Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9093 del 01/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 01/04/2021, (ud. 09/02/2021, dep. 01/04/2021), n.9093

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29626/2019 R.G., proposto da:

l’Agenzia delle Entrate, con sede in (OMISSIS), in persona del

Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per

legge domiciliata;

– ricorrente –

contro

la ” M.F. & C. S.n.c.”, con sede in (OMISSIS) (AN), in

persona del socio amministratore pro tempore, rappresentata e difesa

dall’Avv. Amos Benni, con studio in Ancona, ove elettivamente

domiciliato (indirizzo p.e.c.:

amos.benni.pec-ordineavvocatiancona.it), giusta procura in allegato

al controricorso di costituzione nel presente procedimento;

– controricorrente –

avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

delle Marche il 24 agosto 2018 n. 537/02/2018, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata (mediante collegamento da remoto, ai sensi del D.L. 28

ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 9, convertito nella L. 18

dicembre 2020, n. 176, con le modalità stabilite dal decreto reso

dal Direttore Generale dei Servizi Informativi ed Automatizzati del

Ministero della Giustizia il 2 novembre 2020) del 9 febbraio 2021,

dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale delle Marche il 24 agosto 2018 n. 537/02/2018, non notificata, che, in controversia su impugnazione di decreto di compensazione per rimborso di interessi su credito IVA, ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti della ” M.F. & C. S.n.c.”, avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria di Ancona il 6 maggio 2010 n. 74/01/2010, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di primo grado, sul presupposto che la compensazione non riguardasse interessi anatocistici, bensì interessi semplici su una somma determinata. La ” M.F. & C. S.n.c.” si è costituita con controricorso. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la proposta formulata dal relatore è stata notificata ai difensori delle parti con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. In vista dell’odierna adunanza, la controricorrente ha tardivamente depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con unico motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1283 c.c., e del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, comma 50, convertito, con modificazioni, nella L. 4 agosto 2006, n. 248, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto che “gli interessi, per il solo fatto di essere considerati come dovuti nell’ambito di una decisione giurisdizionale, mutano ontologicamente acquisendo, per effetto della sentenza, natura di nuovo capitale rimborsabile”.

RITENUTO CHE:

1. Il motivo è fondato.

1.1 Invero, è pacifico che, in tema di rimborsi per i crediti IVA, con decorrenza dal 4 luglio 2006, data di entrata in vigore del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, comma 50, convertito, con modificazioni, nella L. 4 agosto 2006, n. 248 (a tenore del quale: “Gli interessi previsti per il rimborso di tributi non producono in nessun caso interessi ai sensi dell’art. 1283 c.c.”), non si calcolano gli interessi anatocistici sulle somme dovute a titolo di ritardato rimborso d’imposta al contribuente, mentre il principio dettato dall’art. 1283 c.c., continua ad avere pieno effetto per il periodo anteriore. Ne deriva che il discrimine temporale per detto periodo va identificato nella domanda di rimborso dell’imposta (Cass., Sez., 5, 24 febbraio 2012, n. 2823; Cass., Sez. 5, 28 novembre 2019, n. 31122). Per cui, gli interessi spettano fino alla data di entrata in vigore della nuova normativa, ma dal giorno della domanda giudiziale (Cass., Sez., 5, 24 febbraio 2012, n. 2823).

1.2 Nella specie, la domanda giudiziale è stata proposta soltanto il 9 novembre 2007, cioè in epoca successiva all’introduzione del divieto di spettanza degli interessi anatocistici sui crediti per rimborso di tributi. Per cui, la contribuente non poteva vantare alcun credito a tale titolo nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

1.3 Difatti, la condanna al pagamento degli interessi anatocistici presuppone che si tratti di interessi accumulatisi per almeno sei mesi fino alla data della domanda e che la parte cui l’effetto di capitalizzazione profitta li chieda in giudizio con una domanda specificamente rivolta ad ottenere la condanna al pagamento di quegli interessi che gli interessi già scaduti, ovverosia il corrispondente capitale, di lì in poi produrranno (Cass., Sez. 5, 1 luglio 2004, n. 12043; Cass., Sez. 1, 18 gennaio 2017, n. 1164).

Per cui, non basta la maturazione di interessi dovuti per almeno un semestre, ma occorre la proposizione della domanda giudiziale, che segna la decorrenza (dies a quo) del computo anatocistico.

1.4 In tal senso, si è affermato che, dal principio stabilito nell’art. 1283 c.c., secondo cui “gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”, consegue che il giudice può condannare al pagamento degli interessi sugli interessi solo se si sia accertato che alla data della domanda giudiziale erano già scaduti gli interessi principali (sui quali calcolare gli interessi secondari), e cioè che il debito era esigibile e che il debitore era in mora, e che vi sia una specifica domanda giudiziale del creditore o la stipula di una convenzione posteriore alla scadenza degli interessi. Per le obbligazioni dell’amministrazione finanziaria di rimborso di imposte, in particolare, il contribuente-creditore è tenuto ad indicare tutti gli elementi necessari alla liquidazione di essi, a cominciare dalla capitalizzazione del primo semestre di interessi maturati sul capitale e, soprattutto, è tenuto a formulare la richiesta nell’atto introduttivo del giudizio tributario avente ad oggetto il rimborso d’imposta, non potendosi gli interessi anatocistici considerare un accessorio del credito principale conseguente in via automatica all’accoglimento della domanda di rimborso o di quella degli interessi maturati dalla domanda già rivolta al Fisco (in termini: Cass., Sez. 5, 8 marzo 2006, n. 4935; Cass., Sez. 5, 10 maggio 2013, n. 11171; Cass., Sez. 5, 23 giugno 2017, n. 15695).

1.5 La sentenza impugnata ha fatto malgoverno dei principi enunciati per aver erroneamente escluso la qualificazione anatocistica degli interessi ancora maturandi sulla somma risultante dalla liquidazione giudiziale di interessi già maturati, la cui “capitalizzazione” (cioè, il calcolo aritmetico dell’importo complessivamente dovuto per tale causale fino ad una certa data) non era idonea a mutare la natura del credito, finendo col riconoscere la spettanza degli interessi compositi in violazione della norma proibitiva.

2. Dunque, valutandosi la fondatezza del motivo dedotto, il ricorso può essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata; non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, u.p., con pronuncia di rigetto del ricorso originario della contribuente.

3. Le spese del doppio grado del giudizio del merito possono essere compensate tra le parti, tenuto conto dell’andamento del medesimo, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente; compensa le spese dei giudizi di merito; condanna la contribuente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’amministrazione finanziaria, che liquida nella somma complessiva di Euro 6.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2021

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