Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9099 del 01/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 01/04/2021, (ud. 23/09/2020, dep. 01/04/2021), n.9099

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19229/2017 proposto da:

S.R., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MANUELA ANGELA SCAFFIDI DOMIANELLO;

– ricorrente principale –

A.T.M. SERVIZI DIVERSIFICATI S.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CIRO MENOTTI 24, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO FERRI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALDO CALZA;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

contro

S.R.;

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 241/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 13/04/2017 r.g.n. 365/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/09/2020 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che S.R. ha agito in giudizio nei confronti di A.T.M. Servizi Diversificati S.r.l., alle dipendenze della quale aveva svolto attività di conducente, per ottenerne la condanna al pagamento della indennità sostitutiva di giorni e ore di riposo non goduti, oltre al pagamento di somme a titolo di indennità di trasferta e diaria;

– che il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso;

– che la Corte di appello di Milano, con sent. n. 241/2017, depositata il 13 aprile 2017, ha ritenuto infondata la domanda relativa all’indennità sostitutiva, osservando come le fonti normative, comunitarie e nazionali, richiamate a sostegno della stessa (Regolamento CE n. 561/2006; Direttiva 2002/15/CE; D.Lgs. n. 234 del 2007), si applicassero solo ai conducenti impiegati in servizi non di linea, poichè solo per questi l’art. 11 del Reg. CE vietava qualsiasi deroga che non fosse di contenuto migliorativo, anche introdotta in sede di contrattazione fra le parti sociali, e come tale fondamentale presupposto non avesse formato oggetto di idonea allegazione e offerta di prova da parte del lavoratore, che ne aveva l’onere; con la conseguenza che era da ritenersi legittimo l’Accordo sindacale di cui al Verbale di incontro in data 26/11/2010, sulla base del quale il datore di lavoro aveva regolato la fruizione dei giorni e delle ore di riposo;

– che la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha invece ritenuto fondato il diritto del S. all’indennità di trasferta e alla diaria, avuto riguardo alle previsioni di cui agli artt. 20 e 21 del c.c.n.l. di settore;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore, affidandosi a due motivi;

– che la società A.T.M. Servizi Diversificati S.r.l. ha resistito con controricorso, con cui ha svolto ricorso incidentale, con tre motivi, cui il lavoratore ha resistito con controricorso;

– che entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa;

rilevato:

che con il primo motivo del ricorso principale viene dedotta dal ricorrente la violazione e falsa applicazione della L.R. Lombardia n. 6 del 2012, art. 2, comma 2, dal quale la Corte di appello aveva tratto la definizione dei servizi “di linea”, valorizzando, tra i vari elementi costitutivi di essa, la natura “indifferenziata” dell’offerta, e cioè di un’offerta indirizzata “ad una collettività indeterminata e indeterminabile di utenti”, diversamente, e cioè in caso di offerta rivolta “ad utenti predeterminati o individuabili”, potendosi classificare il servizio “come non di linea”; e si afferma che, per quanto i presupposti ermeneutici enucleati dalla Corte fossero validi e astrattamente condivisibili, essi, tuttavia, erano stati erroneamente applicati al caso concreto, così da rendere la motivazione contraddittoria e manifestamente illogica;

– che con il secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., per avere la Corte ritenuto non assolto l’onere della prova a carico del ricorrente, erroneamente negando ingresso alle prove testimoniali e non tenendo conto che talune circostanze dedotte erano state ammesse dalla resistente;

– che a mezzo del ricorso incidentale della società viene dedotta: – con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 345 e 348 bis c.p.c., per avere la Corte erroneamente escluso che fosse stata introdotta dall’appellante, con il ricorso di secondo grado, alcuna domanda nuova rispetto al contenuto del processo di primo grado;

– con il secondo e con il terzo, la falsa o erronea applicazione rispettivamente dell’art. 20 e dell’art. 21 c.c.n.l. Autoferrotranvieri, unitamente, in entrambi i motivi, alla falsa o erronea applicazione del Verbale di incontro sindacale del 26 novembre 2010;

osservato:

che il primo motivo del ricorso principale deve essere respinto;

