Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9094 del 18/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 18/05/2020, (ud. 28/01/2020, dep. 18/05/2020), n.9094

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano P. – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11962-2017 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ROBERTO ROMEI,

FRANCO RAIMONDO BOCCIA, ENZO MORRICO;

– ricorrente –

contro

M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO

VITTORIO EMANUELE II 209, presso lo studio dell’avvocato LUCA

SILVESTRI, rappresentata e difesa dall’avvocato ERNESTO MARIA

CIRILLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7209/2016 della. CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 29/11/2016 R.G.N. 5237/2014.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva, a sua volta, rigettato l’opposizione proposta da Telecom Italia s.p.a. avverso il decreto con il quale M.A. aveva ingiunto il pagamento della somma di Euro 1.835,15 a titolo di retribuzione per il mese di giugno 2013.

2. La Corte territoriale ha accertato che il decreto ingiuntivo era stato emesso per effetto dell’avvenuto accertamento della inefficacia della cessione di ramo d’azienda da parte del Tribunale, statuizione confermata sia in appello che in Cassazione e passata in giudicato di tal che ha ritenuto oramai superata la questione posta della idoneità della sentenza di primo grado dichiarativa dell’inefficacia della cessione con ordine alla società cedente di ripristinare il rapporto di lavoro a costituire titolo per il rilascio del decreto ingiuntivo.

3. Quanto alla denunciata illegittima trasmutazione del titolo in base al quale era stato chiesto il pagamento delle somme riportate nel decreto opposto ha osservato, in primo luogo, che la stessa società aveva qualificato l’azione esperita dal lavoratore come risarcitoria e che correttamente il Tribunale aveva accertato che il credito dell’appellata traeva origine dall’inadempimento della società all’obbligo giudizialmente accertato di ripristino del rapporto di lavoro.

4. Con riguardo alla detrazione dell’aliunde perceptum, poi, la Corte ha rilevato che a fronte dell’offerta della prestazione da parte del lavoratore la società, sia in primo che in secondo grado, aveva formulato una generica eccezione senza fornire al riguardo alcuna specifica allegazione.

5. Per la cassazione della sentenza propone ricorso Telecom Italia s.p.a. che articola tre motivi ai quali resiste con controricorso M.A. che deposita anche memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

6. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per avere escluso che il giudice di primo grado, qualificando la domanda di pagamento delle retribuzioni in domanda di risarcimento del danno, ne avrebbe mutato il contenuto incorrendo nella denunciata violazione procedimentale.

7. Con il secondo motivo di ricorso poi è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1206,1207,1217,1223,1256, 1453 e 1463 c.c. nella parte in cui la sentenza ha escluso che dovesse essere dedotta dal risarcimento liquidato, a titolo di aliunde perceptum, l’indennità di mobilità percepita quale dipendente della cessionaria TNT.

8. Con il terzo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 210 e 213 c.p.c. per avere la Corte di appello ritenuto di non ammettere le richieste istruttorie tese a dimostrare l’esistenza dell’aliunde perceptum e percipiendum così incorrendo nella denunciata violazione anche degli artt. 1223 e 1227 c.c..

9. Il ricorso non può essere accolto.

9.1. Va ricordato che le sezioni Unite di questa Corte sono di recente intervenute in un caso di declaratoria di nullità dell’interposizione di manodopera per violazione di norme imperative con conseguente esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e – con un’interpretazione costituzionalmente orientata del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 che non contiene alcuna previsione in ordine alle conseguenze del mancato ripristino del rapporto di lavoro per rifiuto illegittimo del datore di lavoro e della regola sinallagmatica della corrispettività, in relazione agli artt. 3, 36 e 41 Cost. – hanno affermato che nell’ipotesi in cui, per fatto imputabile al datore di lavoro, non sia possibile ripristinare il predetto rapporto, è obbligo per quest’ultimo di corrispondere le retribuzioni al lavoratore a partire dalla messa in mora, decorrente dal momento dell’offerta della prestazione lavorativa (cfr. Cass. Sez. Un. 07/02/2018 n. 2990). Successivamente a tale pronuncia questa Corte, con specifico riferimento alla fattispecie di cessione di ramo di azienda dichiarata inefficace ha poi affermato che, ove su domanda del lavoratore ceduto venga giudizialmente accertato che non ricorrono i presupposti di cui all’art. 2112 c.c., il pagamento delle retribuzioni da parte del cessionario, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente a detto accertamento ed alla messa a disposizione delle energie lavorative in favore dell’alienante da parte del lavoratore, non produce effetto estintivo, in tutto o in parte, dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa (cfr. Cass. 03/07/2019 n. 17784, 07/08/2019 n. 21158 e 07/08/2019 n. 21160). L’invalidità della cessione, infatti, determina l’istaurazione di un diverso ed autonomo rapporto di lavoro, in via di mero fatto, con il cessionario.

9.2. Tanto premesso ritiene il Collegio che non vi siano ragioni per discostarsi da tali principi e, conseguentemente, il secondo ed il terzo motivo devono essere rigettati restandone assorbito l’esame del primo motivo.

10. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Quanto alle spese il l’esistenza, all’epoca della proposizione del ricorso, di orientamenti giurisprudenziali non uniformi ed il solo recente consolidamento della giurisprudenza nel senso qui condiviso giustificano la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2020

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