Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9099 del 18/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 18/05/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 18/05/2020), n.9099

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19952-2015 proposto da:

P.A., A.A., A.G., C.G.,

F.L., I.L.C., P.M., T.G., tutti

domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato MARINA

FALOVO;

– ricorrenti –

nonchè

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI COSENZA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 148/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 27/02/2015 R.G.N. 87/2013.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. la Corte di Appello di Catanzaro, decidendo in sede di rinvio, in parziale riforma delle decisioni del Tribunale di Paola, ritenuta la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario anche per la parte delle pretese degli odierni ricorrenti riferite al periodo anteriore al 1 luglio 1998, respingeva nel merito le relative domande;

per quanto si rileva dalla sentenza impugnata i ricorrenti, tutti medici ex condotti transitati dai Comuni di provenienza alle dipendenze dell’ASP di Paola (poi ASP di Cosenza), avevano chiesto che, “previa integrale rideterminazione delle somme dovute a titolo di RIA, retribuzione individuale di anzianità o maturato economico a far data dalla data di decorrenza degli effetti economici di cui al D.P.R. n. 270 del 1987 (1/1/1986) calcolata sull’intero stipendio in godimento”, la ASP di Cosenza fosse condannata al pagamento delle relative differenze;

il Tribunale di Paola aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario per le pretese fino al 1 luglio 1998 ed accolto, nel merito, la domanda per il periodo successivo;

i medici avevano proposto distinte impugnazioni e la Corte di Appello di Catanzaro, previa riunione dei vari giudizi, aveva confermato le sentenze impugnate;

la sentenza era stata, quindi, impugnata con ricorso per cassazione (solo) dagli ex medici condotti e questa Corte, con pronuncia resa a Sezioni Unite n. 20726/2012, aveva accolto il ricorso e dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario anche per la questione riguardante il periodo del rapporto di impiego precedente al 1 luglio 1998, con cassazione della sentenza e rinvio, anche per le spese, alla Corte di Appello di Catanzaro in diversa composizione;

decidendo in sede di rinvio, la Corte territoriale aveva ritenuto infondate le pretese relative al periodo precedente al 1 luglio 1998 ritenendo non condivisibile la prospettazione dei ricorrenti secondo la quale l’accoglimento delle stesse per il periodo successivo al 30 giugno 1998 potesse produrre effetti di giudicato per quelle anteriori a tale data, occorrendo, sul punto, nuovamente valutare nel merito le pretese (come da Cass. 18205/2008) e richiamando, quanto al merito, la pronuncia di questa Corte, a Sezioni Unite, 1 dicembre 2009, n. 25258 e l’orientamento del giudice di legittimità formatosi con riferimento all’indennità di specificità medica;

2. per la cassazione di tale sentenza i medici hanno proposto ricorso affidato ad un motivo;

3. l’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza è rimasta intimata;

4. non sono state depositate memorie.

Diritto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. con l’unico motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3;

censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che le valutazioni di merito rese dal Tribunale con riguardo al periodo successivo al 30 giugno 1998 (non oggetto di impugnazione da parte dell’ASP), potessero produrre effetti di giudicato anche per quelle anteriori a tale data;

rilevano che la Corte territoriale, richiamando il precedente di questa Corte di legittimità costituito da Cass. n. 18205/2008, avrebbe palesato una confusione tra un tipico provvedimento definitivo di condanna quale è il decreto ingiuntivo divenuto inoppugnabile, che sia stato ottenuto dal creditore per una frazione soltanto del suo credito e che non produce effetto di giudicato per una diversa frazione del medesimo credito, con una sentenza di accertamento di un diritto (quello alla retribuzione individuale di anzianità) che costituisce l’antefatto logico di una condanna e dunque un capo autonomo della sentenza il quale, se non impugnato, acquista autorità di cosa giudicata;

evidenziano che nella stessa sentenza rescindente era stato affermato che “qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame nell’altro giudizio dello stesso punto di diritto già accertato e risolto”;

2. il motivo è inammissibile;

2.1. gli atti posti a base delle doglianze (e così i ricorsi introduttivi dei giudizi di merito e le richiamate sentenze di primo grado) non sono testualmente trascritti nel loro contenuto, quantomeno nella parte relativa a sostenere la denunciata violazione del giudicato (di tali atti è riportata una mera sintesi narrativa);

ciò non consente a questa Corte di avere un quadro chiaro sia delle pretese avanzate con riguardo ai periodi pre e post 1/7/1998, al fine della valutazione dell’asserito comune ed indefettibile presupposto del riconoscimento dei diritto dei ricorrenti alla RIA, sia delle ragioni poste dal Tribunale a fondamento delle varie decisioni di accogliere le domande di ciascuno dei ricorrenti relativamente al periodo successivo all’indicato discrimine temporale;

2.2. si ricorda che il ricorso per cassazione deve essere redatto nel rispetto dei requisiti imposti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., che al comma 1, n. 6, richiede “la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”;

è, quindi, necessario che il ricorrente, oltre a riportare nel ricorso il contenuto del documento, quanto meno nelle parti essenziali, specifichi in quale fase processuale è avvenuta la produzione ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione;

va precisato, al riguardo, che il requisito di cui al richiamato art. 366 c.p.c., n. 6 è imprescindibile ed autonomo e non può essere confuso con quello di procedibilità (egualmente richiesto) previsto dall’art. 369 c.p.c., n. 4, in quanto il primo risponde all’esigenza di fornire al giudice di legittimità tutti gli elementi necessari per avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, mentre la produzione (laddove effettuata) è finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento la cui rilevanza è invocata ai fini dell’accoglimento del ricorso (v. fra le più recenti, sulla non sovrapponibilità dei due requisiti, Cass. 28 settembre 2016, n. 19048);

2.3. si aggiunga che, nei casi in cui, come nella fattispecie, la sentenza sia stata pronunciata nei confronti di una pluralità di parti, a seguito della riunione dei giudizi disposta ex art. 151 disp. att. c.p.c., poichè si realizza un litisconsorzio facoltativo improprio, che lascia distinte ed autonome le cause riunite (cfr. Cass. 8570/2016 e la giurisprudenza ivi richiamata), il ricorrente è tenuto a specificare le ragioni per le quali il motivo è riferibile a tutte le posizioni, posto che in detta ipotesi la sentenza, seppure formalmente unica, in realtà consta di tante pronunzie quante sono le cause riunite, con la conseguenza che il vizio deve rilevare per ciascuna di esse;

anche sotto tale profilo sarebbe stata tanto più necessaria la trascrizione degli atti sopra indicati con riguardo alla posizione di ciascuno degli originari ricorrenti;

3. da tanto consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

4. nulla va disposto per le spese non avendo l’intimata svolto alcuna attività difensiva;

5. va dato atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dal L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, poichè l’obbligo del pagamento dell’ulteriore contributo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (cosi Cass., Sez. Un., 7 ottobre 2014, n. 22035.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 26 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2020

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