dalla società datrice di lavoro, secondo cui questa avrebbe dovuto corrispondere al ricorrente la somma netta di Euro 1.500,00, in tal modo mostrando di ritenere in linea di principio fondata la domanda;

osservato:

che il primo motivo non risulta formulato in conformità delle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non essendo stata prodotta dal ricorrente copia del c.c.n.l. e non essendo stato indicato il luogo in cui esso venne depositato nei gradi di merito (Cass. n. 27475/2017); nè risulta neppure riportato il testo della clausola collettiva (art. 198), la cui interpretazione da parte del giudice di appello è oggetto di censura, con conseguente inammissibilità, anche sotto quest’ultimo profilo, del motivo in esame;

– che, d’altra parte, “la spettanza dell’elemento retributivo accessorio dell’indennità di cassa e maneggio denaro” è, nella sentenza impugnata (cfr. p. 3), subordinata all’obbligo “negozialmente assunto dal lavoratore di rispondere della gestione della cassa e di accollarsi le eventuali differenze” e cioè, nella lettura che la Corte territoriale offre della previsione collettiva, subordinata all’esistenza di un presupposto che, in quanto fatto costitutivo del diritto (all’indennità), è necessariamente a carico dell’attore che tale diritto intenda far valere;

– che deve essere parimenti disatteso il secondo motivo, posto che nella nozione di “fatto decisivo”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, rientrano soltanto elementi fattuali, che concorrano alla ricostruzione della fattispecie concreta con attitudine a determinare un esito difforme della controversia, e cioè accadimenti, eventi o circostanze in un senso precisamente storico-naturalistico (Cass. n. 22397/2019, fra le numerose conformi), con esclusione di argomentazioni e deduzioni difensive (Cass. n. 14802/2017);

ritenuto:

conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 1.800,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2021

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