Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9087 del 02/04/2019

Cassazione civile sez. VI, 02/04/2019, (ud. 28/02/2019, dep. 02/04/2019), n.9087

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18519-2017 proposto da:

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato TOMMASO MARIA EGIDI;

– ricorrente –

contro

COMUNE di CORFINIO, in persona del Vicesindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TEULADA 52, presso lo studio

dell’avvocato MAURIZIO GABRIELLI, rappresentato e difeso dagli

avvocati DANIELE DI BARTOLO, CRISTIANO BASILE;

– controricorrente –

contro

MCA METANODOTTI CENTRO ADRIATICO DEI FRATELLI O. SNC;

– intimata –

avverso la sentenza n. 129/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata l’01/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SAMBITO

MARIA GIOVANNA C..

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 1.2.2017, la Corte d’Appello dell’Aquila, giudicando in sede di rinvio, ha condannato il Comune di Corfinio a pagare a C.L., cessionario del credito vantato da M.C.A. – Metanodotti Centro Adriatico dei F.lli O. – s.n.c., per l’appalto dei lavori di realizzazione di un impianto per la distribuzione di gas metano, gli interessi di capitolato sui tardati pagamenti, analiticamente indicati, che erano stati effettuati in epoca successiva al 19.9.1986.

Avverso detta sentenza, ha proposto ricorso il C., con tre motivi, successivamente illustrati da memoria.

Il Comune ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In seno alla pronuncia rescindente, questa Corte, dopo aver puntualizzato l’oggetto della domanda, ed aver rilevato che gli importi versati dal Comune non potevano essere imputati, prima, agli interessi e, poi, al capitale, non avendo l’appaltatrice impugnato il capo della sentenza di primo grado che aveva dichiarato cessata la materia del contendere sulla domanda di pagamento del residuo debito per sorte, ha affermato che la limitazione della domanda di corresponsione degli interessi moratori unicamente sull’importo ancora dovuto dal convenuto a saldo di quanto riconosciuto nella rata di saldo dell’appalto non corrispondeva al tenore letterale dell’atto introduttivo del giudizio e doveva, a maggior ragione, essere esclusa alla luce della L. n. 791 del 1981, art. 4 (applicabile al caso ratione temporis), secondo cui l’importo degli interessi per ritardato pagamento dovuti in base a norme di legge, di capitolato generale o speciale o di contratto viene computato e corrisposto in occasione del pagamento, in conto o a saldo, immediatamente successivo, senza necessità di apposite domande e riserve, disposizione dalla quale si ricava, a contrario, che la richiesta di corresponsione degli interessi dovuti in base al capitolato, priva di ulteriori specificazioni, non può che avere ad oggetto tutte le somme maturate a tale titolo per il ritardato pagamento dell’intera sorte capitale.

2. Il giudice del rinvio, cui era stato demandato di provvedere alla quantificazione degli interessi dovuti per il ritardato pagamento dell’intero debito, esclusa l’ammissibilità della domanda volta al conseguimento degli interessi anatocistici, ha accertato che gli interessi ancora dovuti andavano calcolati nei seguenti termini: dalla sentenza di primo grado si desumeva che, in base alle pattuizioni contenute nel capitolato speciale – non più in atti – il certificato di regolare esecuzione dei lavori avrebbe dovuto essere emesso entro il quarto trimestre dalla data di ultimazione dei lavori, la Corte ha aggiunto che tale scadenza contrattuale non era stata contestata dalle parti, sicchè essendo i lavori stati ultimati il 19.9.1985 il certificato di regolare esecuzione avrebbe dovuto essere emesso il 19.9.1986, e gli interessi erano, per l’effetto, dovuti a decorrere dal successivo giorno 20. In relazione al ritardo nel versamento degli acconti, la Corte ha rilevato che, in assenza di capitolato speciale, il relativo dies a quo andava ugualmente individuato nella data del 19.9.1986.

3. Il ricorso, con cui si deduce: a) la violazione della L. n. 741 del 1981, art. 4, del Cap. Gen. OO.PP., artt. 35 e 36; b) la confusione effettuata tra il certificato di ultimazione dei lavori del 20.9.1985 ed il certificato di regolare esecuzione del 20.9.1986; c) l’errore nel rigetto della CTU contabile chiesta da entrambe le parti, è, in parte, infondato ed, in parte, inammissibile.

4. Il D.P.R. n. 1063 del 1962 pacificamente applicabile al rapporto, prevede, al capo III, intitolato “pagamenti all’appaltatore” all’art. 33, comma 1, che, nel corso dell’esecuzione dei lavori, competono all’appaltatore, sulla base dei dati risultanti dai documenti contabili, pagamenti in acconto “nei termini o nelle rate stabilite nel capitolato speciale ed a misura dell’avanzamento dei lavori regolarmente eseguiti”. Il menzionato art. 33, comma 2, dispone che i certificati di pagamento devono essere emessi “non appena sia scaduto il termine… o appena raggiunto l’importo prescritto per ciascuna rata, e in ogni caso non oltre 45 giorni dal verificarsi delle circostanze previste nel comma precedente”; e da tale termine, a mente del successivo art. 35, comma 1, decorrono gli interessi per il tardato pagamento degli acconti. In riferimento alla rata di saldo, l’art. 36 del Capitolato prevede la spettanza degli interessi nell’ipotesi in cui l’emissione del relativo titolo di pagamento ritardi oltre il 120 giorno successivo alla “data del certificato di collaudo” o, come nella specie, di regolare esecuzione dei lavori.

5. Se la questione secondo cui sussisterebbe una confusione tra il certificato di ultimazione dei lavori ed il pagamento della III rata di accolto risulta in sè criptica e comunque attinente all’apprezzamento in fatto, va rilevato che la pretesa del ricorrente di vedersi riconoscere il credito per gli interessi di capitolato, già, a decorrere dal certificato di ultimazione dei lavori si scontra col dettato delle disposizioni regolamentari in esame e con l’accertamento in concreto delle scadenze contrattuali che la Corte -stante l’assenza del CSA-ha operato nei sensi sopra esposti in relazione alle acquisizioni processuali e non già in modo contraddittorio, come le viene imputato in seno alla memoria. L’assunto secondo cui gli interessi sarebbero stati riconosciuti sull’importo richiesto col ricorso in monitorio, non tiene conto che gli interessi sono stati calcolati dal giudice del rinvio in riferimento a tutte le somme versate in epoca successiva al 19.9.1986 (cfr. pag. 7 della sentenza e dispositivo).

6. La doglianza relativa alla mancata ammissione della consulenza tecnica, perchè chiesta concordemente dalle parti, è infondata. Il giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è, per sè, incensurabile in cassazione, tenuto conto che nel vigore della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: a) è mancante ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata, essendo perciò censurabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, e tale caso non ricorre nella specie; b): è denunciabile per cassazione l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia, e nella specie la questione del quantum dovuto a titolo di interessi non è stato omesso, ma è stato esaminato e deciso nel merito (Cass. n. 7472 del 2017 e giurisprudenza richiamata).

7. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna al pagamento delle spese che si liquidano in complessivi Euro 3.000,00, di cui Euro 100,00 per spese vive oltre accessori. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2019

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