Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9092 del 01/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 01/04/2021, (ud. 09/02/2021, dep. 01/04/2021), n.9092

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29616/2019 R.G., proposto da:

l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore

Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata;

– ricorrente –

contro

la “FIDENCO S.r.l.”, con sede in (OMISSIS) (PA), in persona

dell’amministratore unico pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

della Sicilia il 18 marzo 2019 n. 1734/12/2019, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata (mediante collegamento da remoto, ai sensi del D.L. 28

ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 9, convertito nella L. 18

dicembre 2020, n. 176, con le modalità stabilite dal decreto reso

dal Direttore Generale dei Servizi Informativi ed Automatizzati del

Ministero della Giustizia il 2 novembre 2020) del 9 febbraio 2021,

dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia il 18 marzo 2019 n. 1734/12/2019, non notificata, che, in controversia su impugnazione di avviso di accertamento per indebita detrazione di costi documentati da fatture per operazioni soggettivamente inesistenti con riguardo all’IVA relativa all’anno di imposta 2011, ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti della “FIDENCO S.r.l.” avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria di Palermo il Roma il 20 maggio 2016 n. 2853/10/2016, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di primo grado, sul presupposto che l’onere probatorio della mala fede del contribuente gravasse sull’amministrazione finanziaria. La “FIDENCO S.r.l.” è rimasta intimata. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la proposta formulata dal relatore è stata notificata al difensore della parte costituita con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. In vista dell’odierna adunanza non sono state depositate memorie.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo, si deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e controverso tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver tenuto conto della valenza presuntiva degli elementi desumibili dagli accertamenti espletati dall’amministrazione finanziaria, facendo erroneo riferimento ad operazioni oggettivamente inesistenti.

2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, comma 1, art. 21, comma 6, e art. 54, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto che la fattispecie controversa riguardasse operazioni oggettivamente inesistenti, laddove il disconoscimento dei costi ai fini dell’IVA era stato operato per operazioni soggettivamente inesistenti.

RITENUTO CHE:

1. I motivi – la cui stretta ed intima connessione suggerisce l’esame congiunto – sono infondati, ma occorre procedere alla correzione della motivazione della sentenza impugnata, che è, invece, corretta nel dispositivo.

1.1 Invero, è pacifico che, in tema di IVA, l’amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente (valorizzando, ad esempio, la circostanza che la prestazione non poteva essere effettivamente resa dal fatturante, perchè sfornito della sia pur minima dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione); ove l’amministrazione finanziaria assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass., Sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., Sez. 5″, 4 febbraio 2020, n. 2483; Cass., Sez. 5, 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., Sez. 5, 13 gennaio 2021, n. 336).

1.2 Parallelamente, con riguardo alle operazioni oggettivamente inesistenti, si è detto che, una volta assolta da parte dell’amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., Sez. 5, 5 luglio 2018, n. 17619; Cass., Sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27554).

1.3 Nella specie, come si evince dalla trascrizione fattane in ricorso, l’avviso di accertamento aveva inequivocabilmente contestato alla “FIDENCO S.r.l.” l’indeducibilità dei costi rivenienti dalla contabilizzazione delle fatture emesse dalla “R.G.P.R. Group S.r.l.” di (OMISSIS) per un importo complessivo di Euro 234.418,99 in dipendenza di operazioni soggettivamente inesistenti, trattandosi di soggetto inesistente ed operante in veste di “missing trader” (operatore fittizio).

1.4 Di contro, escludendone la sussistenza in punto di fatto, in relazione alla valutazione delle risultanze probatorie, il giudice di appello ha ritenuto che l’addebito concernesse operazioni oggettivamente inesistenti e che l’amministrazione finanziaria non avesse assolto l’onere di provare la mala fede della contribuente (nemmeno attraverso l’indicazione di elementi presuntivi).

A tal fine, la sentenza impugnata ha desunto l’effettività dei servizi prestati dal terzo fornitore dalla documentazione prodotta dalla contribuente con riguardo alla regolare contabilizzazione delle relative fatture e dalla esecuzione dei corrispondenti pagamenti, senza tener conto (nell’iter motivazionale) delle risultanze emergenti dalle indagini svolte dalla polizia tributaria con riguardo al presunto ruolo di “cartiera” del terzo fornitore.

Dunque, ciò che si imputa al giudice di merito, in mancanza di una presa di posizione nella motivazione da esso resa, è di non avere applicato un ragionamento presuntivo che la situazione delle emergenze fattuali probatorie emersa nel giudizio avrebbe, invece, giustificato. In definitiva, secondo la ricorrente, viene in rilievo l’omesso esame della situazione fattuale, cioè del fatto noto o dei fatti noti, che, se fossero stati considerati, avrebbero dovuto condurre alla conoscenza di un fatto ignoto e, dunque, anch’esso ignorato nella motivazione (Cass., Sez. 3, 6 luglio 2018, n. 17720)

In tal caso si addebita allora alla sentenza di merito l’omesso esame di un fatto o di più fatti c.d. secondari, per sostenere che il suo o il loro esame avrebbe, se compiuto, giustificato l’applicazione di una presunzione e, dunque, la conoscenza di altro fatto rilevante per la decisione. Si ricade, quindi, nell’ipotesi che la giurisprudenza di legittimità, nello scrutinare il significato dell’espressione “fatto” di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, hanno individuato come omesso esame di un fatto secondario (a partire da: Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054).

1.5 Sul punto, nonostante l’erronea qualificazione dell’illecito tributario, dacchè l’inesistenza oggettiva delle operazioni contestate non trova alcun riscontro nell’accertamento dei giudici di merito, questa Corte ritiene che la sentenza impugnata non abbia trascurato l’esame di fatti potenzialmente idonei a sovvertire la decisione resa in appello, ancorchè dedotti come giustificativi dell’inferenza di un fatto ignoto principale, purchè decisivo, avendo dato (sia pure sinteticamente) atto che la malafede della contribuente non era stata provata mediante l’elencazione di “presunzioni univoche e concludenti a sostegno del preteso consilium fraudis” (tali non ponendo qualificarsi le notizie relative alle vicende della “R.G.P.R. Group S.r.l. “di (OMISSIS), indicata dalla polizia tributaria come “falso esportatore abituale”, e in particolare: il trasferimento della sede da (OMISSIS) (NA) a (OMISSIS); la istituzione di un ufficio in (OMISSIS) (NA); il mutamento della compagine sociale nel corso del tempo; l’avvicendamento degli amministratori; l’omessa presentazione di dichiarazioni fiscali da parte di uno degli amministratori, tranne che per l’anno 2007; l’omessa presentazione di dichiarazioni fiscali da parte della stessa società, tranne che per l’anno 2007).

Per cui, pur ritenendo che l’addebito riguardasse – secondo la narrativa dell’atto impositivo – la contabilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente (e non oggettivamente) inesistenti, non si può dire, comunque, che sia stata trascurata la valutazione di elementi ipoteticamente sintomatici della conoscenza o della conoscibilità della inesistenza del terzo fornitore.

In conclusione, i fatti secondari in questione sono stati oggetto di motivazione da parte del giudice di merito e, dunque, sono fatti che egli ha esaminato.

2. Dunque, valutandosi la infondatezza dei motivi dedotti, il ricorso deve essere rigettato.

3. Nulla deve essere disposto con riguardo alle spese giudiziali,

essendo rimasta intimata la parte vittoriosa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2021

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