– che in esso, da un lato, non si indicano precise e specifiche ragioni che renderebbero erronea l’interpretazione data dal giudice di appello alla norma di cui alla L.R. Lombardia n. 6 del 2012, art. 2, comma 2 e, in particolare, al criterio distintivo (tra servizi “di linea” e “non di linea”) che vi è contenuto, prestandosi anzi dal ricorrente esplicita adesione ai presupposti di tale operazione ermeneutica, come enucleati dalla Corte di appello: e ciò a fronte di un percorso argomentativo che, nello stabilire la preminenza dell’elemento della natura dell’offerta, non per questo ha trascurato di esaminare gli altri parametri offerti dalla norma (itinerari, orari, frequenze e altre condizioni predeterminate), osservando come essi, di per sè considerati, non costituissero “da soli, elementi atti a distinguere un tipo di servizio dall’altro” e “unitamente, invece, all’offerta, differenziata o indifferenziata” riconducessero “l’attività ad una delle due tipologie” (cfr. sentenza impugnata, pag. 7); dall’altro, il motivo si volge, in taluni punti, ad una critica delle valutazioni compiute dalla Corte di appello relativamente alle allegazioni in fatto del lavoratore e alla loro inidoneità a fornire elementi specifici e concreti che potessero riportare i servizi svolti nell’area di quelli definibili come “non di linea”, valutazioni che peraltro integrano un accertamento di fatto rimesso al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità, ove sorretto come nella specie (cfr. sentenza, pagg. 8-9) – da adeguata e congrua motivazione;

– che parimenti non può trovare accoglimento il secondo motivo del ricorso principale;

– che deve al riguardo ribadirsi il principio, per il quale “La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5)”: Cass. n. 13395/2018; conformi, fra le molte: Cass. n. 15107/2013; n. 18092/2020;

– che deve inoltre ribadirsi il principio, per il quale “La violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due profili: qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale” (Cass. n. 4699/2018; conf. n. 20382/2016);

– che il primo motivo del ricorso incidentale è infondato, posto che si ha domanda nuova, inammissibile in appello, qualora venga fatta valere una pretesa che, basandosi su un titolo diverso da quello inizialmente dedotto in giudizio ed aggiungendo presupposti di fatto nuovi o mutando quelli già esposti nella domanda di primo grado, ne alteri obiettivamente la natura ed il fondamento, così che pur restando immutato il petitum, si introduca una situazione di fatto diversa da quella prospettata precedentemente e tale da aprire un nuovo tema di indagini; mentre, nella specie, quelli che il lavoratore avrebbe introdotto in grado di appello, sono meri “argomenti” nuovi, per ammissione medesima della ricorrente, nè risulta comunque dimostrata l’alterazione della domanda originaria che, con tali “argomenti”, si sarebbe prodotta;

– che il secondo e il terzo motivo sono inammissibili: il secondo (relativo all’indennità di trasferta) muove, infatti, dal rilievo che, ai sensi del Verbale di incontro sindacale del 26 novembre 2010, al “personale adibito a servizi di noleggio con conducente” compete il rimborso a piè di lista, vale a dire un trattamento migliorativo rispetto alle previsioni del c.c.n.l., ma non si confronta con la motivazione sul punto della sentenza impugnata, la quale ha accertato e posto in evidenza come il S. non svolgesse tale attività, così che il rilievo era da ritenersi inconferente; il terzo (relativo alla diaria) egualmente non si confronta con la motivazione della sentenza, là dove la Corte territoriale ha considerato “evidente” che tale voce non competesse unicamente al personale di macchina e dei treni, nonchè a quello navigante, secondo quanto prospettato dalla società, e ciò alla stregua dell’art. 21, comma 2 c.c.n.l. di settore e di una interpretazione della norma collettiva pianamente desumibile dalla stessa sua formulazione letterale;

ritenuto:

conclusivamente che entrambi i ricorsi, principale e incidentale, devono essere respinti;

– che ne consegue, con la reciproca soccombenza, l’integrale compensazione fra le parti delle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte respinge il ricorso principale; respinge altresì il ricorso incidentale; spese compensate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2021

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