Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9098 del 15/04/2010

Cassazione civile sez. I, 15/04/2010, (ud. 04/03/2010, dep. 15/04/2010), n.9098

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

G.G.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’Avvocato MASSA GIUNIO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO GIUSTIZIA, in persona del Ministro in carica, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. R.G. 466/07 della CORTE D’APPELLO di GENOVA del

9/11/07, depositato il 18/12/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/03/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

è presente il P.G. in persona del Dott. ANTONIETTA CARESTIA.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

p. 1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è del seguente tenore: ” G.G.C. adiva la Corte d’appello di Genova, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex Lege n. 89 del 2 001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tribunale di Lucca nel 1991, deciso con sentenza del 8.112005.

La Corte d’appello, con decreto del 18.12.2007, fissato il termine di ragionevole durata del giudizio in anni quattro, liquidava per il periodo eccedente (anni undici), a titolo di equa riparazione per il danno non patrimoniale, Euro 1.000,00, per anno di ritardo, quindi Euro 11.000,00, con il favore delle spese del giudizio.

Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso il G., affidato a tre motivi; non ha svolto attività difensiva il Ministero della giustizia.

OSSERVA:

1.- In linea preliminare va osservato che la notifica del decreto a cura del ricorrente, sebbene sia idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione (Cass. n. 13732 del 2007; n. 191 del 2001), non produce tale effetto se sia stata notificata direttamente alla parte (Cass. n. 15389 del 2007) e cioè, nel caso di P.A., direttamente all’amministrazione (come accaduto nella specie), anzichè all’Avvocatura dello Stato, R.D. n. 1611 del 1933, ex art. 11 (cfr.

Cass. n. 7315 del 2004).

Il ricorrente, con il primo motivo, denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001 e degli artt. 3, 4, 5 e 6 CEDU (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), deducendo che il giudizio presupposto ha avuto inizio con citazione notificata nell’aprile del 1991 ed è stato definito con sentenza depositata il 28.11.2005, passata in giudicato il 14.1.07, e pone il seguente quesito:

se il giudice debba fissare la durata del giudizio dando applicazione ai parametri della Corte EDU (anni tre e due per il primo ed il secondo grado), computando la durata dalla iscrizione a ruolo al passaggio in giudicato.

Il secondo ed il terzo motivo denunciano, rispettivamente, violazione del D.M. n. 127 del 2004 e difetto di motivazione nel punto concernente la liquidazione delle spese del giudizio ed il primo mezzo pone la questione così sintetizzata nel quesito di diritto:

“voglia la Suprema Corte dichiarare violata, nella liquidazione delle spese processuali, e secondo la censura svolta dal ricorrente, la tariffa professionale”.

2.- Il primo motivo sembra manifestamente infondato, anche se la motivazione del decreto va in parte corretta.

Il parametro della Corte EDU di anni tre per il termine di ragionevole durata del processo, va osservato dal giudice del merito, che può discostarsene sempre che la relativa conclusione sia confortata con argomentazioni complete, logicamente coerenti e congrue, restando comunque escluso che i criteri indicati nell’art. 2, comma 1, di detta legge permettano di sterilizzare del tutto la rilevanza del lungo protrarsi del processo (Cass., Sez. un., n. 1338 del 2004; in seguito, tra le tante, Cass. n. 4123 e n. 3515 del 2009). Nella specie la Corte d’appello ha evocato un parametro di quattro anni erroneo e non ha congruamente motivato sulle ragioni per cui ha ritenuto ragionevole la durata del giudizio in tale misura.

Tuttavia, benchè debba aversi riferimento quale termine finale del giudizio al passaggio in giudicato della sentenza, ai fini della L. n. 89 del 2001, art. 4, poichè è nella disponibilità della parte la facoltà di procedere alla notificazione della sentenza, o all’impugnazione, al fine di evitare di attendere il decorso di un ulteriore anno e 46 giorni, il decorso di tale periodo va posto a carico della parte che non si sia attivata.

Ne consegue che, nella specie, poichè il giudizio è stato promosso nell’aprile del 1991 e la sentenza che lo ha definito è stata depositata il 28 novembre del 2005, risulta il decorso di anni 14 e mesi sei, dai quali vanno dedotti anni 3, con la conseguenza che la durata irragionevole è stata di anni 11 e mesi 6 – Ebbene, in relazione alla violazione accertata la Corte d’appello ha liquidato Euro 11.000,00, somma che coincide, sostanzialmente, con il risarcimento liquidabile in base ai parametri della Corte EDU (Euro 1.000,00/1.500,00), da applicare, in virtù della norma nazionale agli anni di ritardo), con conseguente manifesta infondatezza della censura.

Il secondo ed il terzo motivo sono inammissibili.

Secondo un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, la parte che censura in sede di legittimità la liquidazione delle spese processuali è tenuta ad indicare in modo specifico ed autosufficiente quali siano le voci della tabella forense non applicate dal giudice del merito, elencando in dettaglio le prestazioni effettuate, per voci ed importi, così consentendo al giudice di legittimità il controllo di tale error in iudicando, pena l’inammissibilità del ricorso (Cass. n. 17059 del 2007; n. 8160 del 2001), senza bisogno di svolgere ulteriori indagini in fatto e di procedere alla diretta consultazione degli atti (Cass. n. 3651 del 2007; n. 2626 del 2004). La doglianza richiede, inoltre, che dall’erronea applicazione delle voci della tariffa sia conseguita la lesione del principio dell’inderogabilità ed il ricorrente non può, dunque, limitarsi alla generica denuncia dell’avvenuta violazione del principio di inderogabilità della tariffa professionale o del mancato riconoscimento di spese che si asserisce essere state documentate, in quanto, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, tenuto conto della natura del vizio, devono essere specificati gli errori commessi dal giudice e precisate le voci di tabella degli onorari, dei diritti di procuratore che si ritengono violate, nonchè le singole spese asseritamente non riconosciute (Cass. n. 14744 del 2007; n. 9082 del 2006; n. 13417 del 2001).

Nella specie siffatto onere non risulta adempiuto; il ricorrente ha dedotto che il decreto avrebbe erroneamente individuato le voci della tariffa forense applicabili, ma tanto è insufficiente ai fini dell’ammissibilità delle censure, poichè l’istante ha omesso del tutto di trascrivere puntualmente la nota spese prodotta nella fase di merito, limitandosi ad una indicazione palesemente generica delle voci.

Inoltre, il secondo mezzo è comunque palesemente inammissibile, poichè il quesito non può risolversi in un’enunciazione tautologica, priva di qualunque indicazione specifica in relazione alla controversia (Cass. S.U. n. 11210 del 2008), sino a configurarsi – come nella specie, secondo quanto risulta dalla trascrizione sopra riportata – come una domanda astrattezza sulla correttezza o meno della decisione.

Pertanto, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge”. La difesa del ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

p. 2. – Il Collegio condivide e fa proprie le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono al rigetto del ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2010

 

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