Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9086 del 18/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 18/05/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 18/05/2020), n.9086

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CIRIELLO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4665/2014 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato SERGIO GALLEANO, che

la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 692/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 08/08/2013 R.G.N. 739/2012.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. il Tribunale di Torino, con sentenza in data 19.3.2012 accogliendo parzialmente il ricorso proposto da S.S. (assunta dal Ministero dell’Interno con ripetuti contratti a termine, il primo dei quali in data 13 dicembre 2005 e prorogato più volte fino al 31.12.2012) dichiarava la illegittimità del termine apposto al primo contratto di lavoro della ricorrente, respingeva le domande di stabilizzazione della medesima con riconoscimento dell’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, condannava il Ministero a riconoscere alla ricorrente l’equiparazione del suo trattamento economico a quello di un dipendente assunto a tempo indeterminato dal 13 dicembre 2005 ed a pagarle le conseguenti differenze retributive, oltre accessori e condanna alle spese di lite;

2. La Corte di appello di Torino con la sentenza n. 692/2013, ha riformato la sentenza di primo grado, “assolvendo il Ministero” dal risarcimento del danno;

3. A fondamento del decisum, la Corte territoriale ha ritenuto, per quanto qui rileva, che la domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno in misura corrispondente alla differenza fra il trattamento economico goduto dalla ricorrente e il personale assunto a tempo indeterminato non potesse essere accolta, poichè “le differenze retributive derivanti dal raffronto tra quanto percepito dalla la ricorrente/appellante incidentale ed i lavoratori assunti dallo stesso datore di lavoro con pari mansioni a tempo indeterminato sono state richieste a titolo di risarcimento dei danno (causa petendi) e non vi è in atti prova concreta di un danno subito dalla S., tale non potendo essere considerato il non aver percepito retribuzione diversa e maggiore, proprio perchè ella ha percepito la retribuzione prevista per il suo tipo di contratto e non viene prospettata alcuna violazione di norme comunitarie in base a difformità di trattamento”.

Quanto poi “alla domanda volta alla declaratoria di illegittimità della apposizione del termine anche ai contratti successivi al primo ed il risarcimento del danno, non riconosciuta in primo grado, relativo alle mensilità di retribuzione fino al raggiungimento dei requisiti pensionistici” (così riportata dalla corte di appello in narrativa pag. 4), la corte ha osservato che la “la declaratoria di illegittimità del termine apposto al primo contratto” costituisce “decisione che non è contestata” dal Ministero appellante principale e che ciò “esonera dall’esame della eventuale illegittimità dei termini apposti ai contratti successivi, come vorrebbe (la S.) appellante incidentale”.

4. Avverso la decisione di secondo grado la ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Sintesi dei motivi.

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione della clausola 5 della direttiva Ue 1999/70 in connessione con il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4 bis, nonchè l’omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio discusso tra le parti, in cui sarebbe incorsa la Corte di appello, nel non interpretare il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4 bis, norma introdotta in applicazione della citata Direttiva UE, nel senso che, superata la durata massima di 36 mesi (come durata complessiva dei rapporti) opererebbe la conversione in contratto tempo indeterminato, e nel non considerare come tale risultato dovesse necessariamente scaturire alla luce del fatto che tutti i contratti sarebbero illegittimi (circostanza ammessa, nella prospettazione della ricorrente, dalla stessa corte di appello);

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., nonchè l’omesso esame di un fatto discusso tra le parti e decisivo ai fini del giudizio in cui sarebbe incorsa la corte non considerando che il ministero non aveva impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva riconosciuto il diritto all’equiparazione economica poichè “le motivazioni sviluppate al riguardo riguardavano tutt’altra fattispecie (scuola), come risulta dall’esame dell’atto di appello che sì è integralmente a tal fine riportato”).

Per tal via secondo la ricorrente la corte d’appello, erroneamente, avrebbe riformato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva dichiarato il diritto della ricorrente alla perequazione del trattamento economico, capo che non era stato oggetto di impugnazione del Ministero appellante il quale aveva focalizzato la propria impugnazione sul risarcimento del danno.

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione della clausola quattro della direttiva dell’unione Europea 1999/70, in cui sarebbe incorsa la corte, con riguardo al principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo indeterminato ed i lavoratori a tempo determinato, tenuto conto del fatto che le attività amministrative svolte dalla ricorrente hanno comportato una assoluta identità degli obblighi contrattuali rispetto al servizio svolto dai colleghi di ruolo, fatto non contestato dal ministero;

4. Con il quarto motivo la ricorrente ha dedotto la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, in cui sarebbe incorsa la corte d’appello rigettando la domanda risarcitoria formulata dalla lavoratrice ed anche escludendo erroneamente la natura risarcitoria del danno in esame di cui all’art. 36 cit., in contrasto con la giurisprudenza di legittimità.

5. Con il quinto motivo, erroneamente denominato quarto, la ricorrente si duole del vizio di violazione di legge in cui sarebbe incorsa la corte d’appello ai sensi degli artt. 112 e 91 c.p.c., omettendo di pronunciarsi sulla richiesta di correzione della sentenza di primo grado che erroneamente aveva disposto la distrazione delle spese in assenza di alcuna richiesta da parte della lavoratrice;

6. Il primo, il quarto e il quinto motivo di ricorso sono inammissibili.

La ricorrente nel caso di specie, pur invocando diritti scaturenti dall’accertamento dell’illegittimità della reiterazione dei contratti, non si confronta realmente con la sentenza impugnata dalla quale non si evince tale accertamento, nè evidenzia in quale statuizione della sentenza di primo grado l’accertamento sia contenuto.

Ed anzi nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c., la stessa ricorrente evidenzia a pag. 2 come il “Il Tribunale rigettava la prima domanda (ritenendo l’illegittimità quanto meno del primo contratto, seppur non provato il danno) ma accoglieva la richiesta di parificazione economica”.

7. Pertanto, sia il primo motivo, che presuppone l’accertamento della illegittima reiterazione, affatto evidente dalla mera lettura della sentenza di appello (che – anzi – considera la questione non rilevante), sia il quarto motivo, volto a dedurre la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello rigettando la domanda risarcitoria, che del pari avrebbe richiesto la prova dell’illegittima reiterazione del contratto a termine, risultano inammissibili, neppure potendo applicarsi, sotto il profilo di agevolazione del quadro allegativo e probatorio, i principi elaborati da questa corte (cfr. Sez. Un. 5072/2016) relativi all’ipotesi di stipula di un unico contratto, e non certo ai diritti scaturenti dalla illegittima reiterazione (cfr. Ord. 17174/20179)

8. Del pari inammissibile il quinto motivo (erroneamente denominato quarto) con cui la ricorrente si duole della violazione di legge in cui sarebbe incorsa la corte d’appello ai sensi degli artt. 112 e 91 c.p.c., omettendo di pronunciarsi sulla richiesta di correzione della sentenza di primo grado che erroneamente aveva disposto la distrazione delle spese in assenza di alcuna richiesta da parte della lavoratrice, sfuggendo all’onere di specificazione dei motivi di ricorso, non allegando la pronuncia di primo grado che avrebbe omesso la pronuncia.

9. Devono invece essere accolte le censure proposte con il secondo ed il terzo motivo, esaminati congiuntamente per ragioni di connessione logico-giuridica.

10. Con tali motivi la ricorrente si duole della decisione adottata in appello di riformare la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva riconosciuto alla lavoratrice il diritto all’equiparazione economica con i lavoratori a tempo determinato, sotto un duplice profilo:

– In primo luogo, riportando integralmente l’atto di appello, di violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., nonchè l’omesso esame di un fatto discusso tra le parti e decisivo ai fini del giudizio, poichè il ministero non aveva impugnato la sentenza di primo grado nella parte in esame (in cui aveva riconosciuto il diritto all’equiparazione economica) ed aveva focalizzato la propria impugnazione solo sul risarcimento del danno;

– in secondo luogo, poichè tale equiparazione discendeva pacificamente dalla clausola quattro della direttiva dell’unione Europea 1999/70, e dal principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo indeterminato ed i lavoratori a tempo determinato, pacificamente applicati dal diritto vivente, tenuto conto del fatto che le attività amministrative svolte dalla risultavano identiche rispetto a quelle svolte dai colleghi di ruolo, fatto non contestato dal ministero;

Dalla lettura delle conclusioni del ricorso di primo grado, nonchè degli atti di appello (segnatamente l’atto di appello del Ministero) emerge chiaramente che la domanda volta all’equiparazione trovò accoglimento in primo grado, (conformemente ai noti principi affermati dalla giurisprudenza di questa corte cfr. ex mults 7112/2018) mentre fu rigettata la domanda risarcitoria e che tale statuizione non fu impugnata in grado di appello dal Ministero soccombente.

5. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere accolto in relazione al secondo e terzo motivo e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione, per nuovo giudizio sul punto.

Il giudice di rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il secondo ed il terzo motivo del ricorso; dichiara inammissibili i restanti motivi; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Torino in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2020

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